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Cronaca
La guerra dei rifiuti
Seconda puntata
di Stefano Federici
L’11 febbraio 1994, presidente del consiglio Azeglio Ciampi, viene emanato il decreto con cui il Governo prende atto della grave situazione dei rifiuti in Campania.

Si individua nel Prefetto di Napoli l’istituzione che può esercitare i poteri straordinari e che sostituisce a livello territoriale tutti gli altri enti locali coinvolti a vario titolo.

Nasce così il commissario all’emergenza, il primo sarà Umberto Improta, poliziotto italiano protagonista di molte inchieste e della liberazione del generale Dozier rapito dalle Brigate rosse.

Un’ emergenza da risolvere al più presto a causa della saturazione di alcune discariche e per le difficoltà quotidiane sul prelievo dei rifiuti, che ciclicamente si accumulano nelle strade.

La situazione più grave si registra nel napoletano e nel casertano, dove spesso si assiste a roghi della spazzatura, da parte o di cittadini esasperati o delle stesse organizzazioni criminali.

A danno si aggiunge, così, altro danno…i roghi dei cumuli di spazzatura emettono diossina e aggiunti alle miriadi di discariche abusive, ancora sotto il totale controllo della camorra, rendono il territorio, specialmente quello del casertano, totalmente inquinato.

Il primo “piano dei rifiuti” viene redatto da Giovanni Grasso (DC), presidente della Regione, e prevede l’istallazione di 24 inceneritori e ben 61 discariche…il piano non verrà mai realizzato.

A Grasso succede Antonio Rastrelli (AN), che diventa nel 1996 anche commissario all’emergenza, con il compito di predisporre un piano regionale e interventi urgenti in tema di smaltimento, al prefetto rimane la gestione del servizio di raccolta.

L’intenzione era quella di togliere dalle mani della camorra la gestione delle discariche, ma ci si “dimentica” che tutte le altre fasi dello smaltimento (raccolta, attrezzature, aziende private e personale) sono ancora saldamente nelle mani e sotto il controllo delle organizzazioni criminali.

In realtà continua a lavorare nelle discariche lo stesso personale, si utilizzano gli stessi macchinari e il trasporto dei rifiuti  viene effettuato dalle stesse ditte che prima se ne occupavano.

Il decreto Ronchi cerca di porre un freno allo smaltimento illegale di materiale tossico, stabilendo un codice di identificazione ai rifiuti, una quota minima (35%) di raccolta differenziata e l’incenerimento di almeno metà della quota restante previa trasformazione in compost finalizzato al recupero ambientale.

Ma la mancanza di controlli su quanto viene smaltito nelle discariche permette alla camorra di continuare a riempire i camion delle ditte private aggiudicatrici degli appalti, ma sotto il loro controllo, di qualsiasi tipo di rifiuti.

In poche parole il potere della camorra sul ciclo dei rifiuti rimane praticamente intatto nel silenzio di tutti, anche contro le evidenze.

In realtà il “gioco” conveniva sia ai Comuni, che potevano smaltire i loro rifiuti a prezzi molto più bassi (10 – 50 lire al chilo contro le 140 a livello nazionale), sia perché, come si legge negli atti parlamentari della commissione di inchiesta “Barbieri”, “le politiche di gestione del ciclo rifiuti vengono utilizzate impropriamente come ammortizzatore sociale”.

Inoltre il traffico di rifiuti illeciti, dal Nord al Sud, continua incontrastato.

La prima ragione è il bassissimo prezzo che la camorra offre ai loro committenti, quasi tutti imprenditori del nord Italia, circa il 90% in meno di quello legale.

Poi c’è la totale mancanza di controlli su quello che viene sversato nelle discariche e i convogli di camion con i rifiuti transitano da nord a sud con bolle falsificate e codici di identificazione fasulli.

E’ con l’operazione "Eco" che la Dda mette alla luce il “sistema” e colpisce il clan dei Casalesi, che grazie al capillare controllo del territorio non ha difficoltà a trovare luoghi dove scavare buche in cui nascondere i rifiuti o addirittura sversarli a cielo aperto. Le indagini sono portate avanti dai Sostituti Giovanni Russo e Raffaello Falcone.

