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Recensioni
La scacchiera di Auschwitz
di Luigi Alviggi
Al centro della narrazione c’è lo stramaledetto Campo di Sterminio di Auschwitz, nato come campo di lavoro forzato penale. Per chi non lo sapesse serena cittadina del sud della Polonia (Oswiecim) sino a inizio anni ’40 quando fu prescelta per la costruzione del luogo dove saranno ammassati decine di migliaia di prigionieri e, si stima, siano stati uccisi più di un milione di ebrei.

La vicenda si svolge in due periodi distinti, perfettamente intrecciati nello sviluppo del romanzo. Il primo si svolge negli anni dal ‘39 al ‘45 - estenuante durata della guerra mondiale scatenata da Hitler in Europa. Il secondo, in tempi molto più distesi e pacati, è ambientato nel ‘62 ad Amsterdam in concomitanza con la preselezione per il Campionato Mondiale di Scacchi ivi in svolgimento.

Fulcro della narrazione - in un’indagine sin troppo dettagliata dell’atroce vita affrontata dai prigionieri in quella inconcepibile situazione, di certo la peggiore dell’intera storia umana - tra una selva di personaggi minori, per lo più SS del campo, ci sono due uomini.

Il primo, Emil Clément, è un ebreo francese orologiaio molto abile ma ancor più eccellente scacchista; il secondo Paul Meissner - tenente delle SS, poi capitano, valoroso eroe di guerra decorato con la Croce di Ferro sul fronte russo - per la conseguente invalidità subita a una gamba viene trasferito nel campo polacco con il compito di far crescere la produzione di forniture militari.

Emil viene catturato, con la moglie Rosa la madre e i due figli bambini, mentre tenta di fuggire in Svizzera da un amico e finiscono tutti nel campo. Paul è un uomo intelligente, e pertanto non totalmente trapanato dal cancro delle dottrine naziste, che sarà costretto, inserito nella ferrea gerarchia militare, ad accettare fuori controllo soprusi routinari d’ogni tipo verso i prigionieri.

C’è anche un terzo attore, in ombra a inizio libro, Willi Schweninger, primo avversario ex nazista nel torneo di Amsterdam e sconfitto dal francese.

Data l’abilità professionale, Emil, poi chiamato da tutti l’Orologiaio, verrà assegnato al reparto di produzioni belliche nel campo, solo un gradino sopra i lavori forzati o peggio, dove può succedere di tutto: lo sparo omicida al prigioniero è la soluzione adottata alla prima occasione dai bestiali aguzzini. E per quel minimo che scampava all’azione delle SS, sul posto c’era anche la Gestapo a superare ogni abiezione!

Il libro, molto ben organizzato nella trattazione e estremamente efficace nelle rievocazioni, descrive con minuta ampiezza di dettagli l’incredibile (oggi!) e terrificante vita degli sventurati internati - dopo il loro perverso rastrellamento nei luoghi di vita - costretti a vivere momenti tragici sin dall’arrivo in quel luogo maledetto, come nei molti altri simili allora in esercizio.

Appena costretti con violenza a scendere dai vagoni piombati del treno che li ha trasportati - stipati in essi all’inverosimile e con i primi morti già durante il viaggio - devono subito abbandonare i pochi beni portati e, con la funesta divisione delle famiglie - donne e bambini, vecchi, malati e deboli da un lato - sono tagliati in due gruppi, con la parte non in grado di lavorare avviata direttamente alle camere a gas.

Specie nella fase terminale della guerra, gli arrivi ad Auschwitz saranno tanto numerosi che le maglie della selezione mortale iniziale si allargheranno anche a quanti non avrebbero subito tale trattamento se arrivati prima. A tutto questo si aggiunge poi la settimanale “Selektion” tra i prigionieri di ogni blocco per designare le vittime, non più efficienti sul lavoro, da gassare.

