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Recensioni
Tre piani, ultimo film di Nanni Moretti
di Marcello Sassoli
Ho appena visto "Tre piani", l'ultimo film di Nanni Moretti. Si apre con un'immagine fissa alla Woody Allen. Ottimi gli interpreti.

Quartiere altoborghese di Roma, probabilmente Trieste. Luci romane al risparmio, cioè strade scarsamente illuminate.
Qui è l'incipit della storia. Il ragazzo che è ubriaco, investe una donna e s'incastra nello studio al pianoterra del padrone di casa, suo padre.

Un inizio brutto. L'interesse per lo spettatore nasce da tutte le svolte psicologiche che Moretti mette in scena con costumata abilità. La cronaca è nuda, in questo caso non è solo cronaca ma viaggio iniziatico nelle diverse personalità.

Lezione di Bergman che il regista ha fatto sua, svolgimento come analisi psicanalitica alla Freud. Il film ci dice molto più di quanto appare nella sua descrizione formale.

Il libro da cui è tratta la storia è di Nevo, autore israeliano. Il padre che si erge a giudice del figlio è molto Kafka. Incomprensione genetica tra i due.

Da questa si scatena una più vasta incomprensione, allargabile all'uomo, incapace di capire le sottigliezze della personalità del figlio, che vede in lui il giudice arcigno che lo ha giudicato sin dai primi anni di vita.

La moglie è molto più dentro le difficoltà ed arriverà alla fine del film a ritrovare un dialogo, in fondo mai spezzato tra madre e figlio.

Il film ti tiene legato alla poltrona e non è, secondo me, lungo o noioso come qualche recensore ha scritto.
È forse l'inizio di un nuovo approccio di Moretti, nel solco, appunto di Bergman ed anche, direi, di Woody Allen, non più comico od ironico, ma psicologico.

In questi tempi di confusione ci voleva un Moretti per fare il punto della situazione. Andatelo a vedere.
Ieri in sala, eravamo meno spettatori delle dita delle mani, cioè 8. Ma cresceranno, cresceranno...
11/11/2021
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