Calcio
I cannoni di NavaRino
di Mimmo Carratelli
(da: Guerin Sportivo del 10.03.2020)
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Ma che succede a Napoli con l’arrivo di Gennaro Gattuso chiamato a guarire la squadra del golfo illanguiditasi improvvisamente e dimentica dei secondi posti e della sfida incompiuta ma eccitante alla Juventus,
tiempe belle ‘e ‘na vota?
Il ragazzo di Calabria porta nel nome la proprietà terapeutica del santo decapitato a Pozzuoli e San Gennà non ti crucciare se un allenamento di Gattuso
scioglie ‘o sanghe dint’’e vene, esageratamente parlando.
Il Napoli di Gattuso va e non va. Affonda, riemerge. Agata stupisci. Dal Vaticano di Paolo Sorrentino, il cardinale Voiello scuote la testa. Ma Pino Daniele incoraggia: tanto l’aria s’adda cagna’.
C’è stato guadagno, che cosa è cambiato, come dobbiamo ancora sfinirci col passaggio da Ancelotti a Gattuso in questo golfo di lacrime?
Tutto è cominciato poco prima della mezzanotte del 10 dicembre, un martedì. Carlo Buccirosso e Rosalia Porcaro si inchinarono davanti alla platea plaudente del teatro Diana al Vomero e il sipario calò sulla commedia “
La rottamazione di un italiano per bene”.
Poco dopo la mezzanotte, la SSC Napoli alzò il suo sipario e annunciò l’esonero di Carlo Ancelotti, il rottamato italiano per bene. A Napoli, succedono cose così.
Tempesta azzurra
Il giorno dopo, mercoledì, scattò in città l’allerta per fenomeni meteorologici avversi con venti da nord-nordest e mare agitato. E c’era tempesta sul Napoli.
Un mercoledì da lupi, giusto i cento lupi di ferro, ciascuno del peso di 280 chili, fermamente ringhianti in Piazza Municipio nella plastica creazione dello scultore cinese Liu Ruowang.
Un vento forte e teso cercava di spingere oltre Capri i nuvoloni della crisi azzurra dai quali giungeva appena un raggio di sole, la qualificazione agli ottavi di Champions, l’ultimo raggio di Ancelotti. Dall’aeroporto di Capodichino a Castelvolturno, viaggiò un’auto aziendale con a bordo Gennaro Gattuso di Corigliano Calabro.
Questa è la storia napoletana di
t’aggio vuluto bbene a te,
tu mm’hé vuluto bbene a me, mo nun ce amammo cchciù, Aurè, Carlé, quando arrivò
nu criaturo niro niro e ‘a mamma ‘o chiamma Rino, sissignore ‘o chiamma Rino, Rino Gattuso.
È stato il melotrauma azzurro di dicembre. L’uovo di Virgilio a Castel dell’Ovo rischiò di rompersi segnando la fine del Napoli. Furono i giorni in cui un epigono di Italo Calvino scrisse la celebre trilogia del Cavaliere De Laurentiis inesistente, del Visconte Ancelotti dimezzato e del Terrone rampante Gattuso. Percosso e attonito, il golfo alla novità stette.
Venne segretamente lacerata l’immagine 007 di De Laurentiis e Ancelotti dei tempi felici, spalla a spalla, le pistole senza più colpi, il furbo sorriso svanito, e fu issato a Castelvolturno il vessillo di Corigliano Calabro con annessa Marina di Schiavonea.
I due episodi segnarono l’addio di Carlo Ancelotti al terrazzo vomerese del Parco Materazzo, che aveva già subito le partenze dopo solo tre anni di Cavani e Higuain, proprio un’abitazione di rapidi passaggi, e sancirono l’arrivo del sarracino di Calabria Gennaro Gattuso che
tene ‘e capille nire nire e a barba ‘nfaccia.
