Approfondimenti
C’era una volta la Villa Comunale ‘E for’a Cerola
di Franco Polichetti
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A te caro Gino, questa mia ricerca che spero tu voglia giudicare più per il mio impegno che per la mia tempestività.Proviamo ad immaginare la situazione del Rione Cerola così come si presentava ai suoi abitanti negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e precisamente tra il 1880-1900.
La zona era raggiungibile, come ancora oggi lo è, attraverso la via Umberto I il cui tracciato seguiva l’antica via Popilia (così si chiamava la strada romana che nel 2° secolo a.C. fu costruita per collegare Capua a Reggio Calabria e che attraversava Nola, Sarno, Nocera, Salerno ed oltre) .
Al tratto di via Umberto I che inizia dal Palazzo Nunziante e prosegue fino al bivio per Bracigliano fu dato il nome di via Nunziante, in omaggio a Gaetano Nunziante, stimato e benemerito cittadino di Sarno, più volte Presidente della Deputazione Provinciale di Salerno, che tra le sue numerose iniziative inserì nel 1890 anche quella di far costruire la via Sarno-Bracigliano.
La biforcazione tra via Nunziante e via Bracigliano costituisce il limite est del rione Cerola.
La collina che a nord ne delimita l'abitato è costituita da rocce calcaree piuttosto fratturate in profondità dalle quali sgorgano diverse sorgenti che danno luogo alla formazione di rii, alcuni dei quali come Rio della Rogna, dell’Acqua Ferrata e dell’Acqua Rossa, sono da tempo scomparsi; restano solo il rio Cerola ed il Rio Bracciullo.
La via Nunziante in questo tratto è una pedemontana ed è quindi alquanto sopraelevata rispetto alla pianura che partendo dalla sua base, in lieve pendenza, si distende nell’ampia valle aprica di campi ben coltivati, solcati dal sinuoso fiume Sarno e dai suoi numerosi affluenti.
Il Sarno termina poi il suo percorso di fronte all’isolotto di Rovigliano nel golfo di Napoli.
Dall’ultima parte di questo tratto di via Nunziante si godeva, e dico si godeva perché oggi a causa di una scriteriata edificazione non è più così, la vista di tutta la ridente pianura esposta a mezzogiorno fino al mare racchiuso tra Punta Campanella, Capri e Torre Annunziata.
Era dunque facile che questo luogo per la sua panoramicità e per la presenza di numerose sorgenti di acqua minerale, suggerisse l’idea di impiantarvi delle strutture che offrissero ai cittadini la possibilità di godere di tutte le risorse sia idriche che paesaggistiche di quel sito.
Iniziarono i fratelli Generoso e Luciano Abenante che vi costruirono uno “Stabilimento Balneare di acque minerali” andato in esercizio a partire dal 1893, mentre quasi contemporaneamente tra gli amministratori comunali, essendo, sindaco Francesco Nunziante, si discuteva intorno all’idea dell’impianto di una Villa pubblica da realizzare in un’area comunale, di forma quasi trapezoidale, confinante con lo stabilimento balneare e con la via Rivo Cerola.
I lavori iniziati a metà dell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo probabilmente tra 1895-1896 furono ultimati intorno al 1897 essendo sindaco Onofrio Tortora.
Poiché, come già accennato, la via Nunziante si trova nella fascia submontana risulta rispetto alla pianura mediamente sopraelevata di circa m. 3,50 e giacché l’ingresso alla costruenda villa doveva avvenire da via Nunziante, fu necessario rialzare il livello di quell’area prescelta che si trovava invece a quota della pianura, per portarla alla quota di via Nunziante. Per far ciò si dovette eseguire un rilevato di terreno, per il cui contenimento fu costruito perimetralmente un muro di cinta su tutto il confine con via Rivo Cerola.
Questo stato dei luoghi è rimasto, per fortuna, invariato cosicché ancora oggi è possibile constatare che il Rivo Cerola si trova, sia pure occultato, ad una quota inferiore rispetto al piano del giardino comunale.
