Calcio
Napoli, la ballata del numero 9
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 29.07.2019)
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Icardi o non Icardi. Un centravanti per puntare allo scudetto. Nella storia azzurra non sono mancati i grandi bomber col numero 9. Altafini è stato il più geniale, Vinicio una furia, Higuain il centravanti dei record, Careca il più elegante imbeccato da Maradona, Jeppson il primo colpo milionario.
ALTAFINI - Arrivò al Napoli a 27 anni, dopo sette stagioni nel Milan. Fu un clamoroso colpo di mercato di Roberto Fiore, il presidente-tifoso che, a metà degli anni Sessanta, creò il Napoli dei “centomila cuori”. Con una trattativa durata un’ora e 40 minuti, Fiore l’ottenne da Felice Riva, presidente del Milan. Costo: 280 milioni con la clausola che il Napoli non l’avrebbe mai ceduto all’Inter.
Duemila tifosi accolsero Josè all’aeroporto di Capodichino. In assoluto era il più forte centravanti che giocasse in Italia e tra i più forti al mondo. Brasiliano di Piracicaba, nello stato di San Paolo, era stato riserva di Pelè ai Mondiali del 1958.
Venne a far coppia con Sivori. Pesaola dovette sudare per farli andare d’accordo. Nel 1967, a Bologna, inizio partita, palla al centro, scambio con Juliano, filò in gol in 35 secondi correndo per 40 metri, quattro avversari saltati in verticale.
Nel 1969, allo stadio “
La Favorita” di Palermo, beccato in continuazione dal pubblico, segnò su rigore il 2-2 e fece il gesto dell’ombrello ai tifosi palermitani. Il Napoli vinse poi 3-2 e successe il finimondo.
L’arbitro Sbardella lasciò lo stadio in elicottero. Quaranta palermitani querelarono Altafini. Al processo, il pubblico ministero chiese 20 giorni di reclusione per Josè: atti contrari alla decenza in luogo pubblico.
Per liberarlo dalla morsa delle difese, il Napoli comprò Orlando. Pesaola faceva giocare il romano da prima punta, a prendere le botte degli stopper, facendo partire da lontano Altafini. Poi, Josè volle come “
scudiero” Paolo Barison. Si innamorò della moglie di Paolone che poi ha sposato.
Lasciò il Napoli dopo sette anni, 234 partite fra campionato e coppe e 97 gol.
VINICIO – Anno 1955 al Vomero, stadio di sogni, chimere e invasioni di campo, 18 settembre, Napoli-Torino. Fischio d’inizio e palla al centro. Vinicio tocca ad Amadei, il “fornaretto” passa indietro a Castelli, il mediano lancia in avanti, Vinicio parte a razzo ed è sulla palla, travolge Grosso e Bearzot e, dal limite dell’area, fionda un missile sotto la traversa del portiere Rigamonti. Gol in soli 40 secondi dall’inizio della partita.
La prima prodezza del centravanti brasiliano che Lauro comprò dal Botafogo per 50 milioni, la metà di quanto aveva speso per Jeppson.
Poiché c’erano tre stranieri nel Napoli (Jeppson, Pesaola, Vinyei), e ne erano consentiti due, si tentò di trovare un parente italiano a Vinicio. Un parroco di Aversa scovò nella cittadina casertana una famiglia che aveva il cognome della madre di Vinicio, Amarante, e sostenne che una donna con quel nome, emigrata in Brasile, era la nonna del giocatore. Senza i documenti necessari, la parola del parroco valse zero. Il Napoli dovette cedere Vinyei.
Al suo arrivo a Napoli, Luis Vinicio aveva 23 anni ed era una vera forza della natura. Poco brasiliano, cioè senza fronzoli, magie e colpi di tacco, ma centravanti all’europea. Si conquistò l’appellativo di “
leone”. Già in Brasile era stato definito “
au leau do Botafogo”.
Vinicio, al primo anno, mise a segno 16 reti. In allenamento piegava le mani a Bugatti. Finita la rivalità con Jeppson, per la cessione dello svedese al Torino, Vinicio, servito a dovere dalle ali Vitali e Brugola, col sostegno di Pesaola diventato mezz’ala, segnò 18 gol nel secondo anno.
Divenne l’indiscusso idolo del Vomero. Realizzò tre doppiette e firmò con quattro reti l’intera vittoria sul Palermo (4-1). Il “
leone” brasiliano trascinò il Napoli alla straordinaria impresa di battere il Milan a San Siro (5-3), due gol a segno. L’anno prima, al Vomero, aveva già castigato il Milan con un’altra doppietta nella porta di Buffon nonostante giocasse col ginocchio destro fasciato (stiramento dei legamenti) dopo uno scontro con Ganzer, infortunio che lo tenne fermo per un mese.
