Calcio
Fatti noi fummo per vivere secondi
di Mimmo Carratelli
(da: Corriere dello Sport del 27.05.2019)
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E così tra
il lusco e il brusco di quest’anno etrusco, per dire di un anno civilissimo e misterioso, qua
dove il mare luccica e li pisce nce fanno a ll’ammore, c’è proprio
bisogno ‘a zingara p’andivinà Carlé comme hai fatto ‘o Napule ‘o ssai meglio ‘e me.
Filosofi, analisti, psicologi e indovini disputano, contestano e definiscono l’annata azzurra (
bene mio, core mio) senza arrivare a una conclusione. Positiva. Deludente. Insoddisfacente. Accettabile. Fallimentare. Transeunte. Paparacchiò.
Eravamo partiti a mille all’ora con un gran gol di Fabian Ruiz al Gozzano. Era di sabato, il 14 luglio a Dimaro. Ancelotti faceva
’o surdato ‘nnammurato. De Laurentiis, cacciato Sarri e trovato Carlo, finì di cantare
ci vorrebbe un amico.
Cominciò una stagione in cui non avremmo pettinato bambole. Basta col tiki-taka, lo zigo-zago, la bella Gigogìn e llerillé-llerillerà. Verticalità è lanciare il pallone e andare lontano.
Tutto un rinnovamento, un rimescolamento, un quatto quatto due l’asino e il bue, uno vale uno e giocare tutti, una squadra chewing-gum, allungarsi in profondità, accantonati i ricchi schemi, solidità alle spalle e fantasia all’attacco.
Tramortiti a Marassi dai tre gol della Sampdoria, come Lazzaro ci rialzammo e camminammo. Il 4 agosto, a Dublino, il Liverpool in amichevole ci aveva poco amichevolmente polverizzati (5-0).
Domanda pertinente:
per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? Sull’arida schiena del campionato morto,
Sterminatora Juve, la qual null’altro allegra arbor né fior, cambiammo anche maglia. Azzurra, vintage, da combattimento,
nera comm’’a nuttata ca nun pass’ mai. Fiducia piena perché avevamo contemporaneamente Davide Ancelotti e Carlo Golia.
Ci inebriò la Champions,
quella musichetta che ci piace tanto e che fa du-du-du, du-du. Ci fece sognare Parigi con Insigne e Mertens. Con Insigne battemmo il Liverpool in una partita seria. Fummo respinti dalla Champions per un gol.
Anche Martìn perse la cappa per un punto.
A settembre perdemmo a Torino con la Juve. A gennaio perdemmo a San Siro col Milan in Coppa Italia. Sfumavano campionato e Coppa.
Tristezza per favore vai via, non avere la mania di abitare con me.
Il nuovo anno portò una trasformazione (l’aveva detto anche Dalla). Il bel Napoli si dissolse. Tre pareggi senza gol (Milan, Fiorentina, Torino). Venne la Juve al San Paolo e perdemmo ancora. Bisogna riconoscerlo:
fatti noi fummo per vivere secondi. A primavera si addormentarono i bambini. A Londra giù la testa, fuori dall’Europa minore, paraponziponzipò.
Che cosa successe, come e perché?
Quién sabe. E il sopracciglio si alzò alle porte del buio. Si squagliò Insigne e la luna bussò. Zielinski né cacio, né cavallo. Callejon perduto sull’asse mediano. Fabian indietro tutto, azzerato il tiro mancino. Mertens vuolsi così colà.
Allan quant’è bella Parigi. Senza Albiol, Koulibaly nero a metà. Younes
frou frou del tabarin. Verdi venne e non vinse. Younes come un gatto in tangenziale. Si svuotò il San Paolo (l’altra metà del gelo). Tavola sparecchiata, la tavola bella che ieri ci illuse, o Ermione.
E ora partono i bastimenti per terre assai lontane in cerca dei campioni di domani.
Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà. Lozano ci darà una mano? Quagliarella la favola bella. Ilicic. Lenticchie e Castagne, Bennacer, Veretout ammazzabubù, Almendra di Boca buona, Mendy.
Ma sarà vero? Ci saranno complicazioni, dettagli, sofismi, sottigliezze e campa, cavillo mio, che l’erba cresce?