Cultura
Pavarotti e la canzone napoletana
di Adriano Cisternino
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Solo tre giorni nelle sale italiane, ma avrebbe meritato e meriterebbe di restarvi molto più a lungo perché “
Pavarotti” è un film che riempie il cuore e l'anima di tanta buona musica ed emoziona lo spettatore proiettandolo nei teatri di tutto il mondo e nella vita - artistica e sentimentale - di questo grande artista che ha portato l'Italia e la musica italiana dappertutto, dall'Amazzonia alla Cina, e che - parere unanime dei critici - nella storia della lirica è stato secondo solo ad Enrico Caruso.
Film delizioso e godibile, dunque, come era prevedibile da un regista premio oscar quale Ron Howard. Ma qui, più che avventurarci in una recensione cinematografica che lasciamo agli esperti del settore, ci piace soffermarci su un aspetto apparentemente marginale eppure estremamente significativo che forse sfugge alla gran parte delle note a margine e però riguarda da vicino noi e soprattutto questa città che dà anche il nome alla nostra testata giornalistica.
“
A vucchella”, un classico della canzone napoletana, pubblicata nel 1907, versi di Gabriele D'Annunzio, musica di Francesco Paolo Tosti, è il pezzo che “
apre” il film, per la voce, naturalmente, di Big Luciano che la cesella da par suo lasciandosi ampiamente perdonare qualche imprecisione fonetica del dialetto.
C'è da chiedersi perché mai per un film sulla vita di un grande cantante lirico il regista (americano) abbia scelto di iniziare con una canzone napoletana. C'è da chiederselo e, a pensarci bene, è una domanda retorica perché non è difficile immaginare la risposta.
Certo, Pavarotti non è stato “
solo” un cantante lirico. La diffusione della musica, sia colta che pop, ha fatto parte della sua filosofia di vita, come testimoniano anche i concerti dei “
tre tenori” con Placido Domingo e José Carreras e le numerose edizioni di “
Pavarotti and friends” in cui il cantante modenese ha coinvolto una caterva di celebrità internazionali della musica, da Bono a Zucchero, James Brown, Steve Wonder, Eric Clapton e tanti altri.
E dopo “
A Vucchella”, nel film si ascolta anche “
Silenzio Cantatore” (di Bovio e Lama) e, naturalmente, “
O sole mio”. Tre pezzi classici della canzone napoletana “
infiltrati” con estrema naturalezza tra “
Nessun dorma”, “
Che gelida manina” e i nove Do di petto de “
La figlia del Reggimento” di Donizetti al Metropolitan di New York che lo consacrarono con ben diciassette chiamate al sipario, record imbattuto.
Tre canzoni napoletane che certamente non sono state messe lì a caso e una apre addirittura il film. È l'ennesima testimonianza della indiscussa valenza assoluta, planetaria, della canzone napoletana, un bene immateriale, un patrimonio culturale dal valore inestimabile ed inestinguibile che meriterebbe proprio qui una considerazione più adeguata alla sua reale dimensione artistica perché, oltretutto, rappresenta anche ricchezza, una ricchezza concreta, anche economica.
Pensate: a Napoli non esiste un teatro permanente della canzone napoletana in cui i turisti possano spendere una serata per andare ad assistere ad uno spettacolo che proponga la tradizione canora di questa città, suonata ed interpretata come dio comanda.
Potrebbe (dovrebbe) essere un punto di richiamo per i turisti che, una volta in città, così come chiedono di mangiare “
una buona pizza”, dovrebbero con pari interesse e curiosità essere indirizzati verso uno spettacolo canoro di canzoni napoletane interpretate da bravi musicisti indigeni.
Ma tant'è. D'altra parte il museo per Enrico Caruso di cui tanto si parla da anni è ancora di là da venire. Chi volesse però può andare a visitarlo in Toscana, a Lastra a Signa, dove è stato inaugurato nel 2012.