La stagione ’56-’57 si concluse con un evento memorabile, il matrimonio di Vinicio nella basilica di San Francesco in Piazza Plebiscito, gremita di tifosi, Lauro compare d’anello dello sposo. Lei era un vecchio amore di Vinicio, Flora Aida Piccaglia, con nonni emiliani di Zocca. S’erano conosciuti in Brasile.
E venne il campionato-mitraglia ’57-’58. Arrivò Di Giacomo, ma fu Vinicio il trascinatore dell’attacco, il secondo migliore attacco del torneo, quarto posto in classifica, 21 reti di Luis.
Le due ultime stagioni azzurre di Vinicio (7 gol a campionato) furono contraddistinte dal declino della squadra. Dopo quello con Jeppson, fallì un nuovo tandem, tutto brasiliano, Vinicio e Del Vecchio.
Amadei insisteva con Lauro perché cedesse Vinicio. “
Non sta bene” diceva l’allenatore al Comandante. Il disastro delle quattro giornate iniziali di Frossi e il ritorno di Amadei sulla panchina azzurra, continuando la “
guerra” di Amadei a Vinicio (e Pesaola), segnarono il campionato ’59-’60.
L’ultimo squillo di Luis fu il gol della vittoria (2-1) contro la Juventus nella domenica in cui fu inaugurato il “
San Paolo”, 6 dicembre 1959, 80mila spettatori, 70 milioni di incasso. A fine stagione, Vinicio fu ceduto al Bologna in una scandalosa trattativa: il Napoli ebbe dal club felsineo Pivatelli e Mihalic e saldò il conto versando 122 milioni. Il Napoli precipitò in serie B.
In cinque stagioni col Napoli, Vinicio giocò 152 partite segnando 69 gol.
HIGUAIN – Argentino nato a Brest, in Francia, dove suo padre giocava, Gonzalo Higuain è un attaccante moderno che gioca su tutto il fronte dell’attacco, che si defila per ricevere palla e lanciare i compagni, che ha nei piedi la capacità di mettere il pallone dove vuole e una buona prestanza fisica da impegnare duramente i difensori nei contrasti. Maradona ha detto che Higuain è un misto fra Batistuta ed Hernan Crespo, non male come “
somma” di due celebri centravanti argentini.
Il Napoli lo prende dal Real Madrid, dove Gonzalo era chiuso da Benzema, per 40 milioni di euro, cifra che rispecchia il valore del giocatore e il suo principesco ruolino di attaccante. 136 gol prima di trasferirsi al Napoli, 15 reti in 41 partite col River Plate, 121 col Real Madrid in 264 gare considerando tutte le competizioni.
È stato il trascinatore del Napoli di Sarri, 146 partite azzurre e 91 gol, un bottino mostruoso con pochi precedenti e il record assoluto di 36 reti nel campionato 2015-16, un “
tetto” mai raggiunto, neanche dai più celebri centravanti nei tornei di serie A, il milanista Gunnar Nordahl si fermò a 35 gol (1949-50), l’interista Angelillo a 33, Farfallino Borel della Juve e Peppino Meazza dell’Ambrosiana-Inter a 31 e, in tempi meno lontani, Luca Toni (31 gol con la Fiorentina nella stagione 2005-06).
Gonzalo il Pipita nato sotto il segno del Sagittario e del gol doveva far dimenticare Cavani. Sollecitato da Sarri, esaltato da un Napoli che giocava a memoria, blindato per 94 milioni, Higuain imbroccò la sua stagione migliore nella maturità dei 28 anni. Ha tempestato di gol tutte le squadre italiane, undici gol ha rifilati alla Lazio, cinque alla Sampdoria, al Genoa e al Frosinone, quattro all’Inter al Milan e al Verona. Tre gol alla Juventus (una “
doppietta” in Supercoppa italiana). Ha punteggiato gli anni in maglia azzurra con 18 “
doppiette” e quattro “
triplette”.
CARECA – A Natale del 1986, in vacanza a Rio de Janeiro, Ferlaino scoprì Careca nelle partite brasiliane trasmesse in tv e, tramite il procuratore internazionale Rosellini, contattò il giocatore. Poi inviò il vicepresidente Gianni Punzo, in vacanza con lui, a San Paolo per convincere Careca a trasferirsi a Napoli. Due milioni di dollari convinsero il San Paolo e 600 milioni l’anno convinsero il giocatore. Careca arrivò nella stagione 1987-88. Rimase sei anni (221 partite, 96 gol).
