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Calcio
È morto Gigi Simoni l’uomo gentile del calcio
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 23.05.2020)

Il pallone dei bei tempi regalava belle amicizie, non c’era il distacco di oggi tra cronisti e protagonisti. Gigi Simoni è stato un grande amico. Di carattere mite, gentile, leale, impossibile non volergli bene. 




Se ne è andato ieri a 81 anni. Era in ospedale dal giugno dell’anno scorso quando fu colto da un ictus. Bolognese di Crevalcore, ha vissuto da gran signore più di cinquant’anni di calcio, quindici da giocatore (Mantova, Napoli, Torino, Juventus, Brescia, Genoa), trentanove da allenatore di diciassette squadre.




Se ne è andato portandosi “una ferita nel cuore”, come soleva dire. Quel match della sua Inter contro la Juventus a Torino (26 aprile 1998) arbitrata dal livornese Ceccarini. 




Alla vigilia del match, l’Inter era seconda a un punto dalla Juve capolista. Fu una svolta decisiva di quel campionato. La partita finì con un gol di Del Piero (1-0) che lanciò la Juve di Lippi verso lo scudetto e troncò la feroce rincorsa dell’Inter. 




Ceccarini non valutò da rigore un contrasto tra Mark Iuliano e Ronaldo, il più forte degli stranieri visti nel campionato italiano, dopo Maradona e prima del quasi omonimo CR7. 




Gigi raccontava di avere incontrato molto tempo dopo Ceccarini “che ha fatto finta di non riconoscermi”.




Prima di essere colto dall’ictus, seguiva le partite con la passione di sempre. “Guardo sempre il calcio, è stata la mia vita”, diceva. Nel Genoa lanciò Bruno Conti che aveva vent’anni. Raccontava con garbo la sua lunga storia col pallone.




A Napoli, quando Boskov esaurì le sue battute, Ferlaino, consigliato da Bianchi, consulente tecnico della società, assunse Gigi Simoni. Il vecchio, caro Gigi arrivò a 57 anni, nel 1996, dopo avere girato otto squadre in ventidue anni di panchine, andando e tornando negli stessi posti.




Aveva i capelli tra il grigio e il bianco, le grisaglie della semplicità, il record di tante vittorie in provincia e sette promozioni. 




Napoli fu la prima grande ribalta. C’era stato di passaggio, da giocatore, 35 anni prima, ala occasionale nella squadra azzurra di Pontel e Ronzon, Fanello e Tomeazzi, giocando 11 partite e presto dirottato al Mantova.




Tornò, dopo tanto tempo, con le sue idee semplici sul calcio, sostanzialmente all’italiana se un club non ha i campioni che gli cambiano la vita e le partite. 




E il Napoli di quei tempi, dopo avere sacrificato tanti giocatori per esigenze di bilancio, era solo una squadra giovane, la più umile e volenterosa della sua storia.




Ferlaino affidò a Simoni una “creatura” fragile e tutta da crescere. Gli consegnò Taglialatela, resistendo alle offerte dell’Inter, e Pecchia, richiesto dalla Juve. 




Trattenne i campioni sudamericani Cruz e Ayala. Prese giocatori di qua e di là. Gli erano sfuggiti il croato del gol Vlaovic e Pippetto Inzaghi. Simoni dovette andare avanti con Caccia e Aglietti, che non erano proprio due pirati del gol, con l’esperienza del tornante Turrini, con i raid sulla sinistra di Mauro Milanese, con un robusto difensore belga, Crasson, e un giovane francese a centrocampo, Boghossian, più due guaglioni di casa, Longo e Altomare, e la novità di un fuoriclasse in erba da scoprire, il brasiliano Beto.




Era un Napoli senza squilli di tromba, però confortato da 25mila abbonati. I bookmakers inglesi lo dettero buono per il decimo posto. Assemblando l’assemblabile, Simoni infilò un confortante girone d’andata, rimanendo per qualche tempo a quattro-cinque lunghezze dalla vetta. Poi la squadra calò, frenando vistosamente nel girone di ritorno, una sola vittoria in undici partite.




Non fu quella brutta serie a decidere il destino di Simoni. Lui aspettava il rinnovo del contratto per l’anno successivo, Ferlaino tergiversò e Gigi si promise all’Inter di Ronaldo. Ne venne fuori un “caso”. Esonerato. 




La squadra protestò: “È un esonero ingiusto, la colpa della mediocre classifica è nostra”. 




La classifica c’entrava poco. Il Napoli era sette punti sopra la zona-retrocessione e non aveva grandi timori di cadere più giù.




Peccato – disse Simoni. – Poco prima di esonerarmi, Ferlaino faceva gli elogi della mia professionalità”. Forse fu un gioco a dispetti. 




Meritavo di giocare le finali della Coppa Italia” si lamentò Gigi passando all’Inter. Ma da Aglietti a Ronaldo fu un bel salto. Con l’Inter vinse la Coppa Uefa nella finale tutta italiana contro la Lazio (3-0) a Parigi.




Montefusco guidò la squadra nelle ultime sei partite e il Napoli restò fuori dalla zona-retrocessione di 4 punti. Simoni guidò il Napoli in 28 partite: 7 vittorie, 13 pareggi, 8 sconfitte.




Fu richiamato sei anni dopo col Napoli in serie B (2003-04) per rimediare al disastro di cinque partite in campo neutro (Campobasso) e a porte chiuse dopo gli incidenti del derby non giocato ad Avellino che avevano aumentato il disagio di Agostinelli in panchina. 




Simoni fece un mezzo miracolo. Tenne il Napoli un po’ sotto la metà classifica guidandolo in 33 partite (9 vittorie, 16 pareggi, 8 sconfitte). 




Se ne andò al Siena. Il Napoli andò incontro al fallimento.





22/5/2020
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