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CNR: a costruire case antisismiche
ce lo insegnano i Borbone
di Angelo Forgione
Sull’onda emotiva che colpì i genovesi durante l’alluvione del novembre 2011, Paolo Villaggio disse che “la cultura meridionale borbonica è la piaga di tutta l’Italia”.

In realtà la mentalità borbonica in tema di protezione civile e governo del territorio era decisamente all’avanguardia e ci ha pensato il CNR a dimostrarlo scientificamente, parlando del primo sistema antisismico pensato per fronteggiare i terremoti e della costruzione di edifici con “una rete di legno all’interno della parete in muratura”.

Questa stessa tipologia di struttura è stata riprodotta in laboratorio e sottoposta a una serie di test per una serie di prove meccaniche, con risultati eccellenti.
Ciò ha dimostrato che il sistema ideato dagli ingegneri borbonici può indicare la via all’edilizia moderna, a più di duecento anni di distanza.

Il comunicato stampa del CNR non mostra il nome di questi particolari edifici, che è possibile apprendere dal libro Made in Naples (Magenes, 2013), di cui segue un breve stralcio:
“… le cosiddette case baraccate, ideate dal fisico di corte Giovanni Vivenzio e perfezionate dall’ingegnere Francesco La Vega. (…) Restarono in piedi anche dopo il fortissimo terremoto calabro del 1905 e ne sopravvivono alcuni esempi ancora oggi, testimoni del merito degli ingegneri borbonici, i primi a ritenere che la risposta sismica di una struttura dipendeva in primo luogo dal suo comportamento d’insieme, concetto prioritario ripreso dal Regno d’Italia solo dopo il terremoto di Messina del 1908. (…)

Il CNR certifica scientificamente ciò che era già chiaro dopo l’ecatombe calabrese del 1908, quando il giornalista Olindo Malagoli evidenziò l’evidenza tra le macerie, scrivendo sul quotidiano “La Tribuna”: “C’era, nella vecchia legislazione borbonica, una provvida legge edilizia che imponeva uno speciale tipo di casa.
Le case costruite secondo questo tipo hanno resistito mirabilmente anche in questo nuovo disastro; noi abbiamo potuto constatarlo in ogni paese”
.

Con l’Unità d’Italia, tutte le efficaci normative per la prevenzione e la gestione delle catastrofi, di ogni tipo, furono spazzate via dall’estensione ai territori del Sud dello Statuto Albertino, adottato dal Regno di Sardegna nel 1848.

L’ordinamento sabaudo non prevedeva norme edilizie antisismiche perché commisurato al territorio piemontese, che non era interessato da rischio sismico, e neanche misure di contrasto alle calamità naturali.

Così, con incredibile miopia, fu estesa al Meridione una legislazione totalmente inadeguata in sostituzione dell’efficace ordinamento borbonico.
Persino la legge sulle acque e sui lavori pubblici, adottata dal Regno di Sardegna nel novembre 1859, era insufficiente, non contemplando normative per bonifiche e sistemazioni montane.

Il Sud, che certamente aveva ancora gran bisogno di importanti opere pubbliche, fu coperto dalla sola tradizione ingegneristica idraulica sviluppatasi nei territori settentrionali che garantiva unicamente il controllo dei fiumi.

Il dissesto idrogeologico del territorio nazionale ha un’origine e parte dal tempo della piemontesizzazione d’Italia, epoca in cui iniziò il disboscamento degli Appennini.

L’avanguardia borbonica in tema era molto più complessa e completa.

In pochi lo riconoscono, ma per fortuna la scienza non conosce pregiudizi.
5/9/2013
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