Recensioni
Tommaso e l’algebra del destino di Enrico Macioci
di Luigi Alviggi
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Le tante sfortune le seguiremo, stupiti e preoccupati, sia quelle iniziali che successive, aggiungersi via via nel corso della vicenda per una rara combinazione di eventi.
Davvero singolare la trama di questo romanzo di Enrico Macioci - (L’Aquila, 1975), pluriscrittore bilaureato - che sviluppa un soggetto molto specifico e coinvolgente, distopico, di certo raro ma non assurdo come testimoniano tragici eventi simili accaduti in passato e largamente pubblicizzati sui media.
Qui, in effetti, è il destino a intervenire in maniera determinante e non la balordaggine, per non dir peggio, di qualche genitore che, avendo altro in testa - cosa vera questa anche per Giorgio, avvocato 42nne alto e atletico, padre di Tommaso - dimentica la cosa più importante.
Giorgio “
raramente si accorgeva di un qualsiasi fenomeno che non riguardasse se stesso”, è mentalmente posseduto dalle grazie della recente amante da pochi mesi che sta andando a trovare ma con la quale ha una burrascosa telefonata via auricolare mentre sta guidando “
alternando scoppi di rabbia a silenzi assorti”. Tommaso, legato sul sedile posteriore dell’auto nel seggiolino bimbi, sente dire al microfono “
Lo lascio in macchina”.
Giunto a destinazione il padre, del tutto dimentico del figlio, lo abbandona nell’auto chiusa che a breve sarà raggiunta e martoriata dal solleone di agosto. Rosalba, sospettata dalla moglie Sonia quale amante del marito, ha spento il telefono infuriata proprio perché lui non ha ancora parlato del loro rapporto con la consorte, e ora l’amante convulso la cerca invano insistendo con le chiamate.
Le quattro parole “
lo lascio in macchina!” si stampano a fuoco nel cervello del piccolo e saranno il leitmotiv di tutto lo sviluppo a seguire e delle sventure a venire. Figlio unico, non è entusiasta del precario rapporto col padre, preferisce di gran lunga quello con la mamma, impegnata in ufficio quel giorno per un lavoro grafico, ma ancor più quello con i nonni, infaustamente impossibile perché il nonno è a letto con la febbre, la prima e più grande sfortuna di Tommaso.
Sonia, dopo dieci anni di matrimonio e cinque di fidanzamento, prima di andare al lavoro si trova a rimbeccarsi con il marito di buon mattino dello stesso giorno per la probabile fine a breve del loro matrimonio. Giorgio è però ancora indeciso (memore forse del detto “chi lascia la via vecchia per la nuova….”) e tentenna, ma Rosalba fisicamente gli piace moltissimo.
Uscito di casa col bambino chiama dall’auto l’amante e il figlio segue, per quello che può, l’accesa discussione tra i due. Altra terribile disgrazia sarà, oltre le serrature bloccate dell’auto, che Tommaso non ha la forza di sbloccare il fermo centrale del seggiolino che lo inchioda al sedile posteriore con le sue manine, servendo allo scopo una doppia pressione sia sul bottone centrale che sulle alette laterali.
Un libro senz’altro originale e accattivante, arricchito da un’esposizione lineare, piana e piacevole, e la partecipazione attenta del lettore alla drammatica sequenza infausta lo rende ancora più avvincente.
Ben sette sfortune iniziali, annotate dal Macioci, si addensano sul capo del povero bimbo, e molte altre seguiranno dovute anche all’incapacità di Tommaso di reagire in maniera utile ai pochi eventi esterni legati al passaggio di individui in prossimità dell’auto parcheggiata. Ostacolano poi, a renderlo poco visibile dall’esterno, anche le tendine sui vetri posteriori dell’auto e l’essere questa ferma nel ponte di Ferragosto in una via periferica di un piccolo centro di provincia.
Messo fuori gioco il padre da una imprevedibile disgrazia, come ne avvengono tante nelle strade, il percorso di salvezza si fa ancora più stretto e lungo, ed è il caso di citare ancora la saggezza popolare “
le disgrazie non vengono mai sole” (“
nulla calamitas sola” dei nostri antichi avi).