Meissner, dopo l’ordine del ministro della propaganda Goebbels di creare iniziative per alzare il basso livello del morale in quei luoghi, ha l’idea di far svolgere un torneo di scacchi. All’inizio un’idea parsa stramba ma avrà gran successo. Ci saranno due gare separate, una tra prigionieri e un’altra tra personale nazista. Esaurite queste e vista la riuscita, Meissner progetta una sfida centrata sul francese, trionfatore del torneo prigionieri, contro i migliori scacchisti SS.

Si aggiunge anche la forte spinta dei militari che si stanno arricchendo con le scommesse sul vincitore di ogni partita. Emil, avverso per ovvi motivi, viene adescato con promesse di indagine sulla moglie, trasferita altrove e della quale non sa più nulla, e ancora con il sicuro miglioramento del pasto affamante, cioè da inedia e morte precoce come avviene per tanti.

Ma ciò che lo convincerà è altro. Nelle baracche i reclusi dormono due per cuccetta. Yves, anch’egli francese, è il compagno di Emil. Si abbracciano nella notte per alleviare il freddo glaciale esterno e dividono anche il minimo tozzo di pane che riescono a procurarsi con astuzie varie. Yves però, ridotto ai minimi termini, sta morendo di fame. Emil acconsentirà al nuovo torneo se l’altro, aiutato da Meissner, sarà messo in grado di sopravvivere. Questo è la prima intesa tra lui e Paul. Ma Yves, il beneficato, non è d’accordo:

La risposta di Yves però non è quella che Emil si aspetta.
«E che succede se perdi?»
«Non perderò.»
«Ma potresti. Ciò che stai dicendo, Emil, è che se perdi con ogni probabilità io sarò scelto nella prossima Selektion,
e se vinci ti dovrò la vita.»
«Yves, fidati di me, non perderò.»
Con un fervore che Emil non vede da molto tempo l’amico dice: «Io di te mi fido, Emil, ma non è questo il punto.
Non capisci? La mia vita non è una cosa che puoi contrattare. Io non sono un pezzo degli scacchi con cui puoi giocare».
Emil è sconvolto dalla reazione dell’amico. «Ma hai detto che uno di noi doveva sopravvivere, per raccontare alla gente di questo posto».
«Intendevo te, Emil, non me. Io non mi aspettavo, non mi aspetto, di sopravvivere. Guardami. Non posso andare avanti a lungo. Qualche giorno, forse qualche settimana».
«No. Yves, per piacere. Ascoltami. Funzionerà. Davvero».
«No, Emil. Non ti lascerò fare questa cosa. Non voglio che la mia vita sia salva per il capriccio di un ufficiale delle SS. Quello che ti dà oggi può riprendertelo domani, con altrettanta facilità.»
Emil è addolorato per la cocciutaggine dell’amico, e con le dita tormenta senza rendersene conto l’orlo sfilacciato della manica della divisa.
«Non credo se lo riprenderà. Mi ha dato la sua parola.»
Yves non crede alle proprie orecchie. «Ti ha dato la sua parola? A un ebreo? E tu gli hai creduto? Sono sicuro che ormai lo sai che non ci si può fidare di un tedesco. Sono tutti bugiardi. Probabilmente mentre parliamo sta ridendo di te.» Emil implora l’amico: «Per favore, Yves. Lasciami tentare». «No. Te lo proibisco.»


E, in memoria di Yves e del suo triste destino, leggiamo le parole che Emil, ora scrittore affermato, dirà una ventina d’anni dopo a un amico inatteso venuto fuori dal nulla:

