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Cronaca
Il “Roma” è stata la scuola
dalla quale è nato Carlo Franco
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 22.10.2020)
Il “Roma” degli anni Sessanta e Settanta, sotto le direzioni di Alfredo Signoretti e Alberto Giovannini, due autentici assi, è stato una scuola di giornalismo.

I suoi migliori redattori furono apprezzati e attratti dai grandi giornali del nord e dalla Rai. Ennio Mastrostefano andò in Rai; Baldo Fiorentino alla RaiTv; Mario Gherarducci e Gianni Nicolini al “Corriere della sera”; Lucio Orazi alla Rai; Maurizio Romano, Marisa Figurato, Italo Kuhne alla Rai di Napoli; Umberto Carli al “Giornale di Vicenza”.

Quel “Roma” era un giornale accogliente. Quando “Il Giornale” di via Nardones chiuse, il “Roma” accolse tutti i suoi giornalisti disoccupati, da Pio Nardacchione a Mimì Farina. Ed era un giornale aperto ai giovani che, presi da “abusivi”, potevano tentarvi la loro avventura giornalistica. Nessuno di loro fu respinto, anzi tutti regolarmente assunti dopo un periodo più o meno lungo di “abusivato”.

L’abusivismo fu una utile e ingegnosa “gavetta” per tutti noi, trattati da “schiavetti” e dirottati all’inizio nei compiti più “oscuri”, reporter negli ospedali, estensori di brevi cronache di nera, redattori di articoli senza la soddisfazione della firma, al massimo una sigla, apprendisti titolisti sfanculati dai capi-servizio, paginatori in tipografia alla mercé degli scherzi e dei trabocchetti dei tipografi più anziani.

Sotto la guida del capo-redattore Carmine De Luise, del capo-cronista Bruno Stocchetti e del capo della redazione sportiva Antonio Scotti imparammo il mestiere con uno straordinario percorso rigorosamente anonimo nei primi tempi, ma tutti avemmo spazio e le chance per metterci in luce.

Molti di noi cominciarono col fare i correttori di “bozze” o lavorando ai “dimafoni”. C’era poi una fantastica comunanza di lavoro con i tipografi, i nostri secondi maestri che “sorvegliavano” i nostri progressi. Era in tipografia, da quelli che componevano i nostri articoli alla linotype e da quelli che impaginavano il giornale nei telai di ferro, che avevamo il riscontro “diretto” del nostro lavoro, incoraggiati o sbeffeggiati.

Succedevano cose così. Lauro pretese un giorno il licenziamento di Clemente Hengeller che era stato troppo critico in un “pezzo” scritto sulla squadra del Napoli. Antonio Scotti disse al Comandante: “Non lo potete licenziare”. “E perché?” chiese Lauro. “Perché Hengeller non è stato mai assunto, è un abusivo”. Clemente ebbe poi il suo regolare contratto, giornalista pacato perché la sua vera passione era il pianoforte e suo figlio Lorenzo ne è diventato un grande interprete.

Al “Roma” fummo una magnifica “famiglia” e questo aiutò molto la nostra crescita. Grande spirito di colleganza. Nello spazio di tempo fra la “chiusura” della prima edizione e della seconda, con i tipografi giocavamo a pallone sull’ampio marciapiedi del Palazzo Lauro, che ospitava redazione e tipografia del “Roma”, tempestando di tiri le saracinesche dei locali a piano terra. Il pallone era un “proiettile” di “bozze” bagnate, tenute insieme da un giro di spago.

Giocavano con noi i tipografi più giovani, Gastone e Mario Savino, Albano, Gianni Crosio (indimenticabile Pulcinella), Giorgio Chianese che voleva sempre aprire un ristorante ed era figlio del leggendario linotypista Fofò. Chiusa l’ultima edizione andavamo per le pizzerie notturne.

Il giornale era la nostra vita. In pratica, non staccavamo mai, lavorando, giocando, stando insieme. La comunanza di lavoro di quegli anni si è trasformata, nel tempo, in affetti duraturi mentre finimmo per prendere strade diverse quando il “Roma” cessò le pubblicazioni nel 1980, rimesso magnificamente in pista da Tonino Sasso che da quel primo “Roma” è venuto fuori con le migliori qualità, professionali e umane, dei nostri tempi.

In questo ambiente di salde amicizie e grandi maestri venne a iniziare la sua avventura giornalistica Carlo Franco, ragazzo straripante con un fisico alla Bud Spencer, ma agile per la sua attività amatoriale di pallanuotista. La cronaca fu il suo settore perché cronista era nato per talento naturale, energia, impegno, passione.

Veloce cacciatore di notizie e veloce redattore delle medesime. Era una autentica antenna. Non ho mai capito se era lui a captare le notizie e a farle sue o erano le notizie a captare lui e a lui si consegnavano.

Aveva sempre un progetto, un’idea. Il suo entusiasmo era pari alla sua stazza. Faceva comunella con Lucio Orazi, poi conduttore del Telegiornale su Rai1. E si univa alla combriccola che si ritrovava spesso in casa di Gianni e Mariarosaria Nicolini per banchetti e sceneggiate indimenticabili.

Carlo era incontenibile, sempre alla ricerca di qualcosa in più. Da qui le sue sfide continue in tanti giornali, da “La Repubblica” a “Il Mattino”, al “Corriere del mezzogiorno”, alla Rai di Napoli, ovunque dilagando col suo entusiasmo.

Un giornalista autentico come se ne formavano ai nostri tempi in una editoria in ascesa non afflitta dalla rapidità, dalla confusione e dalla crisi di oggi, artigianato puro che dava il tempo di imparare e migliorare un mestiere che la tecnologia ha proiettato su condizioni migliori, ma lo ha anche inaridito nel silenzio dei computer che hanno soppiantato la “musica” delle macchine per scrivere e con la scomparsa delle tipografie, compagne di un confronto assoluto del nostro lavoro.

Non è nostalgia di un “tempo romantico”. Oggi, nei giornali, non si fa più gavetta, le conquiste sindacali hanno cancellato l’abusivismo, vera scuola di formazione e resistenza, i giovani crescono senza più una guida pacata e attenta, tutto è veloce e improvvisato, la popolarità televisiva ha annullato la più autentica e profonda popolarità di chi scriveva sui giornali senza avere un volto, la sua popolarità era la parola scritta.

Di questo spesso parlavamo con Carlo, venuto a mancare l’altro ieri, uno degli ultimi paladini del giornalismo romantico. “Ma tu, col computer, ci parli?” mi chiedeva ironico e divertito. Mi mancheranno le sue telefonate: “Senti, ci dobbiamo vedere, ho questo progetto …”.

Perché lui, dalla macchina per scrivere al computer, non smise mai di picchiare sui tasti, con la velocità e la passione di sempre.
22/10/2020
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