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Tommasone, un lupo irpino verso il mondiale di boxe
di Adriano Cisternino
Da Avellino a Frisco, Texas, all'assalto del titolo mondiale di pugilato. È l'avventura di Carmine “the wolf”, il lupo, Tommasone, irpino di Contrada, anni 34, che nella notte fra sabato 2 febbraio e domenica 3 (diretta su Dazn, ore 4) sfiderà il messicano Oscar Valdez per il titolo mondiale dei pesi piuma versione Wbo.

Tommasone è partito domenica scorsa dall'Italia con un grande sogno nella valigia, accompagnato da Michele Picariello, suo allenatore di sempre. Un sogno che nel 1995 accompagnò un altro lupo irpino, Agostino Cardamone, chiamato a Worchester, provincia di Boston, dal popolare Don King per sfidare il terribile Julian Jackson. In palio il mondiale dei medi Wbc.

Cardamone, già campione d'Europa, sfiorò il grande colpo che lo avrebbe collocato fra i pochissimi pugili italiani capaci di conquistare un titolo mondiale di boxe negli States, la patria dei pugni.

La breve lista fu inaugurata da Primo Carnera, re dei pesi massimi il 29 giugno 1933 a Long Island, dopo aver abbattuto al sesto round il campione Jack Sharkey, origini lituane (vero nome Joseph Zukauscas).

Dopo il gigante di Sequals gli Stati Uniti hanno laureato re del ring nei pesi medi Nino Benvenuti, protagonista della triade newyorkese contro Emile Griffith negli anni 1967-68, e Gianfranco Rosi, umbro di Assisi che nel 1989 ad Atlantic City batté contro ogni pronostico Darrin Van Horn per la corona Ibf dei superwelters. Carnera, Benvenuti e Rosi, punto.

Cardamone (che poi conquistò in Italia il titolo Wbu) sfiorò l'impresa clamorosa. Qualcuno ha detto: “gettò via quel titolo”, vediamo perché.

A bordo ring, nel settore stampa, tre giornalisti, Franco Esposito, Dario Torromeo e chi scrive, venuti dall'Italia con la segreta convinzione che quell'impresa non fosse affatto impossibile, venuti dunque per Cardamone, che aveva trascinato fin laggiù anche una cinquantina di tifosi personali da Montoro, sindaco Izzo in testa.

A bordo ring si aggirava firmando autografi Don King, ex-galeotto, poi celebre organizzatore dai capelli dritti, passato alla storia per aver allestito nel 1974 a Kinshasa, Zaire, lo storico e indimenticabile Alì-Foreman, “Rumble in the jungle”.

Cardamone partì come un fulmine al primo gong. Era uno che non andava tanto per il sottile Agostino, peso medio di Montoro, mancino, un guerriero del ring, aveva portato il suo titolo europeo in giro per l'Europa pur di guadagnare un po' di soldi e si era fatto rispettare: all'estero - si sa - o stravinci o lasci il titolo.

Julian Jackson, nero delle Isole Vergini (conterraneo di Emile Griffith), un fuoriclasse, pugno pesante, già campione del mondo dei superwelters e dei medi, cercava un ritorno ai vertici mondiali.

Ma il “martello di Montoro” (così avevano battezzato l'irpino) non era tipo da lasciarsi impressionare dai titoli: picchiò subito, una tempesta di pugni, proprio come uno che non si perde in preamboli inutili.

Jackson se la vide brutta, un occhio subito chiuso dai colpi di Agostino, cercava di ripararsi col mestiere da quella tempesta di pugni. Il gong alla fine del primo round come una liberazione per l'americano. Nell'intervallo sale il medico sul ring per controllarne lo stato fisico: ti do al massimo un'altra ripresa, l'ultimatum del dottore.

Seconda ripresa, Ago riparte come una furia, vuole chiudere subito il match, picchia a due mani e si apre di quel tanto che consente ad un fuoriclasse come Jackson di infilare un terribile gancio destro. Già, il destro, il classico colpo ammazza-mancini, e sfortuna vuole che Ago lo becchi proprio lì, alla punta del mento. Lui steso a terra e Jackson che fa i salti di gioia per quel successo assolutamente insperato per come si era messo il match.

Ho avuto la gloria e la storia in pugno e me la son lasciata sfuggire!” Ancora oggi si morde le labbra dalla rabbia, Ago, al ricordo di quella sera: “Chissà, forse - azzarda, magari esagerando - non sarei tornato più dall'America: un match vinto ormai, e poi perduto per un pugno. Ho beccato il colpo della domenica. Forse se dall'angolo avessi avuto qualche consiglio in più...

Sabato tocca a Tommasone, irpino come lui. Ago lo conosce bene: “L'ho visto crescere - racconta -, ci allenavamo insieme nel '98, prima del mio mondiale con Branco. Lui era alle prime armi, ma si vedeva che aveva grinta e voglia di arrivare. Infatti ha compiuto un percorso molto positivo”.

Campione italiano, campione intercontinentale Wba e soprattutto primo pugile professionista italiano alle olimpiadi. A Rio 2016 è stato fra i più brillanti della spedizione azzurra: vittorioso nel primo match contro il messicano Delgado, poi eliminato dal cubano Alvarez con l'onore delle armi.

Sabato gli tocca Oscar Valdez, 28enne messicano imbattuto con un record di 24 vittorie di cui 19 prima del limite, una percentuale del 79 per cento. Carmine è imbattuto da professionista con 19 vittorie di cui 5 prima del limite. Una grande chance, sia pure con i rischi del caso. Ed è già tanto - con l'aria che tira da noi - che i rapporti internazionali della “OPI di Salvatore Cherchi and sons” sia riuscita a procurargli questa opportunità.

Intanto è una soddisfazione che un altro pugile irpino come me - sottolinea Cardamone - sia stato chiamato negli Usa per un titolo mondiale. Spero ardentemente che riesca nell'impresa che io ho solo sfiorato. Certo, è un'impresa difficilissima. L'avversario è tosto e picchia duro, il record parla chiaro. Carmine dovrà stare molto attento, guai a distrarsi un istante, e soprattutto stargli lontano, braccia sempre ben alte, difesa accortissima, insomma, un match all'insegna del tocca e scappa. Purtroppo anche lui, come me, il mondiale ha dovuto andare a disputarlo in America. Spero che faccia comunque una bella figura. Intanto gli mando un grande in bocca al lupo”.

Già, perché il lupo è proprio lui, Carmine “the wolf” Tommasone.
30/1/2019
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