Avevo un amico che morì ad Auschwitz, il migliore amico che avessi mai avuto. Ho cercato di salvargli la vita ma non me lo ha lasciato fare, non ha voluto rinunciare alla sua dignità. Lo impic¬carono come punizione per avere rubato del cibo. Ricordi? Eri presente all’esecuzione, ti vidi. Ricordi di cosa parlammo quando mi convocasti di nuovo nel tuo ufficio? Non fu un dialogo facile.
Ricordo quando mi fecero entrare. Mi colava il sangue dal naso. Lo vedesti e fulminasti con lo sguardo il tuo attendente. “È caduto” disse lui. Ti si leggeva in faccia che non gli credevi. Lo congedasti e mi offristi il tuo fazzoletto.» Emil tace per un attimo. «Non potevi sapere quanto era bello avere di nuovo della stoffa bianca e pulita tra le dita. Ero riluttante a macchiare quella purezza usandolo per togliere il sangue. Volevo tenerlo per tirarlo fuori ogni tanto e ricordare cosa significa essere pulito. E ricordo cosa dicesti...».
«Mi dispiace per il tuo amico.» Le parole uscirono in un sus¬surro rauco, mentre Meissner allungava una mano tremante sul copriletto per prendere quella di Emil. «È questo che dissi, vero?»
Le lacrime annebbiarono gli occhi di Emil. «Sì, Paul. Dicesti proprio questo.»”
 

Emil dovrà allora andare avanti solo per sé. Per farlo proseguire dopo la prima vittoria, e il conseguente finimondo scatenatosi tra i carcerieri per l’onta, verrà usata una strategia ancor più sottile. Dai collaboratori di Meissner sarà scelto un ebreo opportuno, in genere per la ricchezza dei familiari liberi, al quale con la vittoria sarà garantita la vita. Il salvarne uno tra migliaia farà andare avanti Emil. Questa potenza indiretta concessagli supererà anche la paura di rimanere vittima di una vendetta trasversa dettata dall‘odio nazista che diventa sempre più assoluto e profondo!

Meissner diventerà amico di Emil per caso, una ventina d’anni dopo ad Amsterdam, ma ben diverso da come lo ha lasciato. Già negli ultimi mesi al campo si era aperto a una familiarità inattesa con l’ebreo ma colui che rincontra in Olanda è tutt’altro rispetto quello restato in memoria, seppur diverso rispetto agli altri tedeschi.

Non è più il capitano SS ma un vescovo cattolico tornato dal Congo perché gravemente malato. Ha cambiato integralmente animo e sentimenti, sotto il peso delle gravissime colpe altrui che ha dovuto tollerare, e non ha più nulla in comune con il nazista controvoglia.

Liberato dopo la prigionia post-guerra, è andato in cerca di un forte riscatto per sopravvivere ai perforanti ricordi. Vive, inquieto e disperato, nella speranza di un perdono divino non per quanto ha agito ma per quello che ha tollerato si compisse nel luogo infame dove aveva il compito di aumentare la produttività della fabbrica bellica.

Da questa nuova situazione, dopo il rifiuto iniziale dell’ebreo, prende corpo una base di comune condivisione. Per Emil, ridotto ormai alla solitudine per la morte di tutti i cari, è il sogno di trovare, attraverso Paul e Willi, la forza per superare quanto ha vissuto e le ferite insanabili lasciate nell’anima ancor più che nel corpo.

John Donoghue (vive a Liverpool) ha lavorato per oltre venti anni nel campo della salute mentale e scritto numerosi articoli medici a riguardo.

Questo è il suo primo romanzo, in inglese “The Death’s Head Chess Club – Il club di scacchi Testa di Morto” (2015). Le SS-TV (Bande Testa di Morto) sono reparti SS destinati alla custodia dei campi di concentramento. In un’intervista l’Autore dichiara: “L’idea mi è saltata in mente una mattina d’inverno. Un giocatore di scacchi ebreo ad Auschwitz è costretto a giocare contro le SS per salvare le vite di suoi compagni prigionieri. Ed è del tutto estranea alle tante ricerche che ho dovuto compiere per scrivere il libro”.

Le parole che Donoghue usa per le descrizioni sono altrettanto forti e adeguate agli allucinanti fatti narrati. Se si riflette - per chi è disposto a entrare nel remoto dell’anima, approccio di sicuro non facile - è veramente assurdo pensare a quanto la natura disumana dell’uomo abbia potuto prevalere, continuativamente e per anni, negli orrori dello sterminio pazzo e immotivato di milioni di vittime senza colpa.

