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Calcio
I 90 giorni di Ringhio Gattuso
Sudore, difesa, niente malakia
di Mimmo Carratelli (da: Roma del 09.02.2020)
Questa è la cronaca della riscossa sperata-insperata di un Napoli che, persi la Grande Bellezza, il secondo posto, progetti, rilanci e ricostruzione, precipitando nello sconforto di 9 pareggi e 4 sconfitte dopo ventuno partite, galleggiando in Champions dopo avere preso quattro punti al Liverpool, ammutinatosi, multato ed esposto al pubblico ludibrio, col benservito a Carlo Ancelotti, il pluridecorato, si proponeva per il baratro finale, l’inferno e la resa totale quando fu la notte di martedì 10 dicembre e la stella-cometa di Aurelio De Laurentiis si spense nel cielo di Fuorigrotta.

Ed è la storia di Gennaro Gattuso, il nulla-decorato, e del Napoli di Gennaro Gattuso che affonda, emerge, inciampa, risorge, schiantato da quattro sconfitte nelle prime sei partite del calabrone-calabrese, perdete ogni speranza voi che giocate con la maglia azzurra, quando con un colpo di coda, il cambio degli allenamenti, sudore e poi sudore, e chi non suda non gioca, l’abbandono del 4-3-3 dei tempi belli di una volta e una squadra votata al sacrificio e alla compattezza difensiva, ecco che torna azzurro il cielo sopra il San Paolo.

La squadra ammutinata
E i giocatori ammutinati, multati, vilipesi, infortunati e demotivati riprendono a correre, fanno squadra e ritrovano il gusto del gioco con le nuove certezze, una formazione-base e la fine dei turn-over esagerati, e ognuno ha il suo ruolo e ritorna protagonista con l’uomo nero in panchina, occhi neri, barba nera, capelli neri, baffi neri, che ha l’umiltà di scrivere se uno nasce quadrato non muore tondo, l’autobiografia capovolta di Gennaro Gattuso che non è mai stato Rivera e neanche Lodetti, con una vita da mediano ringhiante, un po’ Girardo dei nostri tempi antichi, ma il suo modello è stato Salvatore Bagni.

A metà dicembre, il Napoli è nel caos. “Oni testa è nu tribunali” dicono in Calabria. Così è a Castelvolturno. Forza ragazzi. Gattuso piazza il suo primo ringhio.

Flebili risposte dei giocatori giù di corda, poco allenati, disorientati. Due giorni per conoscersi, non c’è tempo di cominciare a correre, incombe la partita col Parma al San Paolo. Gattuso rimescola il 4-3-3 dei bei ricordi liberando la squadra dalla prigionia del 4-4-2 di Ancelotti.

Contro il Parma schiera: Meret; Di Lorenzo, Manolas, Koulibaly (5’ Luperto), Mario Rui; Fabian Ruiz, Allan (63’ Mertens), Zielinski; Callejon, Milik, Insigne (79’ Lozano). Col Parma è il derby del settimo posto. Un “buco” di Koulibaly dà via libera al gol immediato di Kulusevski (4’).

Benvenuto, Ringhio, nella terra dei cachi. Pareggia Milik al 65’. Il Napoli tira 21 volte (nove in porta). Zielinski una volta e Insigne due falliscono il gol. Terzo minuto di recupero e, stavolta, è una scivolata di Zielinski che dà campo al contropiede parmense concluso da Gervinho. La sconfitta per 1-2 cala pesantemente sul Napoli.

L’inizio in salita
Gattuso deve lavorare sulla testa e sulle gambe degli azzurri. Il Napoli ha perso anima, cuore, gioco, voglia, orgoglio, corsa, resistenza. Ci vuole un miracolo di San Gennaro di Calabria. 

Secondo match a Reggio Emilia col Sassuolo. Koulibaly è infortunato, gioca Luperto. Ringhio non muove la formazione. Prova Fabian Ruiz play davanti alla difesa: esperimento che fallisce (Ringhio ci proverà ancora).

Per un’ora il Napoli non vede palla, la difesa tormentata dal diciannovenne ivoriano Traorè e dall’altro ivoriano Boga, naturalizzato francese. Salvataggi, maledizione e perdizione.

Il gol di Traorè (29’) è un danno minimo per gli azzurri. In panchina, Gattuso è più nero della notte. Quando tutto sembra perduto, il Napoli si scuote. Pareggia Allan inseritosi da centravanti in zona-gol sul passaggio rasoterra di Zielinski e il “velo” di Milik (67’).

La squadra spreca cinque occasioni, Callejon colpisce la traversa. Al 94’ Elmas infila il gol-vittoria (corner di Insigne, spizzata di testa di Di Lorenzo nel mucchio in area).