Napoli divisa in due
Nella città di ogni addio (
addio mia bella Napoli, cantava Enrico Caruso) e di ogni struggimento, il passaggio di consegne fra i due tecnici del pallone divise la popolazione del golfo tra affrante vedove di Ancelotti e scettici simpatizzanti del nuovo venuto.
Su un giornale apparve il titolo: “
La Napoli dei lazzari e quella raffinata di Ancelotti” inchiodandoci a un destino barbaro di corni rossi, tricche-tracche e pernacchie scomposte avendo perso la grazia di Re Carlo, il pluridecorato, per consegnarci a uno
r’o Sud curt e nire che a tredici anni scaricava le “
spaselle” di pesce alla marina del suo paese calabro, uno senza palmares allenante, con una mezza impresa al Milan, una pescheria-ristorante a Gallarate e un depuratore di molluschi a Schiavonea.
Eppure, il nuovo venuto è stato un irriducibile guerriero dei campi di calcio, campione del mondo con garretti fumanti, i piedi “
a zampa di elefante” come li ricorda Tonino Fiorillo detto Freccia, barbiere allo Scalo di Corigliano, amico e figaro personale.
Contro i profeti di sventure e le vedove di Ancelotti il maestro di strada Gattuso si è impegnato a rialzare il Napoli caduto nella depressione finale di quattro pareggi e due sconfitte del Professore di Reggiolo.
Troppo alto il magistero di Ancelotti perché venisse compreso da una banda di ragazzi scontenti, smarriti e ammutinati. La svolta era inevitabile.
C’era una svolta si racconterà a fine stagione se le cose andranno come devono andare. Il trambusto del mercoledì da lupi, l’11 dicembre, sotto il segno del Sagittario, colore portafortuna l’azzurro, si concluse nella sala stampa di Castelvolturno in un precario equilibrio astrologico con l’apparizione delle ore 18 di Aurelio De Laurentiis, mente rapida, egocentrico, svelto di lingua e irritabile come tutti i nati sotto il segno dei Gemelli, e di Gennaro Gattuso della gente del Capricorno intraprendente e coraggiosa sino all’eroismo.
L'allegoria di Ringhio
Nascondendo una lacrima sul viso per la separazione da Ancelotti, Aurelio indicò agli astanti l’uomo raggomitolato al suo fianco: “
Ecco a voi Ringhio Star”.
Nessun applauso sottolineò la definizione proferita dal presidente con l’intento compiaciuto di ricavarne un’ovazione. Ringhio non ringhiò presentandosi con voce bassa e trattenuta nel suo idioma calabro-milanese con aoristi greci, per il suo passaggio calcistico nell’isola di Creta, e qualche step del suo periodo scozzese.
Quando apparve da allenatore al Milan, si ritrovò davanti a una platea di cronisti benevoli nel ricordo del suo passato di indispensabile calciatore rossonero.
Adesso aveva di fronte una folla di resocontisti partenopei titubanti e diffidenti. Riuscì a disorientarla con una allegoria inaspettata: “
Mi sono tuffato in un mare grande, spero di non annegare, ma io non ho paura”.
Annegò in quattro sconfitte nelle prime cinque partite sulla panchina azzurra, ma ebbe il sostegno di Aurelio, un presidente sommamente protetto dalle scelte fortunate di cinque allenatori su sette nel corso della sua ostinata dittatura.
Aurelio, col fremito bendisposto della barba, andò di persona agli allenamenti di Ringhio incoraggiandosi con la proverbiale grinta del ragazzo di Calabria che avrebbe inevitabilmente scosso una squadra con la testa sulla luna, le gambe a bagnomaria e l’angoscia delle multe annunciate dopo lo storico ammutinamento del 5 novembre sotto il segno dello Scorpione che morse e avvelenò d’un tratto Ancelotti e il suo staff.