Se le parole rappresentano solo blandamente quanto avvenuto, è certo che già esse si mostrano spaventose alla semplice lettura, in un’eredità finita ignorata nel corso dei giorni ma che non può certo scomparire dalla coscienza anche di individui che nulla hanno avuto a spartire con la follia collettiva di un intero popolo, durata non giorni ma lunghi, lunghissimi anni, nella più macabra e impensabile avventura vissuta dall’umanità.

Per fortuna all’Europa - madre di civiltà (specie per gli USA) e zeppa di abitanti - il suicidio di Hitler di fine aprile ’45 e la distruzione quasi totale della Germania nel diluvio di bombe pregresso hanno risparmiato ulteriori catastrofi se pensiamo alle due enormi tragedie di soli tre mesi più tardi (Giappone, inizio agosto ’45). La mano di Dio ha concesso di evitare che una massiccia punizione esemplare finisse con l’essere peggiore del danno irreparabile arrecato all’integrità morale dell’essere umano di ogni nazione con quanto accaduto...

Emil prese fiato. «Come hanno fatto due persone intelligenti come te e Paul a lasciarsi mettere il paraocchi da Hitler, tanto da diventare due criminali?»
Solo il giorno prima quella domanda lo avrebbe profondamente offeso. Adesso Schweninger la prese con filosofia. «Bella doman¬da» rispose. «Me la sono fatta anch’io parecchie volte, e la verità è davvero sconfortante. In tanti hanno parlato degli errori dei nostri politici e del terribile effetto della depressione sulla Germania e dell’indennità di guerra, ma il fatto è che troppi di noi volevano dire “Sì!” a Hitler. Sapevamo che era pericoloso, ma aveva promesso di condurci al destino che ci meritavamo. Chi poteva dire di no?» Sospirò pesantemente. «All’inizio il pericolo non aveva una vera forma o fisionomia, ma poi il Partito nazista si insinuò in ogni angolo della nostra vita, tenendoci d’occhio, controllandoci le camicie brune, i movimenti giovanili, le associazioni artistiche, la macchina della propaganda, perfino il servizio postale e dopo, la Gestapo. Era come affrontare un colosso che ti controllava con la sua volontà, ti incitava, ti implorava di dire “Sì!” senza sapere cosa significasse. Malgrado quel senso latente di paura, tuttavia, era così esilarante, liberatorio. Il Führer sapeva cosa c’era bisogno di fare e a noi non restava altro che affidare tutto alle sue capaci mani. Poi sarebbe andato tutto bene e saremmo stati di nuovo forti: un popolo, un sangue, uniti verso uno scopo comune, in marcia tutti insieme verso un futuro meraviglioso da cui le vecchie incertezze sarebbero state bandite. Se ne avessi fatto parte avresti capito. Era irresistibile»”.


Nonostante alcune pagine rudi presenti nel lavoro, è certo che il sentimento risultante dalla lettura è seducente. C’è sì il tuffarsi in una perfida realtà, nota da una parentesi storica impossibile da ignorarsi, ma c’è anche la descrizione della ricerca costante di un riscatto, lunga decenni, nella certezza che il tempo e la misericordia divina allevierà le ferite superstiti.

Il perdono cercato nell’arduo percorso intrapreso da Paul, colpevole solo in parte, è un fervido esempio. La memoria collettiva, certo, MAI potrà né dovrà dimenticare! La giusta visione si compirà quando l’ultimo coinvolto ad Auschwitz - prigioniero o guardia - avrà attinta, trasferendola agli altri, la piena comprensione dei crimini e della reale infamia portati a compimento in una storia andata oltre ogni immaginazione. È solo la speranza del meglio che può e deve alimentare sempre ogni attesa di futuro per tutti noi.
Luigi Alviggi
John DONOGHUE: La scacchiera di Auschwitz
traduzione di Roberto Serrai
Giunti, 2020 - pp. 400 - € 8,90
8/5/2021
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