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Recensioni
Sete di Amélie Nothomb
di Luigi Alviggi

Sorprendente e geniale l’idea fulcro dell’ultimo romanzo della Nothomb, uscito di recente in Italia per i tipi della Voland: passare l’ultima notte prima del martirio, il giorno del supplizio, la crocifissione e il dopo, con il Signore Gesù immaginando come essi possano essere trascorsi nella mente e nei ricordi del Dio fattosi uomo per riscattare il genere umano dalla schiavitù del peccato, a partire da quello originale. Viviamo la condanna, la notte, il sonno, la salita del Golgota, il supplizio, la fine, la deposizione, il dopo. 



Diciamo subito che la narrazione rispetta gli aspetti della trascendenza divina della creatura Gesù secondo quanto ci è tramandato dalle Sacre Scritture ma notiamo anche che l’autrice audacemente si prende varie libertà nei confronti del Nuovo Testamento. 



In questo filone non dobbiamo dimenticare un precursore: “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” (1991) di Josè Saramago, nel quale anche quest’autore presenta il Cristo in un certo senso come vittima di un Dio che non ha del tutto chiarito i Suoi scopi al Figlio prima di inviarLo nel nostro mondo. 



Amélie non esita ad andare a fondo in campi per nulla ortodossi secondo i canoni delle tradizioni evangeliche, quali approvati e accettati da tutte le Chiese di ispirazione cristiana. 



Sono tratti non rispondenti ai precetti della tradizione accertata, e questo va chiarito per evitare possibili contrarietà del lettore ignaro. 



Il testo è l’invenzione su una specie di vangelo autobiografico, narrato in prima persona, del Dio fattosi uomo. Nel profondo indagare attraverso i pensieri di una mente “umana” a tutti gli effetti, la Nothomb presta voce anche ad affermazioni di vangeli apocrifi e – come testimoniato da fonti attendibili – ai risultati di qualche scavo archeologico effettuato in anni recenti nella Palestina.







La notte da cui scrivo non esiste. I Vangeli sono categorici. La mia ultima notte di libertà la passo nell’Orto degli Ulivi. Il giorno seguente vengo condannato e la sentenza è immediata. Ci vedo, d’altra parte, una forma di umanità: lasciare qualcuno ad aspettare, significa moltiplicare il suo supplizio.







L’assunto è che, dinanzi alla morte prossima, il Messia mette a nudo ogni aspetto della Sua totale natura terrena: “Sono un uomo, niente di ciò che appartiene all’umano mi è estraneo”. Il libro, cioè, pone in luce dettagli oscuri che vengono “ignorati” dai testi sacri e, in ultima analisi, avvicina la Sua figura a quella di un comune essere umano, rendendolo ancora più misericordioso e amorevole verso il “prossimo” col quale è entrato in contatto, e che non esita a caricarlo di colpe inesistenti che concorrono a decidere Pilato per la mortale condanna. 



Queste accuse provocano un’intensa afflizione: è il caso, per esempio, della rassegna dei miracolati presenti al giudizio che, per un verso o per l’altro, Lo incolpano di danni sofferti a seguito della grazia che ha compiuto a loro beneficio. 



Vengono poi evidenziate la personalità di Giuda e i suoi rapporti con gli altri apostoli e l’indagine si fa intensa sulla figura di Maria Maddalena - amabile come “un bicchiere d’acqua quando stiamo morendo di sete” -, coprotagonisti poco esplicitati nel racconto dei testi sacri. 







E quando dico soltanto a noi significa che mio padre ne è escluso. Lui non ha corpo e l’amore assoluto che Maddalena e io stiamo vivendo in questo momento scaturisce dal corpo esattamente come la musica dallo strumento. Verità così profonde non si apprendono se non avendo sete, amando e morendo: tre attività che necessitano di un corpo. Anche l’anima è indispensabile, certo, ma non può in alcun caso bastare da sola.







