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Cronaca
Un mito, Alberto Giovannini
di Mimmo Carratelli
Il nuovo “Roma”, diretto da Antonio Sasso, ha festeggiato i suoi dieci anni di vita. Il giornale è l’erede della più antica testata napoletana. Il “Roma”, fondato da Diodato Lioy, vide la luce il 22 agosto 1862 nella stamperia del tipografo Giovanni Brombeis al vico Luperano al Cavone, nei pressi di piazza Dante.

Come annota Piero Antonio Toma nel suo magnifico libro “Giornali e giornalisti a Napoli”, fu “un foglio nuovo per i napoletani, una creatura irrequieta, temeraria, dagli argomenti di facile presa, quotidiano coraggioso, niente affatto ligio o ossequiente alla autorità”. Il “Roma” di Antonio Sasso ha conservato lo spirito battagliero degli inizi del giornale.

Antonio Sasso è uscito dalla “covata” di magnifici giornalisti che fu il “Roma” degli anni Cinquanta e Sessanta, allievo di Antonio Scotti nella redazione sportiva, il grande Tonino che ci insegnò a tutti garbo e correttezza professionale. Le grandi firme di quel “Roma” hanno i nomi di Antonio Savignano, Baldo Fiorentino, Ennio Mastrostefano, Sandro Castronuovo, Nando Canessa, Bruno Stocchetti, Sandro Calenda, Mario Gherarducci.

Sono cresciuto da “abusivo” e poi diventato giornalista in quel “Roma” lavorandovi dal 1957 al 1980 con una breve parentesi nel 1978 quando volli fare un’esperienza milanese a “La Gazzetta dello Sport”. Voglio ricordare il direttore che firmò il mio primo contratto da professionista, Alberto Giovannini.

Alberto Giovannini non è stato solo il più grande direttore che abbia avuto. E’ stato un mito. Venne al “Roma” di Lauro alla fine degli anni Cinquanta dopo Alfredo Signoretti, un altro gigante del giornalismo benché avesse l’altezza di Maradona, un metro e sessanta, profondo conoscitore degli etruschi, il suo hobby storico. Giovannini diresse il “Roma” dal 1959 al 1972 e poi dal 1976 al 1978.

Era alto, affascinante, il naso forte del conquistatore, la passione per i cavalli, la spada affilata della polemica, fiero, incorruttibile, leale, ammirato dagli avversari, amato dalle donne, temuto dai ferlocchi di ogni versante. Aveva l’andatura suggestiva dei grandi attori di Hollywwod, diciamo Gary Cooper.

Più di Giovanni Ansaldo, monumentale direttore de “Il Mattino”, austero, immenso giornalista che incuteva soggezione, Giovannini amò Napoli col cuore e con le sue grandi battaglie. Aveva lasciato la famiglia a Roma e viveva all’Hotel des Londres.

Arrivava al giornale verso mezzogiorno passeggiando con gusto dall’albergo al “Roma” in via Marittima. Credo sia stato l’unico che intimidisse il Comandante che gli rilasciava assegni in bianco per i suoi compensi. La moglie, deliziosa, veniva di tanto in tanto a Napoli. Più spesso veniva una delle sue due figlie, Marzia, gran bella ragazza, popolarissima da quando il padre, sul “Borghese” di Leo Longanesi, aveva intitolato la sua rubrica “Lettera a Marzia”, confessioni di un italiano vero a sua figlia.

E’ stato il direttore che mi ha fatto praticante. Gli volevo un gran bene (era molto amico di mio padre) e lui me ne voleva senza però farsene condizionare il giorno in cui, per una mia presuntuosa protesta, mi disse: “Domani puoi passare in amministrazione, c’è la tua liquidazione”. Una lezione da direttore.

La sera ero uno dei suoi due prigionieri preferiti, a turno con Sandro Castronuovo. Alle 22 appariva sotto la soglia della stanza dove lavoravo e mi guardava soltanto. Quello sguardo era un ordine. Dovevo tenergli compagnia a cena. Ristorante fisso “Ciro a Santa Brigida”. Innamorati pazzi di lui i fratelli Pace. Memorabili le scorpacciate di ceci e pasta e ceci. Era la minestra che preferiva e a me piaceva moltissimo. Scriveva il “fondo” al ritorno in redazione, mezz’ora prima della “chiusura” del giornale dopo averlo battuto a macchina con sicurezza. C’erano ancora le linotype e correvamo tutti a leggerlo mentre il linotipista lo trasformava in righe di piombo. L’articolo non superava mai la colonna e mezza del giornale: asciutto, vigoroso, incisivo. Ne dettava anche i titoli che erano sempre un gioiello di sintesi ed efficacia, spesso stoccate micidiali. Indimenticabili quello sui “sette puttani”, gli assessori che avevano abbandonato Lauro per passare alla Democrazia cristiana e, in un’altra occasione, “La fessa in mano alle creature”. La porta della sua stanza era sempre aperta.

Andavo per lui a Forcella dove, a quei tempi, si trovavano i suoi sigari preferiti, gli “Hav-A-Tampa”, profumatissimi, della Florida. Presi a fumarli anch’io. Quando lo accompagnavo ad Agnano andavo a giocare per lui le scommesse. Giocando un gran mucchio di biglietti, vinceva spesso e rideva dei miei pochi biglietti e delle immancabili perdite che assommavo.

Suo fedele scudiero era Carmine De Luise, redattore capo gentiluomo, che teneva in pugno il giornale con una calma e una serenità ammirevoli, senza farsi mai prendere dal nervosismo anche nelle serate più agitate e confuse per il sovrapporsi degli avvenimenti.

Alberto Giovannini non è stato solo un grande giornalista e un grandissimo direttore. E’ stato un uomo dalla schiena dritta. Il più bel “Roma” del dopoguerra è stato il suo. Certo, era un altro mondo e il giornalismo era artigianato puro senza le spocchie di oggi alimentate dalla televisione. E il “Roma” fu una fantastica famiglia fondata sulla stima e sull’amicizia che ci rendeva compatti e scatenati, a fianco degli amici tipografi.


13/10/2006
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