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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 120
di Mimmo Carratelli
Le notizie da Buenos Aires sono sempre cattive per noi che, a Napoli, viviamo con apprensione i giorni bui del tuo dramma, Diego. Questa fine del 1996 ha oscuri presagi.

Dicono che fai una vita da recluso nella tua casa al settimo piano in calle Segurola 4310 nel quartiere di Villa Devoto, il quartiere che segnò i primi passi del tuo successo e la fine della tua povertà a Villa Fiorito, la periferia di Buenos Aires dei tuoi anni da bambino. Villa Devoto è diventata la tua prigione.

Scappi fuori a bordo della Mitsubishi, il tuo fuoristrada con i vetri oscurati, solo per accompagnare Dalma e Gianinna alla scuola nel quartiere Belgrano. Hai un solo svago, qualche volta, la partita di tennis sui campi del “Vilas Racket Club”, il circolo molto esclusivo fondato dal campione argentino Guillermo Vilas. Poi ti rintani in casa. Passi il tempo davanti alla televisione e guardi le partite del Boca. Hai i telefoni sotto controllo. L’inchiesta del giudice Hernan Bernasconi è come una trappola tesa.

E’ un ottobre triste e si avvicina il tuo compleanno, il trentaseiesimo. Sei molto ingrassato. La tua figura di ballerino di pallone e di tango è sopraffatta dalla droga e dall’alcool. Ma una festa vuoi celebrarla, quella dei tuoi vent’anni di calciatore, di giocatore sublime, di campione assoluto, di numero uno al mondo.

Te li ricordi il 20 ottobre 1976, l’Argentinos Juniors e la partita col Talleres? Eri un ragazzo con la camicia bianca e i pantaloni turchesi di velluto a zampa d’elefante, il massimo dell’eleganza dei tuoi primi tempi di calciatore professionista. Avevi sedici anni. Entrasti nel secondo tempo con la maglia numero 16, il tuo debutto nel massimo campionato con la maglia rossa e la striscia orizzontale bianca dell’Argentinos. Il primo tunnel con cui infilasti Patricio Cabrera fu l’inizio di una favola.

E’ giusto che ti scuota e festeggi quel giorno indimenticabile. L’appuntamento è alla discoteca “New York”. Ci arrivi alla grande. Grasso, ma elegante. Jeans e una larga blusa blu elettrico, tutta roba di Versace, e scarpe sportive di camoscio nero con borchie dorate. C’è una magnifica ragazza col top nero con te. E’ nelle fotografie che pubblicano i giornali.

Una notte di allegria per dimenticare. Guillermo Coppola è in carcere e rischia vent’anni di galera. Riprenderà il processo per la tua sparatoria ai cinque giornalisti del febbraio 1994: il pubblico ministero ha chiesto per te una condanna a quattro anni, i giornalisti non accettano il patteggiamento, vogliono vederti in prigione. E il giudice Carlos Branca vuole accelerare il procedimento per il presunto scambio delle provette dell’antidoping fra te e Martin Vargas dopo Boca-Estudiantes, in agosto, la tua ultima partita in campionato, lui positivo al controllo, tu pulito.

Ma la coltellata viene da Guillermo Coppola. Dopo sette ore di interrogatorio dice al giudice: “La droga non era mia. Tre giorni prima della perquisizione nella mia abitazione venne da me Maradona con due donne. La cocaina l’hanno portata loro nascondendola nel vaso di fiori”. Vuole salvarsi, Coppola. Intercettazioni, pedinamenti e deposizioni lo accusano irrimediabilmente. Uso e spaccio di cocaina in Argentina, contrabbando di stupefacenti all’estero. Ne mandava anche a tuo fratello Hugo quando giocava in Giappone con l’Avispa Fukuoka, nascosta nel materiale da gioco. “Gli mandavo solo delle scarpe con cui giocava meglio” si difende Coppola.

Su Guillermo sono pesanti anche le accuse per i trucchi allo scopo di beffare l’antidoping. Aveva allestito un laboratorio in calle San Pedrito, parallelo a quello ufficiale, in cui le provette venivano sostituite o trattate con la complicità di un gruppo di medici. Il giudice Bernasconi è convinto che Coppola abbia sostituito la tua provetta con quella di Martin Vargas.

“Sono vittima di un complotto” protesti mentre sui giornali compare sempre di più il tuo nome legato alla droga. Il giudice Bernasconi ti convoca.

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6/10/2005
  
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