È quasi Natale, Gattuso può mangiare almeno una fetta di panettone. Ma il Napoli è giù che più giù non si può.

San Paolo porte aperte
L’anno nuovo annuncia l’Inter al San Paolo, l’Inter di Conte (“somiglia ad Al Pacino” dice Gattuso), l’Inter di Lukaku e Lautaro che lotta per lo scudetto, è in cima con la Juventus, il Napoli lontano 18 punti dalla vetta.

Gioca Hysaj con Manolas e Di Lorenzo centrali (Koulibaly è out). Gattuso insiste nella formazione di partenza. Lukaku colpisce due volte (14’e 33’). Meret fa gli straordinari. Il difetto del Napoli è ormai chiaro: mira la porta, non la centra mai.

E, tra i pali nerazzurri, Handanovic fa un buon lavoro. Milik segna al 39’, Lautaro Martinez al 62’. Una punizione di Insigne si stampa sulla traversa (74’). Sconfitta temuta (1-3), è allarme azzurro.

Dov’è la vittoria? Chi le porge la chioma? La chioma nera di Gattuso è schiacciata sul suo capo. Il 4-3-3 non sembra più sostenibile, manca la brillantezza di un tempo e c’è soprattutto da mettere a punto una migliore organizzazione difensiva.

L’inizio di Gattuso è durissimo. Il San Paolo è un passaggio aperto per tutti. Dopo il Parma e l’Inter, passa anche la Fiorentina (2-0). Tre sconfitte interne su tre in campionato. Contro i viola è la peggiore partita del Napoli di Gattuso che resta impigliato nel 5-3-2 di Iachini con Insigne messo fuori partita dalla doppia marcatura Benassi-Lirola.

Unica luce la vittoria sul Perugia (2-0), ottavi di Coppa Italia, ma per vincere sono necessari due calci di rigore (doppietta di Insigne).

Mertens non sta bene, fa panchina; Lozano c’è e non c’è; Llorente è una riserva che non incide; Koulibaly è sempre fuori per infortunio; Ghoulam è nella sua eterna infermeria; Allan è in una stagione mediocre; Meret cede il posto a Ospina.

Poche le cose buone. Di Lorenzo molto okay. La serietà professionale di Hysaj e Mario Rui. Gli sprazzi di Fabian Ruiz. Gattuso fa fatica. È possibile che la squadra paghi anche il cambio di metodo degli allenamenti. Gattuso spinge molto, allenamenti intensi e lunghi, nessuna pausa. La squadra accusa il nuovo lavoro molto duro.

Il mercato di gennaio
Dal mercato di gennaio arrivano Demme (29 anni, tedesco, dal Lipsia per 12 milioni), Lobotka (26 anni, slovacco, dal Celta Vigo per 20 milioni) e Politano (27 anni, dall’Inter, prestito biennale per 2,5 milioni, riscatto fissato a 19 milioni).

Demme più animoso, incontrista, rapido nel dare la palla e Lobotka più lento ma più tecnico sono una risorsa rilevante per il centrocampo. Coprono finalmente il vuoto lasciato da Jorginho. Si mostrano subito pronti.

Politano è un po’ in ritardo, ala destra che salta l’uomo, alternativa offensiva per Callejon. Demme si presenta nei finali di partita contro Fiorentina e Perugia. Diventa titolare fisso.

La svolta arriva dalla Coppa Italia con l‘1-0 alla Lazio, quarti di finale al San Paolo, fulmineo gol di Insigne. Centrocampo con Demme, Zielinski, Lobotka.
L’espulsione di Hysaj dopo 19 minuti (dentro Luperto, fuori Lobotka) apre a Gattuso la strada della super-difesa, un 4-4-1 contro i laziali.

La fase difensiva, fino al 4-5-1, consolida la squadra. Il Napoli di Gattuso batte la Juventus al San Paolo (2-1: Zielinski e Insigne). Demme è ormai una pedina fondamentale.

A Genova, contro la Sampdoria (4-2) Gattuso fa giocare Lobotka, poi rimette Demme. Scialano in gol Milik, Elmas, Demme e Mertens.

La rinascita del Napoli sembra avviata, ma c’è la sorpresa del Lecce al San Paolo (2-3). In mezz’ora, Milik e Zielinski sbagliano gol fatti, Insigne colpisce la traversa. Il Napoli passa da una vittoria tonda al disastro. Il vantaggio del Lecce è un regalo di Ospina a Lapadula (29’) che raddoppia al 61’ dopo il pareggio di Milik (48’).

L’arbitro Giua rifiuta di consultare il Var per un evidente fallo da rigore di Donati su Milik, il Napoli s’imbambola, prende il terzo gol (82’ Mancosu), irrilevante la rete di Callejon al 90’.

