Contatta napoli.com con skype

Calcio
Bruscolotti 70 anni da guerriero
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 01.06.2021)
In campo e nella vita, un uomo coraggioso e irriducibile. I duelli con gli attaccanti più forti. Un gol indimenticabile, un menisco saltato, l'epatite e il terribile scontro con Filardi. Campione d'Italia con Diego.

E così, caro, il mio vecchio Bruscolone, gigante della difesa azzurra, amico sincero di tutti i tuoi compagni, e di Diego in particolare, così il tempo è passato e in questi giorni marchi a uomo i tuoi 70 anni, tosto e irriducibile, grande e grosso, da quercia di Sassano.

Accidenti, Peppe, come è passato velocemente il tempo da quel giorno che arrivasti giovanissimo al Ciocco, era l'estate del 1972. Avevi 21 anni, una gran massa di capelli neri e ricci, una faccia scolpita, gli occhi verdi, una bazza da guerriero medioevale e la rispettabile altezza di un metro e ottanta. E com'eri magro e asciutto. Eravamo rimasti a Ripari e Pogliana, passammo a Bruscolotti e Rimbano.

Te lo ricordi il brontolone di Rogoredo, il carissimo Chiappella, il suo vocione, al quinto e ultimo anno nel Napoli? Accidenti a quell'estate del 1972 senza più Altafini e Zoff, ceduti improvvidamente alla Juventus. In cambio, arrivarono da Torino Gedeone Carmignani "definitivo" e Oscar Damiani "in parcheggio". E arrivarono Rimbano e Vavassori e, per fortuna, Ciccio Esposito, ma anche Giovanni Ferradini con l'etichetta di oggetto misterioso.

Eravamo una famiglia allegra perchè Chiappella si era napoletanizzato e aveva preso anche a raccontare barzellette. Aveva casa panoramica in via Petrarca e s'era bevuto tutto il mare del golfo.

I tifosi non erano contenti. Se ne era andato anche Sormani e Vincenzo Montefusco era stato esiliato a Vicenza. Restava Totonno Juliano a governare speranze, malumori e illusioni. Ricordi, Peppe, quel tuo primo anno nel Napoli, ci piantammo a metà classifica e non vincemmo una sola partita in trasferta, impresa più unica che rara.


Con Pulici erano sempre viluppi straordinari: Puliciclone fu l’avversario che ti castigò di più, sei reti. Bettega ti scappò solo due volte. Ma Bruno Conti, Prati, Mazzola, Rivera, Nenè, Massaro, Juary, Elkjaer, Hateley, Barbadillo e Paolo Rossi furono totalmente domati.

Giocavi impettito e ti affibbiarono la definizione di “palo ‘e fierro”. Ti piacque. Negli anni, alla tua sinistra si avvicendarono Rimbano, Pogliana, La Palma, Vinazzani, Valente, Tesser, Citterio, Frappampina, Boldini, Carannante, Filardi, Ferrara (“Ciro ha cominciato con me e diceva che ero il suo modello”. Un maestro e un allievo perfettamente riusciti), infine Francini.

Col Napoli hai vinto il primo scudetto, due Coppe Italia e una Coppa di Lega italo-inglese. Ci hai rimesso un menisco e hai rischiato la vita due volte. Il ginocchio ti “saltò” nel ’79: fuori squadra due mesi. L’epatite virale, alla fine del 1982, ti fece mancare in dodici gare. Il Napoli era sul fondo della classifica e doveva giocare in trasferta con la Sampdoria.

Pesaola, che allenava il Napoli per la nostra allegria, ti disse: “Vieni a Genova. Non sei ancora guarito del tutto, ma ti farà bene stare con noi”. Il petisso aveva un suo piano da quel furbo che era. A Genova ti prese in disparte: “Abbiamo portato i tuoi indumenti di gioco, se mi vai in campo solo dieci minuti mi basta”. Rispondesti: “Sono pronto”.

Giocasti per 70 minuti fin quando Pesaola, che aveva il cuore in gola per l’azzardo, ti sostituì con Scarnecchia. Passasti davanti alla panchina e rassicurasti il petisso: “Tutto bene, mister”. Era stato un bel rischio.