Si venne in tal modo a formare una terrazza alquanto sopraelevata dalla quale si godeva la vista di tutta la pianura che, come innanzidetto, si trova ad una quota inferiore.
Le adiacenze sul confine di quest’area erano caratterizzate dalla presenza del già menzionato Rivo Cerola, del Rivo Bracciullo e di un lavatoio comunale di epoca borbonica (1850 circa) e quindi preesistente all'impianto della villa.
Da qui la vista poteva spaziare sulla valle del Sarno fino al mare tra Torre Annunziata e Castellamare.
Il lavatoio, esempio tipico dell’architettura borbonica, purtroppo fu demolito tra il 1982-1984 nel più assoluto disprezzo della memoria storica e architettonica.
Per chi, come lo scrivente, è abbastanza avanti negli anni, è facile ricordare l’originaria sistemazione dei giardini e delle sorgenti che ancora fino a tutti gli anni sessanta del sec. scorso si conservava inalterata.
Purtroppo non si conosce il nome del/dei progettisti, si trattava comunque di un giardino all’italiana con disposizione radiale di aiuole da cui svettavano e, per fortuna ancora svettano, alti e rigogliosi platani circondati da una vegetazione arborea di altezza più contenuta arricchita da cespugli di rose e di altre essenze ornamentali.
Mentre fino agli inizi del 1980 le acque cristalline del Rivo Cerola scorrevano ancora in vista, il Rivo Bracciullo per la parte attraversante l’area della Villa era stato già coperto fin dal 1895, cioè al momento della realizzazione del rilevato, e quindi scorre ad una profondità di poco più di tre metri al disotto del piano della villa come si osserva ancora oggi, dal pozzo, a mò di beveratoio, realizzato a ridosso del muro perimetrale verso sud di via Rivo Cerola.
La sorgente dell’acqua sulfurea (zoffregna) che si trovava alla quota del piano di campagna fu saggiamente conservata a quella quota.
Doveva essere evidentemente noto agli accorti esecutori dei lavori di quell'epoca, che un eventuale manomissione avrebbe potuto turbare la rete dei meati endogeni alimentanti la polla sorgiva col rischio di alterane sia la portata che le qualità.
Infatti fino al 1970 circa per attingere l’acqua sulfurea si scendeva per una scala in muratura, non troppo larga, incassata tra la parete del muro di cinta ed una parete ad essa parallela di contenimento del terreno del giardino.
Improvvidi lavori di trivellazione eseguiti in quella zona, poco dopo il1980, non so per quale fine, turbarono il percorso della falda in profondità e causarono la scomparsa della storica sorgente dell'acqua solfurea.
Così pure inspiegabilmente fu demolita, penso tra il 1970 ed il 1980, la torre ottogonale di un colore rosso pompeiano, edificata intorno al 1937 all'interno del giardino, per installarvi una stazione di sollevamento dell’acqua, anch’essa solfurea, sgorgante da una polla rinvenuta quasi in superficie in quel punto.
Una tubazione di ferro sotterranea portava poi quest’acqua nei giardini di piazza del Popolo proprio all’angolo dell’incrocio tra via Matteotti e via Tortora cioè “‘ncopp ‘o Dazio”, così era noto ai sarnesi quell’incrocio.
Quivi fu sistemata una colonnina di ghisa simile alle altre numerose fontanine pubbliche di cui il territorio cittadino aveva un buon numero.
Questa fontanina non erogava l’acqua con continuità ma solo in determinati giorni e ore della settimana. Chi l’attingeva giudicava quest’acqua di caratteristiche sulfuree molto attenuate rispetto all’acqua sgorgante nella villa.
Probabilmente fra il 1920 e il 1925 furono messi a dimora un certo numero di nuovi alberi allo scopo di rendere questo giardino luogo di memoria degli eroi sarnesi morti nel conflitto mondiale del 1915-1918.
