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Calcio
Il Napoli al tempo del colera e lo sgarbo del Genoa
di Mimmo Carratelli (da: Roma dell'11.05.2020)
Il coronavirus ha spezzato i campionati e messa all’angolo l’intera stagione del calcio. Il colera del 1973 produsse al pallone un danno più locale e limitato, a Napoli e nel Sud, lasciando una scia volgare in quegli stadi in cui, ancora oggi, i napoletani vengono accolti dall’appellativo di colerosi.

L’epidemia del 1973 non incise sul campionato che ebbe regolare inizio la prima domenica di ottobre (in settembre si giocava la Coppa Italia).

Il Napoli fu ghettizzato come squadra “appestata” della città-focolaio. Fu la solita manifestazione di razzismo territoriale che non è mai scomparsa, resistente sino ai nostri giorni. Il colera provocò al Napoli qualche intoppo in Coppa Italia e una vergognosa situazione in campionato con insulti ripetuti.


TARRO

Sul piano sanitario, Napoli vinse la battaglia contro il colera dopo che Giulio Tarro, virologo di fama mondiale all’Ospedale Cotugno, isolò il vibrione, cioè il batterio responsabile dell’infezione, e una immediata vaccinazione a tappeto risolse l’epidemia.

Giulio Tarro, messinese, se non avesse fatto il medico, avrebbe voluto fare l’architetto. 

Si è laureato all’Università di Napoli facendo vita in ospedale. I suoi primi alloggi furono al Policlinico, poi a Villa dei Gerani, infine si sistemò in una stanza a Forcella. 

Andò in America per approfondire i suoi studi, allievo di Albert Bruce Sabin, il virologo polacco naturalizzato statunitense, famoso per avere sviluppato il più diffuso vaccino contro la poliomielite. Tornò. Fu richiamato a Cincinnati da Sabin, che lo ebbe tra gli allievi prediletti.

Tarro si trovava a New York quando scoppiò il colera a Napoli. Ne ebbe notizia dal “Corriere della sera” che andò a comprare alla Libreria Rizzoli in Fifth Avenute. Il giornale sparava in prima pagina: “Colera a Napoli”. Tarrò rientrò precipitosamente e trovò il vibrione in una partita di cozze tunisine.

Il 1973, debellato il vibrione, fu l’anno del primo Napoli furente di Vinicio. Raccontiamo l’intera storia, fra epidemia e pallone.


VINICIO

Si conclusero le cinque stagioni di Beppone Chiappella sulla panchina azzurra e arrivò Vinicio, che allenava a Brindisi. Leone in campo e, ancora di più, leone a bordo-campo. Leale, ma feroce nei suoi convincimenti, anche ombroso, diffidente, pretendeva grande dedizione, assoluta fedeltà e disposizione al sacrificio.

Un brasiliano senza samba, semmai lavoro e sudore. Un “tedesco” per disciplina e la durezza del comando. Conosceva bene l’ambiente napoletano e tutti i suoi vizi e perciò si ripromise di essere ancora più “tedesco”.

Venne a scuotere una squadra che, negli ultimi anni di Chiappella, s’era “imborghesita” scivolando nella mediocrità del centro-classifica.

Vinicio aveva un progetto ambizioso: superare il gioco all’italiana con una accentuata strategia offensiva sostenuta da una vibrante tenuta atletica, frutto di allenamenti duri e insistiti.

Applicò una zona mista e trasmise ai giocatori una carica non comune.

Trovò una buona difesa (Carmignani, Bruscolotti, Pogliana, Zurlini, Vavassori) e ottenne tre acquisti: Andrea Orlandini, Giorgio Braglia e Sergio Clerici, il gringo, brasiliano di San Paolo, “pistolero del gol” che aveva 32 anni e la voglia di giocare di un ragazzino. Irriducibile, correva fino al 90’ e fu il giocatore simbolo dell’irriducibile Napoli di Vinicio.


