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Recensioni
Gli Inquieti di Linn Ullman
di Luigi Alviggi
La condizione sociale di essere figlio di una persona famosa non è una situazione di vita semplice per la stragrande maggioranza dei soggetti in un tale contesto, anche se può essere immaginata - dall’esterno, cioè da chi osserva con occhi avidi e stralunati - come un’invidiabile esistenza trascorsa nell’eden del benessere e della mondanità ai più alti livelli.

Quasi sempre i problemi principali per questi figli risiedono all’interno del nucleo familiare. I VIP, a qualunque categoria essi appartengano, hanno certamente vite smaglianti e fuori dal comune ma i loro periodi casalinghi sono brevi e il correre continuo in giro per il mondo non è l’ideale per l’esistenza di un normale essere umano. Quando poi entrambi i genitori sono personaggi di grande fama, si entra davvero in una situazione di anormalità speciale che, presa in forti dosi, ritengo ben pochi individui siano in grado di affrontare con accettabile capacità gestionale della propria vita, presente e futura.

E se poi (ancora!) il figlio - in questo caso la figlia, Linn - non è mai riuscita a vivere con entrambi i genitori insieme - nulla di straordinario: un semplice nucleo familiare riunito - ecco che si aprono le pagine di un’odissea davvero unica della quale è difficile farsi un’idea anche approssimativa standone al di fuori.

La felicità non consiste certo nel comprarsi un gatto da mille dollari…
Linn, dopo aver ricevuto il cognome della madre da un giudice (che non sapeva se affibbiarle quello del legittimo marito o dell’amante creatore), va a trovare per la prima volta il padre (Pappa) a quattro anni nella sua enorme casa a Hammars (isola di Fårö, Svezia), la dimora da lui preferita, e viene così descritta: “È magra. Sottile come una pellicola cinematografica.” L’evento si ripete a cadenza annuale per l’intero mese di luglio, e lui la trova sempre cresciuta e carina, poi “univa pollici e indici e la guardava attraverso quel riquadro”. Già: era un regista cinematografico! Passava cioè la gran parte del suo tempo con l’occhio incollato a un obiettivo.

Nella casa, affacciata su una spiaggia del Baltico e distesa su un unico piano terra (lungo 50 metri, e che continuerà a crescere negli anni, sempre in orizzontale), i due abitano in stanze opposte. Lei, in effetti, vede e frequenta poco il padre. Nel mese estivo è troppo impegnato a scrivere e il maggior tempo trascorso insieme è quello della proiezione serale, un film ogni sera visto nell’apposita sala cinema. Crescendo, arrivò anche una proiezione alle tre del pomeriggio. A questa, unica volta nella vita e per l’ultima volta concessagli dal destino, lui arriva con diciassette minuti di ritardo. Non dà spiegazioni, e la figlia resta sconvolta da quanto per altri potrebbe essere un puro fatto occasionale ma non tale per un uomo la cui vita è scandita dal cronometro.

Per il resto dell’anno Linn vive con la madre a Oslo e, amandola troppo, le sta appiccicata addosso rendendo difficile ogni sua attività. Vorrebbe per esempio scrivere ma non le lascia mai trovare la necessaria concentrazione. Un’antinomia affettiva dirompente e molto profonda negli anni infantili e di crescita, in effetti irrisolvibile.

Daniel e Maria, fratellastri, verranno solo più tardi ad alleviare, in parte, la solitudine estiva. Il padre avrà nove figli da sei donne diverse e lei sarà l’ultima, figlia di un genitore 48nne: padre e madre non si sposeranno mai. Il padre coltiverà il vizio di ristrutturare e ampliare di continuo le varie case possedute sull’isola e sulla terraferma.

La bambina, come la maggior parte dei bambini, si diver¬tiva a fare elenchi e tenere i conti e se qualcuno le avesse chiesto di descrivere suo padre avrebbe potuto rispon¬dere: Mio padre ha quattro case, due macchine, cinque mogli, una piscina, nove figli e un cinema.

C’è anche una giovane che vive a Hammars, Ingrid, che cura la casa e il padre - in modi diversi, ovvio - e che sarà l’unica a occuparsi di lei nei lunghi intervalli di solitudine prima che, con gli anni, iniziassero a essere presenti altri parenti prossimi della grande famiglia. La morte di Ingrid, sofferta dal genitore in età avanzata, costituirà una ferita irrimarginabile per tutti gli anni che gli restano.

Alcune settimane dopo il funerale di Ingrid passammo tutta la notte seduti sul divano in salotto a guardare i pini, la riva e l’oceano. Mano nella mano, quasi accecati dal sole rosso che sorgeva lento e impetuoso dalle profondità cor¬rotte del mar Baltico.
«Sulle rive di questo luogo solitario» scriveva Hedvig Charlotta Nordenflycht, «lei contempla le onde.»
Pappa insisteva perché tornassi a Oslo, non mi voleva fra i piedi. Poi mi prese la mano e non la lasciò più. Con il passare delle ore le nostre nocche impallidirono fino a diventare azzurre.
«Ho settantaquattro anni» disse, «e Dio ha deciso di buttarmi fuori dall’asilo soltanto adesso.»”

