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L’utopia di Gizzi a “Vele” spiegate
di Angelo Forgione
«Abbattere le Vele!», così ha avvisato il sindaco De Magistris per iniziare a sgretolare il regno degli spacciatori e per ridurre il crimine.
Il primo cittadino ha annunciato che entro fine anno sarà messo in campo un piano per demolire gli edifici ma il progetto della giunta rischia però di essere frenato dello stop del Sovrintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici Stefano Gizzi che ritiene le Vele “un patrimono da tutelare”.

Già due anni fa Gizzi inviò una lettera all’allora sindaco Rosa Russo Iervolino in cui sollecitò “la predisposizione in tempi rapidi di tutti gli atti propedeutici ad un’eventuale dichiarazione di interesse culturale per il complesso storico-architettonico-urbanistico delle Vele” progettato dall’architetto urbanista Franz Di Salvo.

Fu la “Cassa del Mezzogiorno”, la fabbrica delle illusioni del Sud e dei profitti del Nord, ad affidare a Di Salvo l’incarico di realizzare a Scampia un grande complesso residenziale.
Riunendo utopisticamente concetti architettonici di Kenzo Tange e Le Corbusier, Di Salvo progettò due tipologie edilizie: “a torre” e “a tenda”.

Quest’ultimo tipo è costituito da due corpi di fabbrica inclinati, separati da un vuoto centrale attraversato dai lunghi ballatoi sospesi ad un’altezza intermedia rispetto agli appartamenti.

I palazzi furono realizzati, i previsti centri sociali e gli spazi ricreativi per la collettività no. E fu il fallimento di un quartiere.

L’abbattimento è già stato predisposto anni fa e tre Vele sono già andate a terra tra il 1997 e il 2003.
Cosa c’è da salvare? Restano ancora in piedi degli edifici che se sono monumenti lo sono al degrado, sociale più che urbano, sopravvissuti al fallimento totale di un’utopia irrecuperabile divorata dall’abusivismo che si annida persino negli scantinati e sui ballatoi.

Su 552 nuclei familiari censiti, quelli in regola e quindi legittimati all'assegnazione dei nuovi alloggi di edilizia popolare sono solo il 20%.

Se non sono ancora andati giù è per l'assenza di alloggi popolari alternativi. Edifici che nessuno ama e che per questo non sarebbero mai tutelati dal cittadino, primo guardiano del bene pubblico.

Il simbolo di una periferia malfamata, emblema della “teoria delle finestre rotte” per cui un vetro frantumato in uno stabile dà l’impressione di assenza di regole invogliando la comunità a romperne altre e innescando una spirale di vandalismo senza fine arrestabile solo se prontamente riparato.

È così che Rudolph Giuliani governò New York ridimensionando almeno il teppismo, perchè la criminalità è un fenomeno contagioso, una tendenza che fa di simboli come le Vele il proprio spot.

E allora accade che gli adolescenti di Scampia salgano sul “metrò dell’arte” che li porta nei quartieri decorosi e, per dissonanza col loro ambiente, ne frantumino i finestrini a calci dopo aver seminato il terrore.
Psicologia sociale di semplice comprensione.

Il Soprintendente Gizzi ritiene dunque che le Vele siano opere d’arte rendendo primario l’aspetto architettonico, nonostante non vi sia un vincolo paesaggistico, rispetto alla “inabitabilità” di edifici senza luce, acqua, gas e servizi essenziali, quindi non a norma e per questo da abbattere per legge.

Ma è la stessa persona che ha consentito in silenzio che fosse smontata la Cassa Armonica in villa comunale e che chiede da Maggio di rimuovere “nel più breve tempo possibile” i prolungamenti dalla scogliera del lungomare realizzati per l’America’s Cup sapendo che ciò non accadrà se non dopo la seconda tappa napoletana.

Napoli e le sue periferie non possono restare ancorate all’immobilismo e ostaggio di improduttive chimere.

La priorità della Soprintendenza è il vero tesoro edilizio e monumentale del centro storico di Napoli patrimonio Unesco che cade a pezzi, non il salvataggio della sperimentazione urbanistica purtroppo fallita di un architetto contemporaneo.

Fermo restando che abbattere le Vele non significa risolvere il problema di Scampia.
4/9/2012
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