Ed infatti su ciascun albero messo a dimora fu apposta una targa di bronzo legata al tronco con una catenina. Sulla targa erano riportati il nome, il luogo e la data di nascita e il grado militare del caduto.
Per tale ragione il giardino assunse, da quel momento, la denominazione di Parco della Rimembranza, denominazione che mantenne all’incirca fino a tutto il 1950, dopo di allora, misteriosamente scomparvero le targhe cosicchè oggi se n'è persa del tutto la memoria.
Dei numerosi nomi di valorosi caduti ho trovato solo questi che qui di seguito elenco: Abenante Vincenzo di Luciano, Annunziata Leopoldo di Giuseppe, Cerrato Aniello di Giuseppe, Corrado Antonio fu Domenico, Longobardi Salvatore di Achille, Milone Alfredo fu Michele, Sodano Giuseppe di Antonio; ma è chiaro che il mio pensiero e la mia deferenza sono rivolti a tutti i caduti.
Non ho potuto purtroppo, come era nei miei desideri, eseguire in questi giorni un sopralluogo ricognitivo dell’attuale stato dei luoghi. Ma da quel che ricordo di questo bel giardino quasi niente è stato rispettato e conservato.
Un malaccorto e malinteso concetto di ammodernamento, frutto di presunzione e carenza di cultura e di rispetto per la conservazione delle opere dei nostri avi, molto frequentemente ha obliterato vere opere d’arte sostituendole con delle nuove di scarso se non di nessunissimo valore.
In tal modo oggi quella che fu un tempo per dirla con il maestro Fischetti: “un giardino pubblico….non molto ampio ma grazioso e ben tenuto” cioè ‘a villa e for ‘a Cerola, non esiste più.
Non è stata salvata neppure quell’acqua che i nostri antenati avevano saggiamente preservata da manomissioni, e che nel 1900, all’esposizione Campionaria di Napoli fu dichiarata per le sue qualità terapeutiche “unica al mondo”!
Le fonti storiche di mia conoscenza sulle acque minerali di Sarno non risalgono al di là del 1775 quando il dott. in medicina Nicola Andria, napoletano, professore straordinario di Storia Naturale in un suo trattato sulle acque minerali così scrisse per quelle di Sarno: “….in Castellamare l’acqua che chiamano rossa prende un tal nome dall’ocra, ossia terra marziale, di cui è spalmato tutto il letto del fiume Sarno. Le campagne di là dal Vesuvio sono pienissime di acque atte alla produzione della stalattita”.
Nel volume XXV degli Annali Civili del Regno delle due Sicilie relativo al quadrimestre gennaio, febbraio, marzo, aprile 1841 si trova questa descrizione: "…nel comune di Sarno trovansi due acque minerali acidula l’una, sulfurea l’altra: e quest’ultima oltre di contenere in sè molti sali ha anche buona dose di ferro; sin’ora non si sono analizzate.
È opinione confermata dall’esperienza che la prima giovi d’assai per le malattie dell’apparecchio urinario, e del fegato; e la seconda pei mali della cute e per la debolezza dello stomaco”.
Quindi fin dal 1700 erano note le qualità terapeutiche delle acque minerali di Sarno che come si desume dai testi citati erano state già oggetto di analisi da parte dei laboratori dell’epoca.
Purtroppo l’arroganza e l’ignoranza di noi contemporanei non ha saputo tramandare ai posteri questo patrimonio idrico di cui la natura aveva fatto così generoso dono alla città di Sarno.
Ciò che ho fin qui raccontato è prevalentemente frutto di osservazione e deduzioni personali, tratte in parte dai miei ricordi d’infanzia o della primissima gioventù.
Scarse, purtroppo, sono state le fonti da cui ho potuto attingere; quelle in mio possesso poco o quasi niente raccontano su questo argomento.
Quindi c'è il rischio di possibili inesattezze e di tanto chiedo perdono fin d'ora agli eventuali miei lettori.