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Recensioni
La città dolente
di Luigi Alviggi
Axel Munthe (1857 - 1949), medico e scrittore svedese - celeberrimo Autore dell’immortale “La storia di San Michele”, romanzo del ‘29 tradotto in quasi ogni lingua del mondo - inizia la sua lunga e multiforme storia d’amore con l’incantevole Isola di Capri nel 1876, non ancora ventenne.

Come ogni amore immenso lo accompagnerà per tutta la vita, partendone e facendovi puntualmente ritorno più volte - un pellegrinaggio! - perché ogni vera passione è intrinsecamente legata all’intera esistenza umana e l’innamorarsi di qualcosa di inanimato è forse il miglior esempio di un trasporto che non può venire alterato da qualsivoglia evento esterno.

La città di Napoli, in un certo senso, fu marginale a quest’amore, come un congiunto stretto dell’amata incapace di intaccare in alcun modo la sostanza del sentimento principe.

L’epidemia cittadina di colera del 1884 fu una parentesi nella quale il medico, mosso dagli alti principi morali e professionali, accorse e si profuse al meglio nel soccorso degli appestati.

Questo accadde tra gli ultimi mesi dell’84 e i primi dell’85 e, oltre a soccorrere e curare, fu anche una sua occasione letteraria come corrispondente di un giornale di Stoccolma (Stockolms Dagblad) cui inviava lettere poi raccolte con il confacente titolo “Lettere da una città dolente (Letters from a mourning city, 1887)”.

Il sottotitolo di questo volumetto è appunto “Lettere da Napoli” e apparve in Italia nel 1910. Gli articoli parlano di dolori, patimenti e morti diffuse, specie nei quartieri più poveri ed emarginati, ma anche di episodi di sostegno sociale da parte di coloro dai quali meno si aspetterebbe, cioè da quanti hanno poco ma non esitano a dividerlo o a privarsene addirittura dinanzi la comune sofferenza! La misera “genterella” che più soffrirà il tutto - quella “che non ha mai potuto concedersi il lusso di sentire il sapore della carne” - sarà la migliore fonte d’ispirazione per l’Autore.

Episodi che colpiscono a fondo il medico e lo aprono a maggiore partecipazione e coinvolgimento verso la capitale, squarciando quel velo che l’aveva posta sempre in secondo piano rispetto all’amore maggiore.

Credo non sia fuori luogo affermare che, nell’animo, il sanitario si trasforma, dinanzi alle tante tragiche vicende cui gli tocca assistere, in un “caprese napoletano”. Osserva Emanuele Cerullo nella sua attenta introduzione:

Gli ospedali sono luoghi in cui si entra da vivi e si esce, fatalmente, da morti; il medico-scrittore viene accusato di essere nient'altro che un ammazzacane, tuttavia non rinuncia mai ad empatizzare coi suoi pazienti, anche se le vicende narrate lo pongono in una posizione marginale, da comparsa, perché là dove ci si sente «cupo come un plebeo», il buio della miseria e del degrado genera apparizioni, voci, lamenti, attimi da decifrare con una certa prontezza. Ma nei fondaci tutto sembra fuggente, fulmineo, e quella comprensione si rivela complessa, come afferrare pulviscoli nel buio.

Al giovane medico si aggiunge un perfetto - per l’ambiente - trio di assistenti-accompagnatori: l’asina Rosina, filosofa quanto anzi più del suo cliente, il cane Puck, affettuoso e fedele come ogni esponente della razza, e l’”aiuto” Peppiniello, intrigante e simpatica figura di “scugnizzo partenopeo”.

La prosa di Munthe riecheggia risonanze poetiche - è pur vero che a scrivere è un giovane 27nne rigurgitante immagini di memorie stupende e generoso di sorrisi immotivati -, ma questo tocco arriva a diffondere una luce diversa anche sul più tetro degli spettacoli descritti.

È il caso, appena giunto a Napoli in treno da Roma, dello scoprire che nessuno è ad attenderlo in stazione e che la casa che lo ha ospitato l’ultima volta è “Chiusa per ordine della Commissione Sanitaria”: la padrona, l’allegro e disponibile figlio Pasqualino, e la piccola Teresina dai “neri occhi” sono stati spazzati via dall’uragano coleroso. Osserverà poi il medico (come tante volte accade):

le cifre ufficiali sono al di sotto del vero, e non danno un’idea esatta della strage prodotta dal morbo (…) le autorità cittadine furono costrette a noleggiare gli omnibus di Portici per trasportare i morti al cimitero

e tutti noi abbiamo ancora negli occhi immagini molto recenti di cose altrettanto tragiche e impreviste...