Il rientro di Koulibaly è negativo. Politano gioca per un’ora. Mertens entra nella ripresa al posto di Lobotka, ma la sua effervescenza si spegne presto.

Una formazione di titolari
Siamo punto e daccapo? Di nuovo la Coppa Italia, semifinale di andata a Milano contro l’Inter, rilancia la squadra azzurra, 1-0, fantastico gol di Fabian Ruiz, Napoli con uno solidissimo 4-5-1 che rispolvererà al San Paolo contro il Barcellona (1-1 nell’andata degli ottavi di Champions, gol di Mertens).

Intanto, la squadra fila in campionato con due vittorie esterne, a Cagliari 1-0 (Mertens decisivo) e a Brescia 2-1 (rigore di Insigne e un altro capolavoro di Fabian Ruiz a rimontare il vantaggio bresciano).

Il Napoli batte il Torino al San Paolo (2-1) con i gol di Manolas e Di Lorenzo. Tre vittorie consecutive non s’erano ancora registrate. Il campionato sorride agli azzurri.

Sempre più spazio per Mertens dopo sei partite saltate. Dalla panchina o da titolare, Dries va a segno tre volte in sei partite e raggiunge Hamsik (121 reti) sul trono azzurro del gol.

Nascono i titolarissimi di Gattuso: Ospina; Di Lorenzo, Manolas, Maksimovic, Mario Rui, Fabian Ruiz, Demme, Zielinski, Callejon, Mertens, Insigne.

In quindici partite, il bilancio di Gattuso, fra campionato e coppe, è di 9 vittorie, un pareggio, 5 sconfitte, 22 gol fatti, 18 subiti.

Il cannoniere di Gattuso è Insigne (5 gol con due rigori), poi Milik 4 gol, Mertens 3, Elmas 2, Fabian Ruiz 2. Un gol per Allan, Zielisnki, Demme, Callejon, Manolas, Di Lorenzo.

Dal campo alla panchina
Gattuso smette di giocare a 34 anni, pochi minuti finali nel Milan a Parma, sostituendo Muntari, 17 marzo 2012, e un anno dopo allena il Sion in Svizzera.

Comincia la nuova vita in panchina. Si ritiene un impulsivo e un adrenalinico, perciò non sa aspettare. È nato settimino: lo aspettavano a marzo, nacque a gennaio. Qualcosa vuol dire.

Il pallone è la sua vita da quando, bambino, calciava un SuperTele da millecinquecento lire sulla spiaggia di Schiavonea, la marina di Corigliano calabro sul mare Jonio.

Suo padre, falegname, faceva il centravanti nella quarta divisione calabrese. Ma da piccolo, fra i pescatori di Schiavonea, Rino sognava di diventare un pescatore.

Con i pesci e i molluschi, a dieci anni, fece i suoi primi soldi: andava a portarli a domicilio e ne cavava diecimila lire al giorno.

Il padre è un milanista acceso, cresciuto nel mito di Gianni Rivera. Il pallone e il Milan furono la passione istantanea che sostituì i pesci.

Rino allenò i piedi nelle interminabili partite sulla sabbia di Schiavonea. Ebbe chiaro il suo destino col pallone, affascinato da quelli che “senza i pennelli di Rivera, in campo si fanno un mazzo tanto”. Sarebbe stato uno di loro.

Essere calabrese per lui significa dare sempre l’anima. Da calciatore ad allenatore, non cambia. A Salerno, lo chiamavano pitbull. Al Milan, Carlo Pelegatti lo soprannominò Ringhio. Gli è piaciuto. Sarà Ringhio per sempre.

Gli allenatori di Rino
Il suo primo allenatore è stato Walter Novellino al Perugia quando Rino aveva 17 anni. Il Bologna lo aveva bocciato, lo prese la squadra umbra. Novellino, avellinese di Montemarano, era per tutti Monzòn, per la somiglianza col pugile argentino, un picchiatore.

Quando scappò in Scozia, ai Rangers, Rino giocò il calcio “duro” che gli piaceva, sotto gli insegnamenti di Walter Smith, autentica gloria scozzese, e poi dell’olandese Dick Advocaat.

Rientrato in Italia, alla Salernitana, trovò Delio Rossi. Al Milan, ebbe subito Zaccheroni, poi il turco Terim, per sette anni Carlo Ancelotti che lo chiamava “impepata di cozze”, nelle due ultime stagioni Massimiliano Allegri.

Molto ha appreso da questi tecnici, ma nessuno di loro è stato il suo modello di allenatore. Da calciatore e da allenatore, Gattuso si è inventato da solo, dalla sua grinta di terrone, orgoglioso di essere terrone, duro e permaloso, con qualche dolcezza in sottofondo. “Il ricordo dei pescatori di Schiavonea mi fa sentire il mare addosso”, così ha scritto.

