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Recensioni
Liberi reclusi di Carlo Silvano
di Luigi Alviggi
Scrive la deputata Simonetta Rubinato, in esergo al libro:
un minore detenuto non è l’espressione del "male" della società, piuttosto ne rappresenta la sconfitta.
e aggiunge:
è un fatto che l’emergenza carceri nel nostro Paese è tale da rendere quasi impossibile qualsiasi percorso di riabilitazione. Mancano volontà politica, adeguati spazi e risorse.
Carlo Silvano, con un’accurata analisi, approfondisce questo scioccante concetto in un drammatico contesto che, partendo dall’Istituto Penale dei Minorenni (IPM) di Treviso – viene sottolineato l’errore della dizione “carcere minorile” -, si allarga all’esteso fenomeno di devianza sociale, in questi ultimi anni sempre più devastante e precoce per età degli attori. L’IPM trevigiano ospita soltanto reclusi maschi.

Un giovane normale vive una vita di libertà, contatti sociali, amicizie varie. Il passaggio alla detenzione lo restringe di colpo in dimensioni di vita molto limitate non solo per quanto concerne la mobilità ma anche per la scarsità di contatti con l’esterno.

Le nuove condizioni sono già di per sé molto dure e, anche senza possibili aggravanti, causano una totale ristrutturazione del campo cognitivo-sociale del soggetto che, data la piccola età, diviene facile preda di fenomeni depressivi, quando non di peggio. Il numero di suicidi nelle carceri italiane è elevato e, altra piaga insanabile, è il costante sovraffollamento.

All’opposto, si deve anche dire che la vita “regolata” spesso fornisce a questi ragazzi la possibilità di maturare in un ambiente comunque “protetto” e lontano da violenze domestiche o da parte di compagni e conoscenti. Può originare così la possibilità di riprogettare la propria vita attraverso studi, meditazioni, contatti con persone estremamente qualificate nel campo in cui operano.

L’adolescenza è un’età di grandi mutamenti mentali e fisici, e come tale e purché vi siano adeguati sostegni, può portare a un pieno ripensamento degli atteggiamenti, delle credenze e del mondo comportamentale dell’interessato.

Attenzione però. Come acutamente sostiene Luisa Bonaveno, psicologa nell’IPM, la detenzione prolungata può arrivare a essere un danno, sconfinando dagli obiettivi auspicabili, sia per l’esposizione a modelli sociali in sostanza sempre uguali a se stessi, sia per gli scarsi stimoli evolutivi provenienti da questo particolare ambiente di vita.

Questi elementi contrastano fortemente con la fase della vita che i minori in cattività stanno vivendo. Siamo nel periodo in cui si manifesta la massima aspirazione alla libertà. Sia fisica, muoversi a piacimento, sia sociale, uscire fuori dall’ombra dei genitori per iniziare a conquistare un’immagine sociale da individuo indipendente.

Molto dannose, quindi, le difficoltà che tali giovani sono obbligati a vivere. Chi ha compiuto un delitto da minorenne rimane affidato alla giustizia minorile fino all’età di 21 anni, compiuta la quale passa nei normali istituti di detenzione per adulti. A 21 anni, oggi più che mai, l’adolescenza è terminata da un pezzo.

Riporta ancora la Rubinato:
mai in questo libro l’Autore mette in discussione la necessità della certezza della pena. Ma accanto a essa auspica ci sia la certezza del percorso rieducativo e riabilitativo, per fondare la possibilità di un’alternativa fatta di affetti, relazioni, percorsi formativi e professionali, affinché questi ragazzi un giorno possano riacquisire la libertà, ma soprattutto siano liberati dalle condizioni che li hanno portati a delinquere.

Ecco quello che dovrebbe essere l’obiettivo primario di uno Stato preoccupato della salute psichica dei cittadini, e quindi in ultima analisi del benessere collettivo, con l’obbligo di stanziare mezzi, uomini e modi adeguati per raggiungerlo.

L’adolescenza è anche l’età della ribellione verso l’ordine costituito e i “grandi”. A parte la diffidenza iniziale, comune in tutti gli individui, bisogna dunque essere cauti sulle dichiarazioni fatte dal minore appena giunto perché spesso subentra un atteggiamento di sfida verso l’estraneo, anche se questi è mosso dal sincero desiderio di aiutarlo.

