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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 86
di Mimmo Carratelli
Scrivo con rabbia e dolore le note di quei giorni dell’aprile 1991 a Buenos Aires. Tutto il tuo passato cancellato, Diego, per aggredirti con crudeltà. Nessun rispetto per la tua persona, nessuna considerazione per il fuoriclasse. Niente.

L’arresto fu una cosa vergognosa. Per come era stato preparato richiamando le telecamere davanti al palazzo di Calle Franklin. I poliziotti ti condussero in strada come un delinquente. Le telecamere ti inquadrarono impietosamente. Piangevi e, dentro di te, urlavi contro quella vile messinscena. Nelle immagini, scorgemmo l’agente donna dai capelli rossi che ti era stata messa alle costole fingendosi una tifosa di calcio.

I tifosi che erano tra la folla urlarono ancora l’amore e l’ammirazione per te mentre i flash dei fotografi illuminavano il tuo viso triste. Ti consideravano un figlio del popolo, eri uno come loro, ti volevano bene.

Ti fecero salire sull’auto della polizia. Facesti un sorriso rassegnato. L’auto ti condusse al Dipartimento antinarcotici in Avenida Caseros. Durante il tragitto, piangesti. Ti stavano trascinando nella polvere senza un minimo riguardo umano. Al Dipartimento arrivarono Claudia e Marcos Franchi. Trascorresti la notte in isolamento e ti prelevarono campioni di urina. Avessero trovato tracce di cocaina, gli sarebbe servito per incriminarti.

Il magistrato Amelia Berraz de Vidal, una donna dal viso di ghiaccio, i capelli corti e biondi, arrivò il giorno dopo, a mezzogiorno. Sostenesti con lei un duro faccia a faccia. Ti misero di nuovo le manette per condurti al Tribunale. Marcos Franchi vi aveva convocato gli avvocati Pablo Rabley ed Ernesto Pangerber. Ma a tutti fu vietato di parlare con te. La polizia comunicò che nell’appartamento di Calle Franklin aveva sequestrato 40 grammi di cocaina.

Claudia ti portò un giubbotto di pelle nera. Lo indossasti per presentarti davanti al giudice. Dovesti sostenere l’interrogatorio con i polsi ammanettate dietro la schiena. Una condizione infamante prevista dalla procedura argentina. Furono interrogati i tuoi due amici.

Il quotidiano argentino “Cronica” rivelò che, dopo la notte passata in carcere, ti eri risvegliato, ti eri reso conto di dov’eri e avevi gridato: “Voglio morire”.

Leggevamo queste note, a Napoli, con la morte nel cuore. Il tuo Paese continuava a trattarti come un criminale. Non sarebbe successo in Italia.

Pretendesti che ti interrogassero subito. Ma il giudice arrivò solo a mezzogiorno e, alle cinque del pomeriggio, eri in Tribunale per il secondo interrogatorio. Nessuno sapeva di che cosa eri incriminato, qual era il tuo reato.

Così passò tutto il sabato ed era il 27 aprile.

Per tredici ore fosti a disposizione dei giudici. Un lungo interrogatorio. Qualche notizia incerta.

Alle due di notte della domenica la prima buona notizia. Venivi scarcerato, in libertà provvisoria, grazie a una cauzione di ventimila dollari, circa 26 milioni di lire. Marcos Franchi disse: “Diego ha confessato di essere ricorso alla droga in più occasioni negli ultimi tre mesi”. Il pubblico ministero Roberto Amallo ipotizzò che saresti stato processato “per possesso e fornitura gratuita di droga”. Il rischio erano un anno e sei mesi di carcere, ma fu anche ventilata l’ipotesi che un soggiorno in una casa di cura per la riabilitazione avrebbe potuto sostituire il periodo di detenzione.

Nella notte lasciasti il carcere. Ti portò via Marcos Franchi su una Peugeot. A bordo c’era un tuo grande amico: Carlos Bilardo, il commissario tecnico della nazionale argentina con cui avevi vinto il Mondiale 1986. Raggiungeste la tua abitazione in Calle Correa.

Ci consolarono le dichiarazioni di Marcos Franchi: “E’ un altro Diego. L’ho trovato immenso, gigantesco. E’ nato un nuovo Maradona”. In Italia, il professore Antonio Dal Monte, che curò la tua preparazione al Mondiale 1990, disse: “Se Diego non si lascerà andare troppo potrebbe essere ancora recuperabile senza alcuna traccia di questo suo triste periodo, ma deve avere la forza di uscirne”. I medici argentini dissero: “L’atleta è ancora integro, recuperabile, però l’uomo è fragile”.

“Dieguito tornerà a giocare al calcio e a riempire gli stadi argentini, se sarà necessario lo allenerò io” disse Carlos Bilardo. “E’ un ragazzo buono, un tipo semplice. Ha commesso un errore e bisogna salvarlo per impedire che ci ricada. Gli ultimi quattro mesi sono stati terribili per Diego. Ha sofferto molto. Le vicende italiane lo hanno stressato al punto da costringerlo a cercare rifugio nella droga. Sa che deve affrontare un trattamento e uscirà da tutto questo. La squalifica di quindici mesi non sarà un problema”.

Questo disse Carlos Bilardo che si prodigò per raccogliere in una notte i ventimila dollari della cauzione e non disse mai che quei dollari erano suoi.

Continua

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13/4/2005
  
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