“
La solitudine allunga il tempo, lo rende appiccicoso come un chewing gum. La solitudine fa crescere i bambini più in fretta, sottrae loro il sogno dell’eterna felicità, scolpisce meglio i confini indefiniti del mondo. La solitudine non rispetta le regole del tempo. La solitudine è un’onda di tempo senza frammenti, è puro tempo nudo e crudo”.
Il prolungato stare solo diviene la prima ossessione di Tommaso. Ha ancora fiducia che il padre torni a liberarlo dalla pessima situazione ma non riesce più a tollerare l’isolamento. Il pianto ha la meglio, unendosi al sudore e alla pipì non trattenuta: un vero inferno di malesseri scurito dai pensieri che deve essersi macchiato di una colpa grave perché il padre lo abbia lasciato chiuso in macchina.
Dalla tasca dietro il sedile anteriore si affacciano un bicchiere con l’acqua e una confezione di wafer, vicini ma irraggiungibili, il seggiolino non permette di arrivarci! Non sa inoltre urlare per richiamare l’attenzione di qualche raro passante che si muove in vicinanza, la paura e l’inerzia lo sopraffanno.
“
Purtroppo non tutte le opportunità si traducono in fatti. Fortuna e sfortuna si alternano invisibili al nostro fianco, ma raramente ce ne accorgiamo: la vita fa le addizioni e le sottrazioni, noi vediamo solo il risultato finale e gioiamo o ci addoloriamo in base a quello. La vita è un’algebra ancora da decifrare”.
Al passare delle ore, la solitudine e la fame crescente giocano un brutto scherzo al povero Tommaso: gli fanno materializzare affianco Valerio Frasca, compagno all’asilo, a “
godersi” lo spettacolo. I due sono gli alunni migliori della classe ma Valerio è bravo e cattivo, Tommaso bravo e buono.
La prima cosa pronunziata da Valerio è “Non verrà” con riferimento al padre. È una presenza intermittente ma ogni volta che compare viene a caricare di acidi commenti una situazione già di per sé pessima: “
Tu non uscirai più di qu” gli sussurra.
Intanto Sonia continua a chiamare al cell il marito, non ricevendo risposte di alcun tipo. Questo perché, per un’altra disgrazia del bimbo, il telefono del padre è fuori uso, irraggiungibile.
Purtroppo, ancora disgrazia, la madre, distratta dalle varie faccende, continuerà a indugiare con vane chiamate distanziate nella giornata permettendo ai nuvoloni minacciosi di addensarsi senza varchi: pensa sia il marito a bloccarle la chiamata…
Nel pomeriggio si confiderà solo con la madre, inutilmente, tacendo la forte preoccupazione relativa e mentendo, alla sua chiamata serale di controllo, sul fatto che figlio e marito sono già tornati a casa.
Il verdetto della disastrosa giornata è drammatico al massimo grado. Quando il destino decide di infierire su uno o più individui, impossibili a prevedersi le conseguenze e, dopo il suo tocco fatale, è difficile ritrovarsi sulla strada percorsa fino all’istante prima.
La sua algebra è davvero ignota e indecifrabile. E solo un’unica coincidenza finale, almeno una, servirà a trovare un bandolo risolutivo, anche se forse peggiorativo, ai nostri protagonisti sbattuti da flutti tempestosi su rocce aguzze.
“
I morsi della fame gli tormentarono la pancia, seguiti da quelli più subdoli della sete. (…) I finestrini erano tutti chiusi, suo padre non aveva lasciato nemmeno lo spiraglio di un’unghia tra lui e il mondo. Si sentì soffocare. La sensazione partì dal cervello e si trasmise al corpo, rapida come il fronte di un incendio che divora un bosco. (…) Era un pesce in un barile. Era una mosca in un bicchiere capovolto. Era una formica in una colata di cemento”.
“
Nella testa di Tommaso scattò un clic. Una porta fino a quel momento aperta - la porta della stanza luminosa che ospitava le fate, i maghi, Babbo Natale, gli gnomi, gli unicorni - si chiuse con un colpo secco lasciandolo fuori, al buio”.
Quello di travolgente che succede in questo caso è che la “bella” famigliola del mattino finirà col trovarsi, nel breve volgere di ore e per esclusive circostanze esterne, su strade ben diverse da quelle percorse sino al giorno precedente...
Luigi Alviggi
Tommaso Macioci: Tommaso e l’algebra del destino
SEM, 2020 - pp. 164 - € 16,00