Cronaca
I 160 anni del “Roma” uno dei più antichi giornali italiani
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 22.08.2022)
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Ciao, vecchio “
Roma”, 160 anni oggi, da quel primo numero uscito il 22 agosto 1862, un venerdì, dalla tipografia al civico sette del vico Luperano nel quartiere Avvocata, giornale garibaldino e mazziniano, una scommessa di Diodato Lioy, il primo editore, con quel nome, “
Roma”, omaggio della generosissima città di Napoli, che era stata capitale di un regno, alla capitale dell’Italia unita, primo giornale della nuova Italia.
Centosessanta anni sopravvivendo alla bieca interruzione d’inizio 1980, a travagli e difficoltà, in pista ancora oggi grazie a un manipolo di giovani giornalisti di dedizione assoluta e riconosciuto valore, un miracolo dell’editoria minore avventurosa e appassionata mentre tutta l’editoria va a rotoli in un Paese che non legge più, la scuola prima imputata, e si assottigliano anno dopo anno i lettori di giornali sovrastati da internet, dai social, dalla televisione, dagli smart-phone.
Un mondo che corre veloce, superficiale e incolto, giudica lenti e superati i giornali. Ci si chiede, di questo passo, quanto resisterà ancora la “
carta stampata”, una volta unica fonte di conoscenza del mondo. Se sono sempre meno i giovani che comprano un giornale, la fine è vicina.
È tutto un mondo che se ne sta andando, il mondo dei giornali, il “
Roma” resiste grazie allo spirito di sacrificio e alla dedizione dei suoi giornalisti, i giornaloni accusano perdite enormi, la pubblicità dirotta i suoi investimenti sulla televisione.
Un giornalismo di corsa ha cancellato il giornalismo romantico dei miei tempi, vent’anni nel “
Roma”, da quando avevo ventitré anni, ed era il mestiere più bello del mondo, un artigianato che diventava di alta classe per il contributo di giornalisti di grande livello, maestri indimenticabili.
Sono ormai più di vent’anni che il giornale nasce sui computer con riduzione di forze-lavoro. Il mio giornalismo è finito quando il “
progresso” ha cancellato la tipografia, le macchine per scrivere, le redazioni affollate, una vita pulsante di impegno e vanità con personaggi irripetibili, gli ultimi “
artisti” della carta stampata.
Ho capito che non era più il mio mondo quando fummo inchiodati al computer con i menabò prestabiliti. La creatività era finita. Fummo condannati a un sistema produttivo, la pubblicità più importante dei contenuti del giornale.
Finirono il ticchettio delle telescriventi, l’odore del piombo, il fruscio delle linotype, il ruggito delle rotative. Perdemmo i migliori compagni di lavoro, i tipografi che, per esperienza, sapevano giudicarci. Era in tipografia dall’apprezzamento o dalla noncuranza dei tipografi che ci accorgevamo com’era andato il nostro lavoro.
In questo, il “
Roma” dove ho lavorato per vent’anni è stato una “scuola” magnifica, la gavetta era dura ma estremamente formativa. Questo avvenne dagli anni Sessanta agli Ottanta. Prima sotto la direzione di Alfredo Signoretti, viterbese, un epicureo, esperto di politica estera e della storia degli etruschi, veniva da “La Stampa” e innovò in mille modi il “Roma” suggerendo una serie di inserti di successo.
Era piccolo, una piccola trottola sempre in agitazione, addentando la vita. Al mattino, d’estate e d’inverno, prendeva il sole sul balcone della pensioncina di via Caracciolo dove abitava, bagno di mare allo Scrajo, poi il giornale, nel pomeriggio al cinema, poi ancora in redazione, a sera a teatro e quindi al giornale per controllare la “
chiusura” delle edizioni, sempre in fuga da una redazione all’altra arraffando a piene mani pezzi delle pizze che stavamo avventurosamente gustando.
Poi Alberto Giovannini, bolognese, uomo affascinante e polemista al curaro, alto e magnifico come uno degli attori di Hollywood di quei tempi, giocatore di cavalli, fumatore di sigari speciali, gli
Hava Tampa con bocchino di legno, che andavamo a prenderglieli a Forcella, alloggiava al Grande Hotel de Londres in piazza Municipio, a sera i fratelli Pace di Ciro a Santa Brigida erano ai suoi piedi, il piatto preferito era pasta e ceci.
Signoretti e Giovannini sono stati due guide illuminanti e suggestive, mentre con una calma incredibile Carmine De Luise, unico redattore-capo, organizzava il giornale, nessuna grossa notizia lo agitava, non lo agitò il dispaccio di agenzia che Cesarino Giglio, addetto alle telescriventi, corse a portargli sventolandolo e urlando “
è morto Kennedy”.
Fui preso al “Roma” da abusivo nel 1957 raccomandato da mio padre, responsabile della redazione napoletana de “Il Giornale d’Italia”, a Ludovico Greco allora redattore-capo, detto Lulù e innamorato perso di una giornalista che somigliava all’attrice Giovanna Ralli. Con mio padre avevo imparato il mestiere e a lui devo il buono che sono riuscito a fare. "
Che cosa sai fare?", mi chiese Lulù. Detti una risposta incerta.
Mi mandò a fare il giro degli ospedali per portare notizie di ferimenti e omicidi. Fui promosso poi a reporter nella sala stampa della Questura. Da abusivo cacciato e ripreso perché la continuità di lavoro non mi desse diritto all’assunzione.
Non ci crederete, una vita bellissima. Infine, assunto da Giovannini.
Tanti anni in cronaca, poi il passaggio alla redazione sportiva. In cronaca, Bruno Stocchetti picchiava sulla macchina per scrivere alla velocità della luce. Enzo Perez, reporter formidabile, scriveva con la mano sinistra, unico reporter che a quei tempi scovava le notizie e scriveva gli articoli, velocissimo a farlo mentre il giornale era già pronto per essere stampato. Aveva un archivio di cronaca nera al quale attingevano persino i carabinieri e la polizia.
In cronaca grande affiatamento col mio amico indimenticabile Sandro Castronuovo. Coetanei, eravamo i “
gemelli” della cronaca. Franco Scandone, formidabile organizzatore del “
Roma del lunedì”, ci definì “
i Dioscuri”. Allo sport, Antonio Scotti fu mio maestro con un affetto straordinario, ricambiato.
È stato un mestiere magnifico, al “
Roma” eternamente legato anche allontanandomene con le mie peregrinazioni a “La Gazzetta dello sport”, al “Guerin sportivo”, a “Stadio-Corriere dello sport”, a “Il Mattino”. Eravamo una famiglia in quegli anni Sessanta e Settanta con screzi minimi e affetti profondi incisi nel tempo.
Un unico “
disguido”, la testata. Quando si andava all’estero, al seguito del Napoli, e non c’era ancora la teleselezione, si contattava il giornale attraverso i centralini internazionali. Davo il numero di telefono del giornale specificando che si trattava del giornale “Roma” di Napoli.
Puntualmente, i centralini mi dirottavano su un numero privato di Roma. Ho assorbito più volte le maledizioni di una signora romana svegliata a notte tarda quando dovevo dettare gli articoli sulla partita del Napoli.