Nel libro sono riportati i tanti dialoghi registrati tra padre e figlia che si sono ripromessi di organizzare in libro sulla vecchiaia in una fase successiva, ma questa non avrà luogo un po’ per inerzia reciproca e molto perché lui iniziò a perdere la memoria e poi terminò la sua vita.

Non sono affatto gli unici ricordi presenti. Tantissimi altri, di tipo e luoghi diversi, li accompagnano rendendola una grossa raccolta di memorie personali, scelte disordinatamente ma comunque giudicate essenziali dall’interessata per conquistare quel quid che l’aiuti ad alleviare il proprio peso nei confronti dell’evento vita.

Essi ben servono a parteciparci, da un lato gli aspetti delle personalità paterna e materna e la tipologia del forte legame instauratosi tra lei e loro (singoli), dall’altro la nascita degli atteggiamenti verso il circostante che poi è la chiave di volta per ambientarsi a dovere nel mondo.
A tratti pare che tutti i pensieri originantisi nella mente di Linn traggano in qualche modo spunto da una frase o da un’abitudine dei genitori. La madre Liv è ancora oggi vivente, 83nne, ed:

“Ecco le sue regole per essere buoni genitori:
1. I bambini devono bere latte.
2. I bambini devono vivere vicino agli alberi.”

Tutta la narrazione in terza persona della prima parte non pare voler ottenere altro che sottolineare la totale lontananza spirituale della scrivente da quanto descrive. È come se l’Autrice volesse rinforzare, con il supporto di ciascuna parola, la distanza tra il vero sé e quanto è stata troppo a lungo costretta a subire per volere di quelli - padre e madre - che più avrebbero dovuto esserle vicino nel difficilissimo cammino della crescita.

Si pensi anche che, a Hammars, il posto preferito dalla piccola è andarsi a chiudere dentro l’armadio asciuga-biancheria, quasi che il caldo artificiale ivi esistente compensasse il freddo regnante in tutti gli altri luoghi della casa o case - a voler allargare lo sguardo ad ambo i genitori - in cui soggiorna. Questa terza persona, dunque, viene usata per intero nella prima parte, quella relativa all’infanzia.

Poi Linn passa ai dialoghi diretti nelle centinaia di brevi ricordi, piccoli ma sempre rivelatori: squarci di vita che disegnano interi scenari retrostanti e che, affollandosi, si sovrappongono e costituiscono l’immodificabile tessuto base della sua esistenza. Da ogni pagina balza all’occhio l’amore speciale che questa figlia ha, specie per il genitore più famoso, e che, probabilmente, non è stato da lui compreso appieno, perduto nell’abbondanza di figli, nella numerosità della famiglia creata e nel grosso lavoro di sempre.

L’opera non può definirsi un libro sorprendente perché non nasce quale frutto di momenti creativi (e perché no spericolati) di chi la scrive, ma fuori dal comune sì. È una ricostruzione di ricordi che - per un verso o per l’altro, ora piacevole ora doloroso - hanno scavato un solco nella mente della bimba, poi ragazza, poi donna piena, poi matura - oggi Linn ha 55 anni, il libro però è del 2015 - e che, oltre a tracciarne l’evoluzione, l’hanno determinata per quanto riguarda sentimenti, comportamenti, abitudini, passioni e odii.

A questo speciale lessico familiare - un lungo accorato “amarcord”, un’autobiografia particolare con tre protagonisti - va riconosciuto il merito della sincerità in ogni punto. Non è stato nascosto alcun aspetto delle impronte che gli ascendenti - genitori, nonni, parenti, e relative memorie - hanno inciso nella personalità individuale, ed è pertanto una preziosa guida per chi - non certo pochi - interessato a mettere l’occhio (o il naso) dietro il paravento di quanto giornali, tv, interviste, e via dicendo, scelgono di raccontare su chi si è fatto strada nel proprio campo fino a divenire uno dei massimi esponenti in quel settore.

Un racconto sincero di tante di quelle cose che, facilmente, gli interessati non avrebbero avuto motivo di far conoscere in giro. La gran parte dei ricordi riguardano scene con la presenza della madre, e questo a dimostrare la forza di una dipendenza affettiva ai limiti del normale e una soggezione psicologica eccessiva anche per quel legame tanto speciale. Linn la segue, disorientata tra i suoi molti amori e anche nei momenti di forte sbandamento mentale, e questo fa crescere in lei un senso di precarietà delle situazioni di vita non inseribile certo tra i suoi punti di forza.