L’uomo Gesù, in questa visione, non resta estraneo all’amore terreno, come il più pervasivo e gratificante dei sentimenti umani. Ma anche altri dubbi tormentano l’individuo e dunque le Sue ultime ore di vita dimostrano senza dubbio la totale partecipazione a ogni debolezza dell’anima umana. In questo il Suo sacrificio assume valore ancora più elevato portando al merito eccelso la sopportazione e il sacrificio che l’uomo-Dio ha compiuto per noi. 



Singolare è la distinzione operata nella narrazione tra una “scorza” e il suo interno. Gesù afferma che, per ogni fenomeno sovrannaturale che ha voluto compiere, nell’approvazione del Padre, è ricorso a una propria scorza, una sorta di rivestimento che copre la sua fisicità e ne rimane per certi versi distinta. Una dicotomia comprensibile anche se, sicuramente, non per tutti accettabile. 



Amélie Nothomb (Giappone, 1967), scrittrice belga, ha girato molto in Asia e America negli anni giovanili al seguito del padre diplomatico. A 21 anni torna nella “patria” nipponica e lavora per un anno nell’industria con esiti disastrosi di cui narrerà esplicitamente nel libro “Stupore e tremori” (1999), resoconto dell’infausta esperienza: un’impiegata, per comportamenti sbagliati, scende nella gerarchia aziendale fino a finire “guardiana dei wc”. 



Pluripremiata, il suo primo lavoro è stato “Igiene dell’assassino” (1992) che esce in Francia, dove vive stabilmente, con successo. La vicenda: un premio Nobel della letteratura confessa, nella sua ultima intervista, un omicidio compiuto anni prima. Il libro attuale (del 2019) è il suo 28° romanzo, tutti pubblicati in Italia dalla Voland, ed è arrivato secondo al Premio Goncourt 2019. La Nothomb ha la bravura di sfornare un libro nuovo all’anno. 



L’approccio narrativo è incisivo, asciutto come sempre, e serrato – anche per il breve svolgersi degli eventi - il ritmo della vicenda. La foto in copertina, anche questa come il solito, raffigura l’Autrice oggi.



Perché questo titolo? L’esperienza terribile della “sete”, al grado sommo di assenza del prezioso liquido, serve a sviare la mente del Signore dalle indicibili sofferenze inflitte al corpo nelle varie fasi del supplizio. 



È il sollievo che viene utilizzato per stornare lo strazio di quanto proviene dai molti tormenti della situazione subita: il peso che grava su mani e piedi trapassati da chiodi che lacerano la carne, la mortale stanchezza cumulata nell’impervia salita sotto la pesante croce, la sorte senza speranza che sa attenderlo inesorabile. 



Il patimento generato dall’arsura funziona da diversivo e questa tortura, già enorme, assume importanza per attenuare le altrettanto insopportabili provocate dagli aguzzini. 







La sete, che mi ero conservato come arma segreta, si riaffaccia in me. È stata un’idea eccellente. Il tormento estremo della gola mi permette di uscire dall’orrore dei corpo straziato, il mio stato di arsura porta in sé una salvezza concreta.







Se vogliamo porci da un rigoroso punto di vista ortodosso, non possiamo non rimproverare alla Nothomb il fatto di avere troppo distinto nel Cristo incarnato l’uomo dalla Sua sostanziale essenza divina. 



In effetti, in qualche punto il primo si pone in contrasto, per non dire in opposizione, con il Padre per le scelte da Questi compiute e per il mostrarsi, in certo qual modo, estraneo alla Sua stessa sostanza. Ma, come credo possiamo estesamente concordare tutti, la creazione letteraria è qualcosa di ben distinto dalla precisa ripetizione di quanto effettivamente accaduto nella realtà e tramandato nella Storia Sacra narrata dai nostri precursori... 







Per provare la sete, occorre essere vivi. Io ho vissuto così intensamente da morire assetato.



Forse è proprio questa la vita eterna.  







Luigi Alviggi







Amélie Nothomb: Sete



traduzione di Isabella Mattazzi



Voland, 2020 – p. 128 - € 16,00 







14/5/2020
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