Cultura
Appunti sulla Napoli greco-romana
di Franco Polichetti
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Siamo ormai in pieno tempo natalizio e come è tradizione consolidata dei napoletani si ripete immancabilmente, il rito della passeggiata a S. Gregorio Armeno, la strada famosa in tutto il mondo per le innumerevoli botteghe dedicate all’arte presepiale, che si trova nell’area della Napoli greco-romana cioè quella compresa tra i tre decumani, il superiore via Dell’Anticaglia-Pisanelli, il Maggiore via dei Tribunali e l’inferiore via S. Biagio dei Librai.
Già lo scorso anno, nel periodo natalizio, suggerii agli amici che, eventualmente, avessero avuto in programma di compiere questo abituale rito di non limitare la visita, esclusivamente all’esposizione presepiale, ma di estendere il loro interesse anche alle tantissime ed importanti testimonianze storico-monumentali dell’area, e dedicai ben quattro articoli alla Basilica di S. Gregorio Armeno, al complesso conventuale che la ingloba e al ruolo religioso e civile della comunità monastica che la gestisce, per spronarli alla visita.
Quest’anno tenterò, almeno così spero, di orientare l’interesse degli amici eventuali visitatori, verso uno dei più apprezzati e noti monumenti della Napoli greco-romana; intendo l’antico teatro.
Esso fu una delle glorie della Neapolis, di quella Neapolis che Ottaviano Augusto, secondo quanto riferisce lo storico Svetonio, considerava “custode della cultura ellenica”. (a Napoli si parlò greco fino al VII-VIII sec. d. C.)
Il teatro fu reso famoso dai leggendari certami canori di Nerone che riempivano sempre il teatro di una folla che lo acclamava con intensi e prolungati applausi la cui effettiva spontaneità è messa, dagli studiosi, fortemente in dubbio.
Anche l’Imperatore Claudio, secondo quanto riferisce sempre Svetonio, vi fece rappresentare, in una gara, le commedie in onore del suo amato fratello Germanico riportandone l’agognato alloro.
Il teatro divenne quindi noto come uno degli avamposti della cultura greca in occidente e fu il punto di riferimento di molti autori latini, che non potendo recarsi in Grecia, venivano nella Napoli greca per partecipare ai ludi drammatici che qui si svolgevano, similmente a quelli della madre patria greca, per conquistare l’alloro della vittoria che dava loro prestigio e dignità letteraria.
Ecco dunque una sintetica descrizione storico-architettonica di questo monumento così noto nell’antichità ma ancora oggi purtroppo seminascosto.
La sua costruzione risale al I sec. a.C. su un precedente edificio greco del IV sec. a. C., forse anch’esso destinato a rappresentazioni teatrali. Il teatro fu restaurato in età Flavia tra il I-II sec. d,C.; le vestigia, oggi parzialmente riportate alla luce, e che noi possiamo visitare, risalgono a questo periodo.
Ce ne dà conferma lo scrittore Publio Papinio Stazio che in una lettera alla moglie contenuta nella sua opera “Silvae” esaltando i templi e la grande piazza porticata su cui si affacciavano (quasi certamente si riferisce al foro oggi messo in luce dagli scavi eseguiti al di sotto della Basilica di S. Lorenzo Maggiore, anch’essi visitabili) fa riferimento ai due teatri della città.
Quello all’aperto e quello coperto (l’odeion) posizionati proprio a confine nella parte superiore del foro, alle spalle del temenos (=Area Sacra) del tempio dei Dioscuri, oggi Basilica di S. Paolo Maggiore, la chiesa prospettante su piazza S. Gaetano, caratteristica per le due colonne corinzie, recupero dell’antico tempio greco, che ne ornano la facciata.
Con il tramonto dell’impero romano venne meno anche la frequentazione dei teatri e l’interesse per le rappresentazioni sceniche; ed a partire dal V sec. d.C. la struttura fu progressivamente abbandonata.
Una disastrosa alluvione fra il V-VI sec. d. C. la sommerse parzialmente di detriti, divenne così una discarica e a partire dal XV sec. suolo edificatorio su cui sorsero, via via, i numerosi edifici che ancora oggi la occultano.
La cavea, in parte sventrata dal vicolo Cinque Santi aperto sul finire del XVII secolo, diventata discarica di detriti, scomparve. Gli ambienti di servizio annessi al teatro divennero cantine botteghe e depositi di ogni genere e tali son rimasti fino ai giorni nostri.
Nel 1859, durante uno scavo per la costruzione di una fognatura vennero alla luce alcune sue strutture, ma non si pensò allora ad un recupero del monumento. Un vero primo scavo archeologico avvenne alla fine del 1800 nel giardino dell’edificio che ancora insiste parzialmente sul teatro.
Nel 1939, durante il periodo fascista, fu elaborato il primo organico e razionale piano per un integrale recupero che prevedeva la demolizione di tutti gli stabili insistenti sul teatro; ma il sopraggiungere della guerra interruppe la realizzazione del progetto e solo a partire dal 1997 si è dato nuovo avvio ai lavori di scavo che ad oggi, hanno portata alla luce solo una piccola parte della media e summa cavea.
L’Odeion, molto più piccolo e coperto, ospitava spettacoli prevalentemente musicali e formava con il teatro un unico complesso per i momenti di svago della cittadinanza. Esso è andato completamente distrutto ed a noi è pervenuto solo qualche modestissima testimonianza.
Il teatro aveva una capienza di oltre 5000 spettatori. Purtroppo la visita nella sua interezza ancora oggi non è possibile, i due terzi della struttura restano ancora occultati dai sovrastanti edifici e quindi la visita avviene per le zone finora recuperate e riportate alla luce.