Dolce per carattere e per la tenera passione giovanile nutrita per cardellini e usignoli, avevi l’animo e il fisico del guerriero. In una partita di Coppa Italia contro la Salernitana, nel 1985, a venti minuti dalla fine, stramazzasti al suolo dopo un terribile testa a testa col compagno di squadra Filardi. Esanime sul prato. Furono momenti terribili. Commozione cerebrale e ricovero in ospedale dove ti rimase accanto Maradona per tutta la notte.

Erano tre le tue armi: l’anticipo, la vigoria fisica e il colpo di testa. Ti cavasti la soddisfazione di nove gol. Il primo fu decisivo per la vittoria (2-1) sull’Inter nel ’74. Ti scappò un autogol, l’unico, nella porta di Castellini in Lazio-Napoli (1-1) dell’84. Il gol all'Anderlecht, semifinale d'andata di Coppa delle coppe nel 1976, resta memorabile.

Non ricordo com'è che sbucasti sulla sinistra dell'area di rigore dei belgi, su una punizione battuta non ricordo da chi dei nostri, e infilasti il portiere Ruiter con un diagonale artistico, da ala destra, verso l'angolo opposto. Spopolavamo in Europa, giocammo persino poco oltre il Circolo polare artico, a Bodoe, città norvegese.

Gli anni con Vinicio furono speciali e quelli con Maradona più speciali ancora, però i più divertenti furono quelli col petisso Pesaola. Peppe Bruscolotti, un leader del Napoli degli anni d’oro, generoso ma inflessibile per il forte attaccamento alla maglia azzurra, la serietà di uomo e l’impegno da atleta.

Dopo un’amichevole a Macerata, nel 1985, dicesti a Diego: “Tu sei il più bravo del mondo, ma non farò mai parte del tuo clan, non sarò mai tra quelli che ti stanno sempre attorno. Mi troverai al campo oppure a casa e non mi farò mai negare”.

L’anno in cui Maradona non voleva scendere in campo contro l’Inter a San Siro, Bruscolotti gli disse: “Tu non stai rispettando la promessa che mi hai fatto. Tu mi hai promesso che vinceremo lo scudetto. Però non vuoi giocare. Io fra poco smetterò, perché sono a fine carriera, e non sarò campione d’Italia”. Maradona gli strinse la mano: “Scenderò in campo e lo farò solo per te, e ti garantisco che lascerai il calcio da campione d’Italia”.

Era successo che un giorno Bruscolotti aveva consegnato la fascia di capitano all’asso argentino dicendogli: “Da oggi sei tu il capitano però dovrai mantenere l’impegno, Napoli aspetta lo scudetto”. Quando il Napoli, nell’87, concluse vittoriosamente il campionato, nello spogliatoio in festa fu Diego a parlare: “Io porto la fascia di capitano, ma il vero capitano del Napoli è sempre lui, Bruscolotti”.

Avevi ormai 36 anni. Bianchi ti consentì di giocare in Coppa dei campioni a Madrid contro il Real. Fu il premio a una carriera mirabile. La nuova coppia dei terzini azzurri era già formata da Ferrara e Francini.

Ti è mancata la nazionale, chiuso da Gentile e Bergomi. Ti convocò Bernardini due volte e Bearzot ti chiamò per l’Under 23. Non ti fecero giocare mai.

Durante gli anni di Maradona, casa Bruscolotti fu il ritrovo di serate di cene, musica, amicizia e allegria, ospiti tutti gli assi del Napoli, Diego in testa. La moglie di Beppe, Mary, cucinava magnificamente. Un giorno ebbe una trovata straordinaria. Trasformò una stanza in una discoteca in miniatura con le luci psichedeliche, l’impianto stereo, divani e moquette verde-erba. Ci mise anche un’insegna luminosa: “Mary Club”. Quelle serate compattarono ancora di più il gruppo che portò il Napoli a vincere.

Quando Maradona cominciò a perdersi, l’insegna del “Mary Club” fu spenta. L’allegria era finita.
I ricordi sono tanti, e tanti altri, ma lo spazio è finito. Auguri, Peppe, e un abbraccio a Mary.
31/5/2021
RICERCA ARTICOLI