Una cosa davvero preziosa riuscirà comunque a farla per la città questa terribile epidemia: sarà l’occasione per “sventrare Napoli”, cioè abbattere isolati abitativi in stato di completo degrado per dare spazio, aria, e case almeno accettabili in luoghi del tutto invivibili.

Il premier di allora Agostino Depretis (1876 - 1887) si darà molto da fare per attuare questo progetto, sempre in primo piano e mai in esecuzione (una caratteristica della napoletanità?). La febbre tifoide è peraltro endemica in città, oltre ad altri malanni vari propagati da sporcizia e fame diffuse in forme incredibili nei luoghi più poveri.

La popolazione è di poco inferiore al mezzo milione di abitanti e quasi un decimo di loro abitano nei “fondaci”, tuguri senza luce simili a misere stalle più che stanze, dove si affollano sempre famiglie numerose. Per non parlare poi di quelli che vivono perennemente all’aperto, non avendo un tetto di alcun tipo a coprirli.

La miseria di allora ha per noi moderni aspetti davvero incredibili. Penso che nessun essere umano, per quanto derelitto, possa oggi avvicinarsi all’assurda realtà del possedere in pratica nulla, solo il lercio abito che lo copre e un lurido straccio sul quale stendere il corpo per riposare.

Axel avrà la bravura e la fortuna di salvare la vita alla figlia, quasi all’ultimo stadio, di un camorrista. Sarà una vera benedizione per lui innanzitutto perché, girando spesso di notte per vie malfamate a portare cure agli ammalati, sarà protetto indirettamente da quest’amicizia, e poi perché don Salvatore, il padre, riuscirà a ritrovare e portargli indietro l’affezionato Puck. Succedeva allora che un cane venisse rapito per chiedere poi al padrone un riscatto per la restituzione.

La prosa del Munthe, semplice e lineare, approccia con riferimenti i grandi classici - Leopardi, Goethe, Kant, Virgilio, e molti altri - con citazioni brevi ma pertinenti su quanto va descrivendo.

Affiora l’uomo dagli ampi studi, non certo solo medici, ma letterari e filosofici sui quali ha potuto costruire - come tanti altri - il proprio carattere e le elevate attitudini sociali che lo distinguono. Forse, essendo frutto di un giovane non ancora trentenne, si può muovere la critica di essere in qualche tratto descrittivo alquanto enfatico, ma cosa non si perdona a un ragazzo di quest’età? E come non restare affascinati da una descrizione di questo tipo:

Avete notato che una donna di Napoli, per quanto misera sia la sua casa, e cencioso il suo aspetto, quasi sempre porta qualche grazioso vezzo di perle o di coralli attorno al collo o fra le sue trecce nere? Vi è qualche cosa in questo popolo, del quale essa è figlia, che non è guastato dalla degradazione completa, qualche cosa che sopravvive a secoli di miseria e di oppressione. È il retaggio che gli fu legato dalla Grecia e da Roma.
Anche oggi, fra i cenci e il lezzo, vedete tipi che recano l'impronta di una bellezza imperitura sulla fronte; anche oggi fra le giovinette che vi passano davanti portando, come bestie da soma, gravi pesi sulla testa, vi imbattete in modelli viventi delle Cariatidi dell'Eretteo; anche oggi tra i pescatori di Mergellina potete riconoscere le nobili fattezze della dinastia dei Giuli; anche oggi fra i ragazzi che giocano a Santa Lucia rievocherete il puro profilo di Antinoo, dal ciglio pensoso e dagli occhi sognanti; anche oggi vedrete un lazzarone avvolgersi nel suo lacero mantello, come Cesare nel suo manto, mentre cade accanto alla statua di Pompeo.
E malgrado tutti i difetti che qualificano questo popolo, si resta alcuna volta colpiti da una certa nobiltà, da una certa magnanimità, che fa tornare in mente giorni di uno splendore che non è più. È come se ci trovassimo in mezzo al Foro Romano, dove, fra brutte e volgari case moderne, l'occhio si posa sopra colonne di templi in rovina, e sopra archi trionfali di Imperatori!


E alcuni, come me, tra le tante cose scoprono che il nome Punta della Campanella - lingua di terra limite spartiacque sul lato sud del Golfo di Napoli dal Golfo di Salerno - prende il nome dal fatto che vi suonava una campana d’allerta per avvisare gli abitanti della costa dell’arrivo prossimo dei pirati.

È morto il colera, evviva la gioia!

Luigi Alviggi
Axel Munthe: La città dolente
Introduzione di Emanuele Cerullo
Colonnese, 2022 - pp. 176 - € 10,00
4/6/2022
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