A Sion, nel cantone vallese della Svizzera, fa il passaggio da giocatore ad allenatore. È il febbraio del 2013. Guida la squadra in quattro partite (una vittoria, un pareggio, due sconfitte). Viene esonerato.

Rientra in Italia e si consegna a Maurizio Zamparini, il mangia-allenatore veneto, padre-padrone del Palermo. Dura otto partite (tre vittorie, un pareggio, quattro sconfitte), sostituito da Iachini e rientra nella lista nera dei 49 allenatori licenziati da Zamparini nei suoi sedici anni al Palermo.

Gattuso non ha padrini e non ha padroni. Deve muoversi da solo nel mondo del calcio uscendo, scarpette al chiodo, da una carriera di dedizione e sacrificio.

Non è il “bello” che incanta, bluffa, promette, filosofeggia e fa cri-cri. Non è uno dei signorini delle panchine tanto di moda, non è un mago né un maghetto, unica credenziale la passione, unica religione il lavoro.

Non si nasconde, si propone com’è. Capello nero d’Avola, sguardo da mastino, piedi da maratoneta, spinta propulsiva del cancariello (il peperoncino rosso di Calabria): è il suo biglietto da visita. Dice: “Penso in calabrese, parlo in calabrese, sogno in calabrese”.

Il Ringhio di Creta
Sceglie un percorso difficile. Gattuso ha coraggio. Sbarca a Creta per allenare l’Ofi nella serie B greca. Situazione confusa, giocatori non pagati, critiche, 5 vittorie, 3 pareggi, 9 sconfitte in diciassette partite. In conferenza stampa è un leone. Parla in inglese di Scozia, in italiano e in greco.

Infiocchetta una autentica arringa contro giornali e società inadempiente usando espressioni audaci e spontanee, dicendo britannicamente shit (merda) e in greco malakia (cazzate).

I giornali scrivono malakia, cazzate. Così urla. Si dimette, i tifosi vogliono che resti. Torna in Italia. Resta otto mesi inattivo e si caccia in un altro labirinto.

Pisa 2015-16, Lega Pro. Problemi di soldi, ma porta la squadra in serie B (43 partite: 22 vittorie, 14 pareggi, 7 sconfitte). Campionato cadetti e retrocessione (45 partite: 7 vittorie, 22 pareggi, 16 sconfitte). Lascia.

Gattuso non fa parte del girone dei raccomandati. Non si dispera, aspetta. Lo chiama la patria milanista ad allenare la Primavera. Lo aspetta la ribalta di San Siro.

A fine novembre 2017, esonerato Montella, balza in prima squadra. Gli va di lusso, in ventiquattro partite conquista 12 vittorie e 8 pareggi, perde quattro volte.

Il Benevento di De Zerbi è la sua bestia nera. All’andata il portiere beneventano Brignoli gli strappa la vittoria al 95’ andando a segnare sotto la porta di Donnarumma (2-2); a Milano il Benevento vince 1-0.

Incontra il Napoli di Ancelotti a San Siro e fa 0-0. Conclude il campionato con un trionfale 5-1 alla Fiorentina e porta il Milan in Europa League.

L’impresa al Milan
Confermato l’anno successivo, Gattuso manca per un punto la Champions: 19 vittorie, 11 pareggi, 8 sconfitte. Il suo girone di ritorno è fantastico: 37 punti come la Juventus campione d’Italia.

Contro il Napoli di Ancelotti perde al San Paolo (2-3), pareggia a San Siro (0-0). In totale, conquista 68 punti, un record nelle ultime sei stagioni rossonere.

Ma il futuro è incerto. Il fair-play finanziario blocca il Milan, Leonardo lascia, niente Europa. Confusione. Rino Gattuso lascia rinunciando a due anni di contratto e a undici milioni di euro. “La mia storia col Milan non potrà mai essere una questione di soldi” dice. Sasha Liguori, il ras della Fosse dei leoni a San Siro canta: “Chiedete scusa a Gattuso”.

Torna al mare di Calabria e gli arriva la telefonata di De Laurentiis. Il Napoli, la grande occasione. Il suo verbo viene diffuso in due libri, “In Rino veritas” e “Il Codice Gattuso”.

A Castelvolturno dice: “Mi sono tuffato in un mare grande, spero di non annegare, ma io non ho paura”. E il ragioniere Gennaro Gattuso, con regolare diploma, comincia a nuotare tra Castelvolturno e il San Paolo. Affoga, riemerge. Ineluttabilmente Napoli “perché io, milanista, non andrei mai alla Juventus o all’Inter”.



9/3/2020
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