Figlio di Antoninho De Oliveira, un brasiliano che aveva giocato con Pelè, nacque il 5 ottobre 1960 ad Araraquara, nello Stato di San Paolo, coetaneo di Maradona. Da sua madre, donna Ziza, si prese l’appellativo di Carequinha, che era il nome di un clown di successo le cui canzonette rappresentavano l’unico sortilegio per tenerlo buono da bambino. Careca divenne il suo nome di battesimo.
Arrivò nel Napoli a 27 anni, un fisico da indossatore e una passione dichiarata di batterista di samba e di suonatore di “cavacchìn”, uno strumento a quattro corde. Scriveva con la mano sinistra e segnava col piede destro. Fu al centro della MaGiCa (Maradona, Giordano, Careca). Filava a rete sugli assist irresistibili di Diego. Nell’anno dello scudetto 1990 fece 10 gol saltando otto partite per infortuni.
Nella partita di Ascoli (1988-89), col Napoli sotto 0-2, Bianchi furente lo richiamò in panchina a dieci minuti dalla fine impiegando al suo posto il portiere di riserva Di Fusco, ulteriore segnale dei malesseri nella squadra azzurra che non voleva più Bianchi.
Protagonista della conquista della Coppa Uefa 1989 con sei gol, uno al Salonicco, tre al Bayern, due allo Stoccarda. Andava a rete, veloce e dritto, il vento nelle caviglie. Agnelli disse: “
Maradona sarà pure l’anima del Napoli, ma per la mia Juve prenderei Careca”. Maradona disse: “
Con Bagni ho vinto, con Careca mi diverto”. E Careca concluse: “I
o sono solo il terzo giocatore del Napoli. Il primo è Maradona, il secondo è ancora Maradona”.
Segnò due gol alla Juve nella Supercoppa italiana (5-1) e, quando Diego se ne andò, rimase a tenere a galla il Napoli con la collaborazione di Zola. Giunto ai 32 anni, non si sentì più coccolato. Se ne andò e disse: “
A Napoli non meritano né una grande né una piccola squadra, ma semplicemente una nazionale”.
JEPPSON – Biondo e occhi azzurri, 1,80 e piede 42, Hans Jeppson, svedese di Kungsbacka, un paese di mare a 40 chilometri da Goteborg, giunse a Napoli con la denominazione di “
mister 105”, i milioni che Lauro lo pagò nel 1952, prima cifra record del pallone. 75 milioni all’Atalanta, dove giocava, e 35 al calciatore su conto svizzero.
Più che un calciatore, era una polisportiva: esperto tennista, saltatore in alto, sfondatore di reti. Si innamorò di Napoli durante una trasferta dell’Atalanta in Sicilia quando, a Napoli, prese la nave per Palermo. Un giorno disse: “
Fu la prima volta che vidi Napoli e rimasi incantato. Aveva quell’odore di mare che mi riportava all’infanzia quando stavo sugli scogli di Kungsbacka”. Lauro lo sottrasse all’Inter.
Esaltarono le sue doti di cannoniere due ali velocissime, Giancarlo Vitali e Bruno Pesaola. Il tridente che furoreggiò al Vomero. Memorabili i duelli con gli stopper più duri del tempo, il torinista Nay e il laziale Malacarne. Lo svedese e gli avversari lasciavano il campo con le caviglie insanguinate. Alla terza stagione, calò. Gli attriti con Monzeglio, alcuni infortuni e il desiderio di trasferirsi all’Inter ne appannarono il rendimento.
Una notte, di ritorno da Roma, dove aveva incontrato i dirigenti dell’Inter, Jeppson sulla sua Alfa 1900 ebbe un incidente sulla “
fettuccia” di Terracina. L’auto finì contro un albero. Il giovane autista napoletano, che aveva voluto scansare un cane, perse la vita, Jeppson rimase ferito e saltò l’inizio del campionato 1955-56.
Sposò una napoletana, Emma Di Martino, di nota e benestante famiglia. Al matrimonio, celebrato sul Faito, località turistica sopra Castellammare di Stabia, non volle intervenire Lauro, deluso dal rendimento dello svedese che, alla fine della stagione, fu ceduto al Torino.
Nel Napoli giocò quattro campionati realizzando 52 gol in 112 partite.