IL CIOCCO
Precampionato al Ciocco, che Chiappella aveva scoperto tre anni prima. Si può dire che fu il Napoli di Zoff, Altafini, Hamrin e Sormani a pubblicizzare la località toscana. 

Nel 1970 c’era quasi niente. Gli azzurri per allenarsi dovevano scendere a Barga e a Gallicano. Strada stretta e tutta curve per salire e scendere.

In seguito, il Ciocco divenne un posto turistico rinomato. Era una vasta proprietà del signor Guelfo Marcucci che iniziava sulla provinciale Lucca-Barga e terminava sui crinali del monte Lama a 1200 metri.

Al Ciocco, settecento metri sul livello del mare, tutto il cibo era prodotto sul posto. I campi davano frutta, verdura, il grano per il pane, gli uliveti fornivano l’olio, le viti il vino rosso e il bianco di San Quirico. 
Nelle selve correvano gli animali da cacciagione e c’erano gli armenti per il latte e il formaggio. Il pesce arrivava da Viareggio.

Negli anni, il Ciocco diventò un grande Centro sportivo e una località mondana con tavernette suggestive e un night-club.

Un anno fu una vera e propria avventura arrivarci. Il viaggio del Napoli cominciò male alla partenza in treno. Un gruppo di scioperanti bloccò la Stazione centrale.

Giorgio Vitali, pacioso e robusto direttore sportivo dal viso acceso, noleggiò seduta stante un pullman sul quale il Napoli raggiunse il Ciocco dopo un viaggio di oltre dieci ore.



IL COLERA

Dunque, 1973, siamo al primo anno di Vinicio. Concluso il romitaggio pre-campionato al Ciocco, scendemmo a Napoli. Primi turni di Coppa Italia da disputare, poi il campionato.

Ma ecco il colera, alla data fatidica e ufficiale del 24 agosto 1973. L’epidemia fu tenuta nascosta per sette giorni. Il 20 agosto era morta all’Ospedale Pellegrini la ballerina inglese Linda Heyckeey. La prima vittima napoletana fu un uomo dei Quartieri Spagnoli, Pardo Sica.

Ogni allarme è assolutamente ingiustificato” fu il responso degli esperti. Il 22 agosto morì una donna di Bacoli, Adele Dolce. Il direttore dell’Ospedale Maresca di Torre del Greco, Ferruccio De Lorenzo, accusò di “scandalismo” il primario Antonio Brancaccio che, sulle cartelle cliniche dei primi ricoverati, annotò che si trattava di qualcosa di grave e scrisse “sindrome coleriforme”. 

Al Maresca morirono due donne, Rosa Formisano di 70 anni e Maria Grazia Cozzolino, 78 anni.

La causa venne identificata nel consumo di cozze (“il cibo dei poveri”) provenienti dalla Tunisia e portatrici del vibrione. All’Ospedale Cotugno vennero ricoverati pazienti con diarrea, crampi e vomito.
 

RITARDO
La prima notizia ufficiale del colera fu diffusa la sera del 28 agosto dal giornale-radio delle 21,30 attraverso un comunicato del ministro della Salute Luigi Gui padovano: “Dal 23 agosto nella zona Ercolano-Torre del Greco si sono manifestati 14 casi di gastroenterite acuta per i quali è sorto il sospetto si trattasse di infezione da vibrione colerico”. 

Il giorno dopo, “Il Mattino” pubblicò con evidenza in prima pubblicò con evidenza in prima pagina la notizia di 7 morti (5 a Torre del Greco, 2 a Napoli) e 50 ricoveri al Cotugno.

Furono ispezionati e disinfettati tutti i luoghi di aggregazione, interdette le spiagge, iperclorinato l’Acquedotto municipale, vietata la vendita di molluschi, pesci e fichi. I limoni, che pare potessero contrastare gli effetti del colera, raggiunsero prezzi esorbitanti.
Furono ispezionati e disinfettati tutti i luoghi di aggregazione, interdette le spiagge, iperclorinato l’Acquedotto municipale, vietata la vendita di molluschi, pesci e fichi.

