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Recensioni
Il terzo uomo
di Luigi Alviggi
Cosa di meglio in un cupo thriller - o in qualcosa che molto gli somiglia - che iniziare la storia con un bel funerale nel Cimitero Centrale di Vienna a febbraio, quando il gelo impietrisce la terra al punto da costringere i becchini a far uso di trapani elettrici (allora!) per calare la bara nella fossa?

Siamo alla seconda guerra mondiale finita da poco e anche Vienna, quasi rasa al suolo e occupata dalle Forze Alleate, è spartita in quattro parti sotto il controllo di ciascuna potenza vincitrice. In poco tempo nella stessa zona ci saranno tre funerali accomunati da uno stesso crimine.

La Gran Ruota del Prater rimane attiva, pur ferma gran parte del tempo per assenza di clienti ma visibile da ogni punto della città, ostinandosi a voler mantenere in vita ricordi di spensieratezza di cui è andato perso il gusto dopo sei anni di guerra.

In una sua cabina si svolgerà la scena principe del romanzo.
La vicenda narrata si svolge in pochi giorni. A Vienna giunge Rollo Martins, amico fin dal tempo di scuola di Harry Lime, per incontrarlo dopo lungo tempo. Giunto all’abitazione di questi, invitatovi come ospite, Koch, vicino di casa, lo informa che l’amico è rimasto vittima di un investimento d’auto e che da poco è stato portato via il corpo per la sepoltura.

Sapremo poi che “il terzo uomo” è quello visto da questo vicino - con altri due, amici usciti dall’edificio con Harry e che Rollo ritroverà a breve - trasportare il cadavere in casa sua poiché l’uomo è stato travolto appena uscito dal portone.

Uomo frastornato da alcol e pene d’amore, Rollo riacquisterà presto un’ottima forma per la morte dell’amico. È stato chiamato a Vienna per scrivere articoli sugli aiuti ai rifugiati. Scrittore poco noto di western, per firmarli usa lo pseudonimo Buck Dexter. All’arrivo in aeroporto verrà confuso da un inviato del British Council, Crabbin, con un altro Dexter, molto più celebre, atteso in loco per una conferenza.

Il narratore della storia, Calloway, è un colonnello di Scotland Yard che osserva le vicende aggrovigliarsi sotto gli occhi, pur facendo del suo meglio per chiarirle.

Nei pensieri di Rollo, Calloway comparirà come un Callaghan qualunque (l’omonimo ispettore filmico è di là da venire), quasi a volerlo identificare con un modesto irlandese di scarso valore…

Terminato il funerale, Calloway aggancia Rollo con lo scopo di migliorare le conoscenze sulla vittima ma finiscono col venire alle mani in un bar. Il colonnello sa che Harry era un poco di buono ma ancora brancola nel buio e Rollo, un po’ pesto, lo sfida promettendo che scoprirà l’autore del delitto - nel quale crede subito per dettagli contrastanti - facendogli fare la figura dell’idiota.

Divenuto detective, comincia le indagini da Kurtz, amico del morto cui è stato affidato dallo stesso, dalla sua donna Anna già notata in lacrime al funerale e di cui presto si innamorerà, dal suo medico Winkler che appare strano, e tornando da Koch che ha visto trasportare la vittima dalla finestra sulla strada.

Lavorando all’obitorio di città è arcisicuro che l’uomo fosse già morto. Tra le cose a non quadrare, oltre il numero di portatori del cadavere, è che alcuni lo dicono morto all’istante, altri invece che abbia prima detto qualcosa. Presenti di sicuro alla disgrazia gli amici Kurtz e Cooler, l’autista investitore che sotto shock non si è mosso dall’auto e, forse, un misterioso terzo uomo.

Più affonda le ricerche, più la scena si ingarbuglia tra contrasti su numero di presenti, su istante della morte, e discrepanze sul lavoro svolto da Harry. L’assassinio di Koch, dopo una visita fatta insieme all’appartamento di Harry, lo convince che si è trattato davvero di un omicidio. Calloway, persuasosi della serietà di Rollo, lo informerà con prove convincenti che l’amico era diventato un losco trafficante di penicillina - preziosissima merce a quel tempo, e fatta dunque sulla vita delle persone - molto peggiore da come lui continuava a crederlo. E Rollo, rivelandolo ad Anna, vuole giocarsi il tutto per tutto a suo favore:
“«Ma lei riesce a capire» disse lui, in tono disperato, «come ha fatto Harry... il suo Harry, il mio Harry... a mettersi in una...? Ho come l’impressione che non sia mai esistito, che ce lo siamo sognato. Quante risate si sarà fatto, alle spalle di due idioti come noi?»”
La scena madre si svolgerà nel reticolo di fogne sotto Vienna e, come in ogni thriller che si rispetti, non ne sveliamo altro.