Nei tanti ricordi riportati non c’è nulla di eccezionale. Questo ribadisce che la genialità umana in un campo determinato è una fortunosa e stramba combinazione di fattori agevolanti e di sprazzi intellettivi soggettivi, che si combinano in maniera inattesa e stravagante per fornire capolavori apprezzati dall’umanità intera. E molti di sicuro sono i geni che, non riuscendo a raggiungere tale felice equilibrio tra i diversi fattori, esterni e interni, scompaiono dal mondo senza lasciarvi alcuna traccia.

Nella penultima parte del libro - la quinta: “Tuo fratello nella notte” - i genitori diradano: il padre è morto, ma non la madre. Qui si affacciano più i ricordi personali a prendere corpo e pretendere di essere raccontati. La donna adulta si svincola dalle frasi e dai fatti vissuti con uno dei due, e a tratti è vogliosa di descriversi per come è e come si vede.
Non sono solo ricordi ma spesso immagini, fantasie, proiezioni, personali e familiari (vive col figlio proprio e un altro del marito), dunque fuori dall’ingombrante presenza, nemmeno riflessa, di chi ha spadroneggiato per troppi anni. Avanzano cose viste direttamente con occhi da adulta o vissute solo mentalmente, e che talora ravvivano rappresentazioni mentali del tempo che fu, rivisto nella pacata prospettiva degli anni trascorsi.

Nel più tradizionale dei modi, l’ultima pagina del libro descrive la sequenza dei partecipanti al corteo che muove alla cerimonia funebre del padre… mentre, nella prima:

Dico: C’erano tre amori. Oggi ho la stessa età che aveva mio padre quando sono nata. Quarantotto anni. Mia madre ne aveva ventisette, e allora sembrava molto più giovane e molto più vecchia.
Non so quale dei tre amori sia venuto prima. Comunque comincerò da quello nato tra i miei genitori nel 1965, e finito prima che io fossi abbastanza grande per averne qualche ricordo.
Ho visto le fotografie e letto le lettere e li ho sentiti parlare del tempo trascorso insieme e ho sentito anche altri parlarne, ma la verità è che non si sa mai molto della vita altrui, men che meno di quella dei tuoi genitori (…).
Il secondo amore è un’estensione del primo e riguarda gli amanti che diventano genitori e la bambina che era la loro figlia. Io amavo mia madre e mio padre incondizionata¬mente. Li davo per scontati come, almeno per un po’, si danno per scontate le stagioni, o i mesi e le ore; uno era il giorno e l’altro la notte, il giorno finiva dove cominciava la notte, io ero la bambina di lei e di lui, ma, dal momento che anche loro volevano essere bambini, le cose a volte si complicavano. E poi questo: ero la bambina di lei e di lui, ma non la loro bambina, non siamo mai stati in tre; quando scorro le fotografie non ne trovo nemmeno una di noi tre insieme. Lei e lui con me.
La costellazione famigliare non esiste.
(…)

Il terzo amore. Un luogo. Hammars, o Djaupadal, come veniva chiamato in passato. Hammars apparteneva a lui, non a lei o ad altre donne, né ai figli o ai nipoti. Per qualche tempo mi sembrò che appartenessimo a quel luogo, come se fosse nostro. Se è vero che ciascuno ha un luogo, anche se non credo che sia così, ma se lo fosse allora per me era quello, o quantomeno era più mio del nome che mi era stato dato…”

Linn Ullmann (Oslo, 1966), scrittrice e giornalista, è figlia di Ingmar Bergman e di Liv Ullmann.

Bergman (Uppsala, 1918 - 2007) è il celebre regista cinematografico e scrittore svedese, pluripremiato nelle rassegne più importanti per i tanti film capolavoro prodotti: ricordiamo, p.e., “Il posto delle fragole” (1958).

Liv Ullmann (Tokyo, 1938) è una famosa e brava attrice e regista norvegese, che ha condiviso con Ingmar una lunga collaborazione artistica; breve invece fu la loro passione amorosa, frutto della quale Linn.

Forse l’aspirazione principale della figlia (affidata per il più del tempo di crescita a baby-sitter varie), in parte assolta con questo lungo lavoro, è stata la voglia di soddisfare la smania mentale ininterrotta - che l’ha accompagnata per anni, se non per l’intera vita - di racchiudere in un unico flusso immaginativo le sue due presenze più care, quanto mai vaganti e sfuggenti nella realtà corrente della vita vissuta.

Molto indicativa la frase: “quando scorro le fotografie non ne trovo nemmeno una di noi tre insieme. Lei e lui con me.”!!!

Quando mi ritrovo a chiedermi chi sono e perché sono fatta così e non in un altro modo, sento una voce che sussurra: Sei fatta così perché assomigli a lei; sei fatta così perché assomigli a lui.”

Luigi Alviggi
Linn ULLMANN: GLI INQUIETI
traduzione di Katia Bagnoli
Guanda, 2021 - pp. 408 - € 20,00

16/9/2021
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