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I giochi del palazzo sulla pelle dei malati
di Vittorio Del Tufo (da: il Mattino del 28.12.2016)
Che la qualità dell’assistenza sanitaria in Campania viaggi al di sotto dei livelli di guardia è noto da tempo.

È talmente noto che le indagini e i monitoraggi che puntualmente ne evidenziano i punti di crisi, i ritardi e le inefficienze, rischiano quasi di non fare più notizia.

Ma i dati relativi ai livelli essenziali di assistenza (Lea) in Campania, per la prima volta sotto la soglia dei100 punti nella pagella che il ministero della Salute stila ogni anni, vanno al di là delle previsioni più nere.

La Campania precipita all’ultimo posto nella classifica delle regioni italiane; è un primato storico, è il primato della vergogna.

Quand’anche il dato relativo all’ultimo monitoraggio di metà novembre venisse corretto al rialzo dalle ulteriori verifiche, non sarebbe per questo meno catastrofico.

Come si è arrivati a questo punto?

Come è stato possibile che negli ultimi anni, anziché risalire la china, la sanità campana si sia inabissata al di sotto di tutti gli standard e i parametri nazionali?

Caos organizzativo, ospedali sovraffollati spesso oltre il limite della decenza, eccesso di parti cesarei, mancato inserimento dei Policlinici universitari nella rete delle emergenze, strutture inutili, duplicazioni e sprechi: uno scenario da incubo, affollato di problemi rimasti irrisolti e nodi che sono andati aggrovigliandosi negli ultimi anni.

Il governo nazionale si è assunto una responsabilità enorme nel sostituirsi alla Regione e agire in regime di surroga: non solo, a giudicare dai risultati, la svolta non c’è stata, ma la qualità dell’assistenza è ulteriormente franata.

E pensare che l’obiettivo - dichiarato - era proprio quello di rimediare al disastro delle gestioni precedenti, in carico alle autorità regionali.

Purtroppo, a dispetto di tutti i parametri relativi all’efficientamento dei servizi e delle prestazioni nel territorio, ci si è limitati a una gestione contabile e finanziaria che forse ha messo in regola qualche conto, ma non ha fatto avanzare nemmeno di un passo la qualità dei servizi, ovvero ciò che sta più a cuore alla gente: perché è la qualità dei servizi che, il più delle volte, fa la differenza tra la vita e la morte. I 99 punti attribuiti alla Campania sui Livelli Essenziali di Assistenza, 40 punti in meno dell’anno scorso e 61 punti sotto la soglia della sufficienza, non sono un semplice dato numerico, ma spiegano in modo drammatico le ragioni per le quali i cittadini campani hanno un’aspettativa di vita più bassa rispetto a quelli di altre regioni.

Non è di sprechi che si parla, ma di vite umane.

Dell’azzeramento di ogni politica di prevenzione e modifica in positivo degli stili di vita, dei ritardi drammatici sul fronte delle diagnosi precoci, dei tempi di attesa da record per operazioni anche banali, della parcellizzazione di strutture e microstrutture spesso inutili e ancora più spesso inadeguate, della mancanza di strumenti diagnostici laddove sono più necessari, del peso abnorme assunto dalla sanità privata (e assistita), del record di morti in Campania per infarto, ictus e aneurisma.

Tutto questo configura un’emergenza nazionale che rende indispensabile una svolta reale.

I partiti in queste ore sono in fibrillazione, lo è in particolare il Pd dove non mancano i mal di pancia per la nomina - tutt’altro che scontata - di Vincenzo De Luca a commissario della sanità campana al posto di Joseph Polimeni.

Ma la sanità va sottratta ai giochetti della politica, non può essere merce di scambio e arma di ricatto per regolare conti interni tra gli schieramenti politici o all’interno degli stessi partiti.

Il presidente della Regione rivendica - ed è pienamente legittimato a farlo - il governo di questo settore.

È giusto che questa responsabilità torni in carico all’istituzione che rappresenta, dal momento che il governo centrale ha fatto così clamorosamente cilecca.

Poi però occorre che De Luca illustri in modo chiaro, e rapidamente, il suo disegno di riforma.

Ovvero dove e come intende mettere mano allo sfascio evidenziato dalla classifica del ministero.

Il tempo a disposizione è scaduto, non sono ammessi ulteriori ritardi.

D’ora in avanti, per risalire la china, contano solo i fatti. Ovvero un piano oncologico regionale che non può restare solo sulla carta o nel libro dei sogni; la riduzione dei tempi di attesa per gli interventi; la riconversione dell’offerta assistenziale dei centri che non raggiungono standard di qualità e di sicurezza; la riforma del sistema dei medici di base, che dovrebbero svolgere una funzione di filtro per evitare l’affollamento di pazienti con codice bianco negli ospedali; il pieno inserimento dei Policlinici nella rete delle urgenze ma anche un coordinamento (oggi del tutto inesistente) tra le varie specialità, per offrire risposte adeguate ai pazienti.

Tutte cose che scriviamo da anni, invocando più mezzi e risorse - e assunzioni, laddove servano - ma anche e soprattutto una indifferibile riorganizzazione dell’intero settore, oggi ancora tarato a misura di chi ci lavora e non di chi, i malati, merita un’assistenza degna di un Paese civile.

Un settore dove le lancette della storia devono smettere, una volta per tutte, di girare all’incontrario.
28/12/2016
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