In questo lavoro va notato l’ottimo grado di suspense tenuto dall’Autore che non è certo un giallista. “The third man” (1950) di Graham Greene (Gran Bretagna, 1904 - 1991) ha avuto un successo incredibile, ancora accresciuto dall’omonimo film di Reed uscito prima del libro. Graham, famoso per opere quali “Il potere e la gloria” (1940), “Quinta colonna” (1943), “Un americano tranquillo” (1955), “Il nostro agente all’Avana” (1958), “Il fattore umano” (1978) e molte altre, è stato anche critico cinematografico per giornali prima della guerra. Tanti i film ricavati da suoi libri, almeno uno per ciascuno di quelli citati.

Paradossale l’ambiguità nella conferenza come grande scrittore del Dexter fasullo - tenuta da Rollo per l’equivoco di identità - nella quale Greene si toglie la soddisfazione di impallinare, un po’ per canzonatura un po’ per convinzione, taluni grandi della letteratura inglese, cui fanno corredo i pensieri di vario genere che impegnano la mente del falso letterato mentre firma, con il nome del vero autore, i libri che i presenti gli recano al tavolo in religiosa processione.

Una stravagante liberatoria da pesi remoti di un’anima seccata da schemi scontati e ripetitivi? È da apprezzarsi lo stile scanzonato, capace di cogliere l’umorismo nelle varie situazioni, e il racconto deriva in caustica ironia contro le tante incongruenze che più che mai in quel dopoguerra valevano in ogni comparto delle truppe di occupazione: difficoltà dei controlli al passaggio tra i settori, conflitti di competenze, di gestione, di cittadini con documenti falsi, di eventi critici coinvolgenti più giurisdizioni, e via dicendo.

Nel libro è riportata la preziosa nota d’autore, scritta a fine anni ’70, davvero inusuale per opere letterarie di alto livello. Scritta più di un quarto di secolo dopo la comparsa di film e libro, è una puntualizzazione per le molte divergenze esistenti tra i due capolavori.

Principia Greene: “Il terzo uomo è stato scritto per essere visto, non per essere letto.” Un esplosivo rigo rivelatore! L’opera nasce infatti - su invito del produttore Alexander Korda che voleva un film sull’immediato dopoguerra - come prima sceneggiatura per il regista Reed, dopo “Idolo infranto” (1947) nato dal breve racconto “The basement room” (1936) di Graham. Dunque solo del “materiale grezzo” per il bravo artista.

Spulciando tra vecchi appunti, l’Autore trova l’incipit, a tutta prima strambo, di un libro mancato fino a quel momento: “Avevo dato il mio ultimo addio a Harry una settimana prima, quando la sua bara era calata nella terra gelata di febbraio, e fu dunque con sbigottimento che lo vidi passare sullo Strand, senza che mostrasse di riconoscermi tra una folla di estranei.”

Il racconto nascerà da questo embrione e dalla collaborazione diretta tra i due. Si recheranno insieme a Vienna, cammineranno per le strade conoscendone i luoghi, recitando scene all’impronta e improvvisando scenari, divergendo spesso fino allo scontro diretto.

La dedica de “Il terzo uomo” recita appunto: “A Carol Reed con affetto e ammirazione e in ricordo di tutte le volte che a Vienna abbiamo tirato mattina al Maxim, al Casanova, all’Oriental”.

Ricca di importanti dettagli sulla genesi del romanzo, la nota chiarisce quanto possa essere complessa la nascita di un capolavoro, attingendo a circostanze impreviste, le più delle quali comuni nella vita di ognuno.

La svolta decisiva per la parte finale del libro verrà da un pranzo di Greene con un ufficiale inglese dei servizi segreti, sempre a Vienna, che gli chiarirà quanto fosse importante al tempo dell’occupazione la “Polizia del Sottosuolo”, cioè degli addetti all’enorme sistema fognario della città. Sotto terra c’era piena libertà di movimento tra le quattro zone senza divieti, controlli, permessi necessari, ecc.

Questi due, finito il pranzo e attrezzatisi a dovere, muovono a fare un sopraluogo diretto del posto con giustificata meraviglia per l’enorme labirinto. Ribadisce ancora Greene: “A dirla tutta, il film è meglio del romanzo, perché in questo caso ne rappresenta lo stadio conclusivo.” Sottolineiamo che in più occasioni lo scrittore ha dichiarato la piena collaborazione con il regista e l’approvazione di tutte le modifiche al testo attuate nel film.