È intrinseco alla gran parte di quanti si trovano a dialogare nel nuovo ambiente coatto. Le difficili condizioni della vita precedente di chi diventa recluso hanno poi creato una corazza che è servita a proteggersi dai colpi inferti dai “cattivi” con i quali hanno avuto a che fare.

Infrangere tale corazza è il primo traguardo da parte di chi è chiamato al piano di recupero dell’individuo. Afferma la Bonaveno:
è necessario che questi ragazzi facciano esperienza di contenimento, possano fare i conti con altri adulti e con la Legge, sperimentare il limite esterno per poter comprendere l’esistenza di un limite interno che non può essere oltrepassato.

Il pentimento, non comune in soggetti molto giovani, non può dar diritto ad alcuno sconto di pena. La colpa commessa è grave e, a volte, irrimediabile per il conseguente lutto familiare o per invalidità permanenti causate. Esso però costituisce lo schiudersi di uno spiraglio nella corazza cui si accennava, e fornisce maggiore spazio all’operatore per un processo di rinnovamento più veloce.

Anche se il clima familiare, nucleo fondativo di ciascuno, è in genere in contrasto con la realtà quotidiana, non è detto che esso costituisca causa primaria di devianza: anche giovani di buona famiglia e pari studi incappano nelle maglie della legge.

La scelta del supporto da fornire non è certo di facile approccio, come ben sa chi è esperto in tale funzione. D’altronde, la famiglia è sempre chiusa alle necessità di affermazione del bambino prima e dell’adolescente poi.

Contro tale assioma reagisce l’ostilità del soggetto cercando l’indispensabile apertura verso l’esterno. Nel libro viene citato lo psicanalista inglese Donald Winnicott (1896-1971) di “Il bambino deprivato: le origini della tendenza antisociale” (1986):
lo scontro fra generazioni è inscritto nello stesso flusso della vita, nella sua continuità (...) dove c’è un ragazzo che lancia la sua sfida per crescere, là deve esserci un adulto pronto a raccoglierla.

Sempre nell’ambito familiare, passata la prima infanzia, è di particolare rilevanza il ruolo paterno, nei modi in cui è esercitato e nella sua presenza o meno.

L’ombra del padre si proietta sull’intera esistenza del figlio e non esiste schermo che possa oscurarla. È lui a personificare l’ordine, il comando, la lunga mano della società che per prima poggia sulla nostra testa, per fare del bambino selvaggio dei primi anni l’individuo ligio ai doveri che la convivenza civile impone, e dei quali nessuno può sognarsi di fare a meno.

Lo svolgimento di un corretto ruolo paterno certo eviterebbe a tanti figli – in ispecie maschi - terribili danni successivi alla propria integrità, psichica e fisica.

Per quanto riguarda i reati sessuali, il sesso è la strada più praticata per imporsi all’interno di una cerchia giovane, acquistando carisma e ascendenza sugli altri componenti. Da qui i reati spesso consumati in gruppo, all’interno del quale è più facile cullarsi in illusioni di impunibilità.

Cito il bel libro di Andrés Barba, giovane scrittore spagnolo, “Agosto, Ottobre” (2010). Il protagonista Tomás, alle prese con i problemi di una difficile adolescenza è in vacanza e, in rotta con gli amici di un tempo, entra in un nuovo gruppo.

In questo stimola l’abuso nei confronti di una giovane ragazza minorata da parte degli altri, pur non partecipandovi. A fine estate, tornato a Madrid, lo prende il rimorso per l’accaduto. Ritornerà a breve nel luogo di vacanze e compirà una sorta di mini recupero sociale della vittima, lasciando in tal modo una lei contenta dell’intervento fatto e ritrovandosi sollevato nello spirito.

Un caso limite in cui però viene ben descritto il percorso mentale dell’iniziazione al sesso di un 14nne.