Passando il San Paolo dai 38.878 spettatori della vittoriosa partita di Ancelotti sul Liverpool ai 17.101 spettatori della partita col Perugia di Coppa Italia e di un Gattuso che stava annegando, la città ignorò il nuovo venuto, considerandolo una vittima sacrificale della restaurazione aureliana, e urlò contro il reazionario De Laurentiis accusandolo di ancien régime, il suo potere assoluto che, anche alla luce degli acquisti di gennaio, neanche un top-player, e con un allenatore di bassa statura, riportava il Napoli agli anni della mediocrità e delle incertezze.
Svolta e controsvolta
Quand’ecco che, a fine gennaio di quest’anno bisestile, mentre eravamo sull’orlo di un abisso di pareggi e sconfitte, il Napoli di Gattuso inchiodò la Lazio al San Paolo, eliminandola dalla Coppa Italia, e, cinque giorni dopo, colpì a Fuorigrotta la Juventus dei transfughi Sarri e Higuain al completo di Ronaldo e Dybala, evento sempre auspicato e più volte festeggiato con giubilo grande, ma stavolta, con Gattuso in panchina, l’evento fu ritenuto soprannaturale. San Gennaro di Calabria.
I media fissarono in cinque punti l’improvvisa miglioria azzurra: il ritorno al 4-3-3 gradito alla squadra dopo la prigionia del 4-4-2 di Ancelotti alla squadra sgradito; il rilancio di Insigne, Callejon, Mertens, i big del passato felice messi su un foglio di via dalla precedente gestione tecnica però rimasti da delusi in casa; una formazione standard dopo i feroci turn-over ancelottiani; allenamenti più intensi; pugno duro (allons ammutinat de la Patrie).
Ancelotti è caduto sull’impossibilità di superare la Grande Nostalgia dei titolarissimi e degli schemi ossessivamente fissi di Sarri e sulle difficoltà di creare una squadra nuova, meno narcisistica e più verticale, persino liquida nella libertà concessa agli attaccanti di inventare gioco.
Un progetto di stampo europeo, non sostenuto dalla società con acquisti adeguati, perciò bruciato dopo un anno e 21 partite di Re Carlo ritrovatosi su un trono di legno. Fallito il progetto e confermatosi il rigetto della squadra a passare dalla fantasia alla ragioneria applicata, si materializzò il collasso azzurro a inizio della seconda stagione di Ancelotti.
Così è sopraggiunto Gennaro Gattuso, figlio di un padre falegname che ha giocato centravanti nel Corigliano e di una madre energica di media statura ma di intelligenza superiore, il cervello della famiglia.
Uscito dalle trincee delle prime partite perse, Gattuso, più un ex calciatore a 42 anni che un tecnico, si impossessa del Napoli a tu per tu con i giocatori negli allenamenti conquistandoli con lacrime, sangue, carota e bastone, ringhi e arringhe.
Gattuso, che De Laurentiis ha saputo agitare prima dell’uso, ha cominciato a sparare i suoi colpi per il rilancio azzurro nella nuova pellicola della Filmauro: I cannoni di NavaRino. Ma dopo avere abbattuto Lazio, Juventus e Sampdoria, i cannoni di NavaRino si sono inceppati, sparando però un colpo decisivo a Milano contro l’Inter.
Per raddrizzare la baracca e non finire nella disperazione dei risultati altalenanti, passando notti con molti incubi come ha confessato, Gattuso ha sterzato imponendo dopo Milano un solido 4-5-1, respingendo le lusinghe della Grande Bellezza e imponendo la Grande Praticità, pugno duro e chi si allena male non gioca (è capitato ad Allan).
Tra il dire e il fare, nel golfo siamo allo sfinimento. A Castelvolturno, non c’è pace tra gli ulivi. E, per gli azzurri, Sanremo canta pinguini tattici poco nucleari. Ma le cose si vanno aggiustando.
E un martedì all’improvviso la testuggine azzurra, copyright Gennarone Gattuso, controlla e contiene il Barcellona e per poco non lo manda all’inferno,
e comm’è bella, comm’è bella ‘a città ‘e Pulecenella.