Molto interessante anche la postfazione di Domenico Scarpa che approfondisce i diversi canoni regolatori dell’invenzione letteraria e della relativa espressione in immagini visive. Una dettagliata analisi tra le leve creative dello scrittore e l’abilità professionale del prodotto filmico finale che tanto successo di critica e di pubblico ottennero all’uscita sul mercato. E precisa: “L’atto della creazione è terribilmente strano, ed è inspiegabile quanto l’innamorarsi” . Più avanti aggiunge: “Chi confronta questo racconto con il film omonimo si accorge subito che nel film la storia è semplificata e scorciata in modo drastico, ma si attestano alla pari come ricchezza e resa di sfumature: solo che crearle per mezzo della parola e in breve spazio è più difficile.” Scarpa fornisce anche succosi particolari sulla stesura del romanzo.

Ben Pastor titola la prefazione “Il quarto uomo, cuore di tenebra mitteleuropea” , e la tesi svolta è che l’intento dello scrittore “riesce in pieno, evocando un quarto uomo: il milieu cupo, malinconico e pericoloso della Vienna postbellica. Un conradiano cuore di tenebra mitteleuropea, dove nulla è come sembra.”

Joseph Conrad (1857 - 1924) - Autore di “Cuore di tenebra” (1899) - nacque in Polonia per poi naturalizzarsi inglese. Il romanzo racconta il viaggio di risalita del protagonista del fiume Congo in Africa, e c’è un personaggio di nome Kurtz in entrambi i libri. In Conrad è un equivoco e crudele commerciante d’avorio; in Greene è un doppiogiochista per Rollo e un compare per Harry. Annota la Pastor: “i personaggi sono tratteggiati con felicità impressionistica (…) L’ambiguità regna sovrana (…) In realtà Greene ammicca, sorride, ci rammenta che tutti hanno qualcosa da nascondere.”

Passando al film del ’49 - teniamo presente: una pellicola di oltre 70 anni fa! -, conosciamo già il regista Carol Reed (Londra, 1906 - 1976). Joseph Cotten è Holly (nella versione americana, in quella italiana il nome è diventato un inspiegabile Alga) Martins, la splendida Alida Valli è Anna Schmidt, Trevor Howard il maggiore Calloway, Orson Welles è Harry Lime. Non estesa la parte di quest’ultimo ma, nel suo poco dialogare, è divenuta molto celebre la battuta sui 500 anni di pace della Svizzera e sul risultato conseguito!

Altra forte componente dello straordinario successo del film è il motivo base (omonimo) suonato alla cetra dal grande Anton Karas (Vienna, 1906 - 1985). Al Festival di Cannes del ’49 fu premiato con la Palma d’Oro, mentre l’Oscar per la fotografia nel ’51 andò a Robert Krasker.

Questi girò in un nitido e splendido bianco/nero dal tono misterioso, con scene ispiranti sospetti di importanti cose celate dall’inquisito di turno. Di gran pregio le inquadrature volte a enfatizzare le figure, cupe lungo le nebbiose vie cittadine, e straordinario il gioco di luci e ombre specie per l’idea geniale di Reed di bagnare le strade per renderle luccicanti alla poca luce notturna.

Di recente restaurato in 4K, il film è uscito di nuovo sugli schermi nel 2015. Nel 1999 il British Film Institute l’ha inserito al primo posto (!) nella lista dei migliori cento film inglesi del XX secolo.

Tante le differenze tra libro e film, come normale che sia, poche però quelle davvero rilevanti. Il personaggio di Anna acquista un enorme rilievo con Reed. Tante le scene a due tra la Valli e Cotten, sviluppando molto il dialogo diretto, assai scarso nel libro, accentuando la forza dell’amore provato da lui verso chi è rimasta schiava d’amore per il compagno scomparso, e aumentando molto il numero delle cose svolte insieme nelle indagini. In pratica il film ruota intorno loro due.

Koch è divenuto portiere dello stabile di Harry e paga molto caro il poco detto ad Alga. Di grande impegno e davvero bravi tutti gli attori principali. Ovvio: anche nel film la scena finale si svolge nel sottosuolo di Vienna!

Riecheggiando “Il ritratto di Dorian Gray” (1890) di Oscar Wilde, Greene così sintetizza il suo deviato Lime:
“il male era come Peter Pan: portava con sé il dono orribile, tremendo, dell’eterna giovinezza.”

Luigi Alviggi
Graham GREEN: Il terzo uomo
traduzione di Alessandro Carrera
prefazione di Ben Pastor
nota dell’Autore
postfazione di Domenico Scarpa
Sellerio, 2021 - pp. 216 - € 14,00
19/2/2022
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