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Due sindaci, due misure
di Gianluca Abate (da: Corriere del Mezzogiorno del 19.07.2014)
Il 21 giugno 2009, una domenica, su Lecce si abbatte un nubifragio che allaga il sottopasso di viale Leopardi. E lì, intrappolato nella sua spider gialla sommersa dall’acqua, muore l’avvocato Carlo Andrea De Pace.

Il giudice Silvia Minerva, due giorni fa, ha deciso che di quella morte è responsabile anche il sindaco di Lecce Paolo Perrone. E, per questo, l’ha condannato a dieci mesi di reclusione per omicidio colposo.

Il motivo? Era responsabile della tutela della pubblica incolumità e avrebbe dovuto ordinare la chiusura preventiva di quella strada.

Analoga sentenza, il 24 febbraio scorso, era stata emessa dal tribunale di Latina al termine del processo per la morte di Sara Panuccio e Francesca Colonnello, le due ragazzine romane di 14 anni che il 20 aprile 2013 morirono durante una gita scolastica a causa del crollo di un costone di tufo sulla spiaggia di Ventotene.

Il giudice Carla Menichetti, anche in questo caso, ha condannato il sindaco Giuseppe Assenso a 2 anni e 4 mesi di carcere.

Il motivo? «Non ha avvertito che quella zona era pericolosa, ed era lui a dover garantire la pubblica incolumità».

Nulla di tutto ciò è invece mai accaduto nella storia giudiziaria di Napoli. Il 22 dicembre 2006 Fabiola Di Capua morì uccisa da un lampione che le cadde addosso mentre percorreva in scooter il Lungomare.

Nessuno aveva avvertito di quei pali della luce arrugginiti, ma la Procura non ritenne di dover iscrivere nel registro degli indagati l’allora sindaco Rosa Russo Iervolino.

Il 10 giugno 2013 Cristina Alongi venne ammazzata da un albero che a via Aniello Falcone crollò sulla sua auto. L’allarme era stato lanciato per ben due volte, ma nessuno aveva provveduto a transennare quel tratto di strada.

I pm, anche in questo caso, non ravvisarono però responsabilità penali del loro ex collega Luigi de Magistris.

Il 5 luglio 2014, infine, tocca a Salvatore Giordano, ucciso a 14 anni da un pezzo di cornicione precipitato giù dalla Galleria Umberto.
Una tragedia preceduta da decine di segnalazioni, ma la Procura ad oggi non ha ritenuto di dover contestare alcun reato al sindaco di Napoli.

Insomma: città che vai, sindaco che indaghi. E, per una volta, la polemica non è legata ad appartenenze politiche. Piero Fassino, presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni e sindaco di Torino eletto con il Pd, ha immediatamente espresso «vicinanza» a Paolo Perrone (Forza Italia): «La responsabilità oggettiva di un sindaco non può condurre ad addebitargli automaticamente qualsiasi cosa accada in una città».

La stessa tesi, tra l’altro, l’ha sostenuta su questo giornale l’avvocato Gerardo Marotta, che a proposito delle responsabilità del crollo della Galleria Umberto ha detto: «Ma i tecnici comunali che ci stanno a fare? Dovrebbero essere loro a controllare».

Ora, che abbiano ragione loro o al contrario chi — come il giurista Luigi Labruna — sostiene che «la pubblica incolumità è materia che ricade sotto la diretta competenza e responsabilità del sindaco», quella della sicurezza urbana è questione che andrebbe risolta una volta per tutte in maniera univoca…

Sia chiaro, l’autonomia della magistratura è un valore democratico irrinunciabile, ma in questo caso il rischio — come dimostrano le sentenze — è che si arrivi a una sorta di federalismo penale, e che ogni città (e dunque ogni Procura e ogni tribunale) applichi una propria «legge» sulla responsabilità dei sindaci.

E neppure può valere il principio «dimensionale» che sembra aver ispirato le scelte adottate fino ad ora da una magistratura che in tutt’Italia ha messo sott’inchiesta i sindaci dei Comuni medio-piccoli ma non quelli delle grandi città.

Beninteso, è certamente vero che controllare Ventotene e Lecce è più facile che vigilare su Napoli, ma le norme sono uguali per tutti. E non prevedono esimenti in base alla popolazione.

Post scriptum. Paolo Perrone, pur dichiarandosi assolutamente innocente e dicendosi fiducioso che la sua estraneità sarà provata nel corso del processo d’appello, ha commentato così la sentenza: «Quando sono diventato sindaco ho implicitamente accettato di dovermi eventualmente addossare anche responsabilità del genere».

Qui a Napoli, invece, il barile sta ancora rotolando.
19/7/2014
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