L’accesso a quella parte dei locali di servizio annessi al teatro avviene attraverso un basso del vicolo Cinque Santi. il cui proprietario, avendo, scoperto l’esistenza al di sotto del suo terraneo di antichi locali, per utilizzarli, forse, come nascondiglio di prodotti del mercato nero e come cantina per le necessità della famiglia, aveva aperta una botola nascosta sotto al letto e per accedervi aveva escogitato un meccanismo con cui il letto, scorrendo su dei binari, finiva nascosto in una nicchia praticata nel muro. Il basso oggi è stato espropriato e destinato ad un normale ingresso per la sola visita di questi sotterranei.
Per l’accesso alla cavea invece occorre spostarsi in via S. Paolo dove attraverso un’antica bottega vi si entra. È possibile così vedere una parte delle gradinate della media cavea, finora messa in luce fra incombenti e sovrastanti edifici che ancora ampiamente la occultano.
I resti sopra descritti sono visitabili tutti i giorni; le visite avvengono con una guida previo acquisto del biglietto che comprende anche la visita di un tratto dell’acquedotto romano. L’ingresso e la biglietteria si trovano in Piazza San Gaetano n.68 al lato sinistro della basilica di S. Paolo Maggiore.
Per chi, tra gli amici fosse punto da vaghezza di saperne di più, aggiungo una sintetica descrizione sul teatro greco-antico in generale.
Il teatro è una creazione culturale ellenica. La sua origine è antichissima e risale alle rappresentazioni di riti sacri in onore di Dioniso, il dio greco della viticultura, dell’esaltazione dei sensi della gioia spensierata, durante i quali un gruppo di uomini mascherati da satiri (ibridi con forme umane e caprine) danzando lamentavano coralmente la morte del dio.
La letteratura ci ha tramandato discreti particolari di questi riti che consistevano in processioni tumultuose di Sileni, Satiri e Ninfe evocati da maschere. Elemento tipico del culto era la partecipazione essenzialmente femminile di fanciulle che si chiamavano Menadi o Baccanti, il mito, dinamico ed orgiastico, si estrinsecava in una specie di processione in corsa, un po' come una caccia agli animali della foresta e dei monti (il cerbiatto era portato in braccio dalle menadi).
Il rito trovava presa, più che nell’elemento maschile, in quello femminile, più disponibile all’invasamento e all’esaltazione sconfinante in forme orgiastiche che portavano a divorare vivo l’animale, compagno della corsa. Era una di quelle forme di misticismo sfrenato che rasentavano o addirittura s’identificavano con la follia sacra. Era questo della follia sacra il momento di maggiore rischio di una degenerazione in forme di vere e proprie orge sessuali.
Ma ritorniamo alla storia dell’’architettura del teatro L’evoluzione storica dello spazio teatrale vede dapprima un semplice spiazzo attorno al quale si radunava la collettività; col tempo questo spiazzo diventa circolare e contornato di panche lignee, Questa parte del teatro si chiamava orchestra.
Inizialmente l'orchestra era realizzata in terra battuta ma durante le rappresentazioni, veniva ricoperta da stuoie. Successivamente fu lastricata e dotata di un'ara il thymele, l'ara di Dioniso.
Sempre in origine sorsero anche, ma dopo qualche tempo, le prime vere e proprie macchine teatrali effimere che si spostavano da luogo a luogo per portare la rappresentazione anche nelle città più lontane.
Tespi, un tragediografo e attore greco antico. ne fu, forse, ideatore ed ispiratore. A partire dal Vi sec. a. C. (l’età in cui si consolida la forma istituzionale della polis) sorsero nell’Ellade, sia in madrepatria che nelle colonie occidentali (Magna Grecia),i primi veri edifici teatrali.
Morfologicamente si destinò uno specifico spazio, a cielo aperto, a rappresentazioni sceniche, opportunamente allestito e bipartito: da una parte il choros ovvero l’orchestra, uno spazio circolare nel quale gli attori coreuti, partecipanti compivano le loro evoluzioni danzanti attorno ad un altare la thymele, l’ara di Dioniso ed un secondo spazio molto più esteso, il theatron, dal verbo theomai guardare da cui i cittadini assistevano all’azione questo spazio assume normalmente una forma a semicerchio (il koilon) cioè la càvea costituita da gradinate che si appoggiavano a un pendio naturale.
Per facilitare ingresso ed uscita del pubblico le gradinate erano divise da corridoi orizzontali (diazomata) e scale radiali (klimakes) che formavano settori a forma di cunei (kerkides). La scena (skene) era una struttura, originariamente in legno e coperta da un tetto che chiudeva l’orchestra dalla parte opposta della cavea, la sua funzione era quella di permettere i cambi di costumi e di ruoli agli attori che normalmente erano non più di tre, di ospitare i materiali necessari come le maschere e di fare da fondale all’orchestra.
Ai lati della scena si trovano due ali (paraskenia). La scena, a partire dall’età ellenistica è preceduta da un palcoscenico a un livello rialzato rispetto all’orchestra che è chiamato proscenio (proskenion).
È una sorta di grande pedana rialzata poggiante su pilastri su cui recitano gli attori che in tal modo si esibiscono non più nell’orchestra che si trova adesso ad un livello più basso di circa tre metri.
Tra l’’orchestra e la scena c’erano due corridoi (paradoi) da cui entravano i coreuti, per questa ragione nella tragedia greca classica il canto d’ingresso del coro era chiamato parados.