I limoni, che pare potessero contrastare gli effetti del colera, raggiunsero prezzi esorbitanti.
Venne rivelato che il vibrione era stato rinvenuto nelle vittime del colera e non nelle cozze. Alfonso Zarone, perito del Tribunale di Napoli, dichiarò: “Le cozze hanno un tale concentrato di colibatteri, a causa dell’inquinamento del mare, da impedire al virus del colera di sopravvivere”. Furono rintracciati tre marittimi, uno dei quali sospettato di avere portato il contagio.

L’epidemia colpì Napoli, Caserta, Bari, Foggia, Taranto, Cagliari. I primi morti scatenarono il panico fra le popolazioni.

Manifestazioni di piazza, immondizia bruciata per strada, richieste di aiuto al governo. Ad aumentare paura e angoscia contribuirono le notizie incontrollate dei media che riferivano di migliaia di morti. Il Comune di Napoli venne addirittura accusato di occultare i cadaveri.

Nonostante il colera si fosse presentato in diverse aree del mondo, era opinione diffusa che restava confinato fuori dai Paesi industrializzati. Fino al 1972, il colera era diffuso in 59 Paesi del mondo.



VACCINAZIONE

Isolato il vibrione dal professor Tarro, un piano di vaccinazioni di massa debellò l’epidemia. Alla fine furono conteggiati 227 infettati e 24 morti (15 a Napoli). I marinai della Sesta Flotta, di stanza a Napoli, si prodigarono mettendo a disposizione il vaccino e l’utilizzo di siringhe a pistola, come avevano fatto in Vietnam.

L’eco mediatica dell’epidemia fu devastante. Napoli fu bollata come la città del colera.

L’ultimo caso a Napoli si registrò il 19 settembre. Il tasso di letalità in città fu del 12,6 per cento. Ci fu un danno economico di 30 miliardi di lire.   

Il 25 ottobre, due mesi dopo l’insorgenza del colera, l’Organizzazione mondiale della sanità dichiarò conclusa l’infezione. Eduardo De Filippo compose un sonetto, “L'imputata”, che cominciava così: “Cara còzzeca, tu staje ‘nguaiate”. 


IL CALCIO
La stagione calcistica doveva cominciare con le prime partite di Coppa Italia. In pieno colera, 28 agosto, il Napoli ospitò regolarmente la Reggiana (1-1). Il 2 settembre il Bologna sarebbe dovuto venire a Napoli per la seconda partita del girone con gli azzurri. 

Il Bologna chiese un rinvio alla Lega, presieduta da Franco Carraro. La Lega non dette una risposta ufficiale, ma fece sapere che la partita rinviata sarebbe risultata “più dannosa del colera stesso” creando nuovo allarme. Il Bologna a Napoli perse 1-2.

Contemporaneamente il sindaco di Bari sospese con una ordinanza la partita Bari-Palermo, anch’essa valida per la Coppa Italia. Fu sospesa anche Foggia-Juventus. L’allarme permaneva totale. 

L’Inter di Herrera fu vaccinata in massa. La situazione sfuggì di mano al mondo del calcio. A decidere sulle partite ebbero voce le Istituzioni centrali e locali. 



IL CASO
Genoa-Napoli, terzo turno di Coppa Italia in programma il 16 settembre, sollevò il caso più clamoroso. La Regione Liguria invitò il Napoli a non raggiungere Genova (mentre il Verona stava valutando se rinunciare o no alla trasferta di Bari). 

Intervenne la Lega imponendo che Genoa-Napoli e Bari-Verona venissero giocate a campi invertiti. Il presidente genoano Berrino accettò la soluzione. Ma sia i giocatori del Genoa che quelli del Verona si rifiutarono di scendere al Sud, sostenuti dall’Associazione calciatori presieduta da Sergio Campana.

11/5/2020
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