Carlo Silvano, di origine campana, è un sociologo uscito dalla Federico II. Vive e lavora da molti anni nella provincia di Treviso come consulente editoriale. Membro eminente di molte associazioni culturali, ha alle spalle una ricca messe di pubblicazioni su campi di estremo interesse: usura, religioni, mobbing, ambienti carcerari, adolescenza, amicizia, storie di detenuti.

È stato ed è in prima fila nella perenne lotta contro ogni forma di abuso civile e/o penale, specie nei riguardi di giovani sventurati, a volte soltanto vittime a fronte di eventi fuori misura rispetto alle capacità possedute. Il nucleo di questo saggio è anteriore al 2010.

Nell’opera sono riportati diversi colloqui di Silvano con ospiti dell’IPM. Da questi traspaiono le diverse genesi dell’atto illecito compiuto, spesso accoppiate all’ingiustificata convinzione d’imprendibilità da parte delle forze dell’ordine.

Ciò che anche colpisce è quanto frequentemente i giovani si ritrovano nei guai per fatti davvero di poco conto e di nessuna incidenza sociale. La pena in questi casi è sproporzionata rispetto alla gravità di quanto commesso. Chiodo fisso di tutti i reclusi è l’aspirazione a riacquistare quanto prima la libertà.

Distillando dai colloqui, emergono aspetti importanti per l’attenzione di giovani, o meglio, di tutti noi. Ne citiamo solo due:
da un tossico: spesso chi fa uso di stupefacenti – il banale spinello, per esempio – NON si ritiene un drogato
da un omicida: per me con la parola libertà non si deve intendere la possibilità di fare tutto quello che si vuole: è importante avere delle regole, altrimenti dove si va a finire?
Come visto, vengono riportate interviste a cappellani, medici, psicologi e operatori in questo complesso ambito di aiuto a minori deviati. Il cappellano dell’IPM - padre Giorgio Saccon, 40 anni di missione vissuti “per” e “con” adolescenti – è interprete e mediatore della pietà divina verso chi, giovane d’anni e immaturo di vita, è caduto in un meccanismo perverso che lo ha travolto ponendolo di fronte alla propria devastante coscienza e ai cospicui danni personali provocati dalla punizione inferta dalla società.

Il sacerdote è convinto che l’omicidio da parte di giovanissimi molte volte sia la conseguenza di un impulso improvviso derivato da stati psichici alterati (droghe, abuso di alcool, e simili) e il problema più difficile è sempre riconciliare l’individuo con se stesso prima ancora di ricondurlo alla fiducia nell’infinita bontà e misericordia del Signore.

Ma il panorama trattato nel libro è vasto: abuso e pericoli di internet, corresponsabilità nel crimine, punizioni autoinflittesi dal recluso, importanza del volontariato come apporto di un fattore esterno, e via dicendo.

In sintesi, visto il lessico usato di facile lettura, l’opera costituisce un breviario di approccio a un settore quanto mai complesso.

Nelle conclusioni l’Autore si preoccupa di sottolineare alcuni punti di basilare rilevanza. Un recupero efficace innanzitutto, indispensabile per giovani che hanno già deviato; una società più aperta verso chi esce da una terribile esperienza di reclusione; l’indispensabile prevenzione sul territorio, da curare massimamente laddove esistano rischi sia per ambito familiare che per tipologia di luoghi e persone frequentati; una pena commisurata all’entità del reato commesso, specie nel caso di giovani alla prima incidenza penale.

Un ragazzo detenuto ha tutto il diritto di sperare in un futuro diverso, positivo e agevolato, e lo Stato deve porre particolare attenzione al corretto reinserimento sociale di chi, provenendo da un’esperienza negativa, ha estinto il debito collegato a tale evento nei confronti della collettività.

Chi ha sbagliato DEVE poter riappropriarsi in ogni senso della propria vita NORMALE!

Ricordiamo che esiste una Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Convention on the Rights of the Child) approvata il 20.11.1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, alla quale hanno fin’oggi aderito quasi 200 paesi.

È questa il riferimento costante dell’azione UNICEF nel mondo, e il 20 novembre è la data della commemorazione con la Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Carlo Silvano 
LIBERI RECLUSI, STORIE DI MINORI DETENUTI

Edizioni Del Noce, 2012 - pp.106 - € 12,00
18/12/2017
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