In poco meno di due anni, dal giugno ‘94 al marzo ‘96, i Casalesi avevano movimentato centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia. Le industrie produttrici di rifiuti sono legate alla lavorazione dei metalli pesanti.
Polveri di macinazione delle schiumature di alluminio e polveri di abbattimento dei fumi, che sarebbe svantaggioso riciclare o reinserire nella lavorazione rispetto all’esigua quantità di alluminio che se ne ricava in cambio, erano finite in discariche abusive nella provincia di Caserta.

I rifiuti venivano acquistati attraverso una rete di intermediari che contattavano direttamente le imprese produttrici offrendo prezzi estremamente vantaggiosi.
Attraverso la falsificazione dei documenti i rifiuti arrivavano come "residui riutilizzabili" in centri di stoccaggio in Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo per essere poi dirottati in aziende e discariche abusive soprattutto della provincia di Caserta, e poi Benevento e Salerno.

Il sistema era abbastanza semplice, come dichiara un “broker” della monnezza a Carlo Bonini di “Repubblica”.

“Il rifiuto pericoloso esce dalla fabbrica del nord, con un codice e una destinazione finale, ad esempio Campania….durante il tragitto si ferma due o tre volte in impianti di stoccaggio e trasformazione che si trovano, in prevalenza, tra Toscana ed Umbria…in questi centri viene redatta una nuova bolla che certifica in modo falso il trattamento del carico…in realtà il carico non è mai sceso dal camion”.

Nella discarica di Pianura, come già scritto nella puntata precedente, venne interrato di tutto (furono trovati rifiuti direttamente riconducibili all’ ACNA di Cengio, provincia di Savona). Dei controlli ambientali se ne occupavano due società, la Tecno e la Elektrica SpA (colpita poi da interdittiva antimafia), che avevano tra i soci membri delle famiglie Di Francia, La Marca e Gaeta.

La famiglia Di Francia si occupava anche dello smaltimento di rifiuti tossici in alleanza con la società “La Marca enterprise srl”, che gestiva i rifiuti per conto del Comune di Napoli.

La discarica verrà chiusa nel 1996. Il presidente della Regione Rastrelli nel 1997 vara un piano che prevede la realizzazione di 2 termovalorizzatori e 7 impianti di CDR (combustibile derivato dai rifiuti)…piano che verrà approvato solo nel 1998 e darà vita ad una gara d’appalto per l’affidamento ad un soggetto privato dell’intera gestione del ciclo di rifiuti.

Alla gara si presentano solo Enel e Impregilo-Fibe (Fisia, Impregilo, Babcock, Evo Obernhausen)…


continua.

 

Note

La La Marca Enterprise s.r.l., impresa della famiglia La Marca di Ottaviano (NA), è stata costituita nel marzo 1988, posta in liquidazione nel 1997 ma nuovamente attiva dal febbraio 1998, dopo la revoca della messa in liquidazione. Il capitale sociale era di lire 171 milioni e l’amministratore unico risultava essere Diomede Pisanti, subentrato a Pietro Gaeta dal 1990, che risultava essere stato anche amministratore unico della Ines Sud s.r.l. fino al dicembre 1989 e consigliere della Spra s.p.a. sino al settembre 1996.

La Elektrica s.p.a., con sede a Napoli in piazza Giovanni Bovio 33, costituita nell'aprile 1982, ha iniziato l'attività di trattamento rifiuti nel giugno 1987, rilevando la Di.Fra.Bi. s.p.a., come si legge nella relazione della commissione è “il quartier generale delle imprese legate alle famiglie Di Francia, La Marca e Gaeta”. La sede amministrativa della società è a Roma, in via Buccari 3, lo stesso della SIR s.r.l..

Il capitale sociale della Elektrika s.p.a. ammontava nel 1997 a 10 miliardi di lire, suddiviso in quote percentuali: il 34,37 % a Francesco La Marca; il 25,44 % a Giorgio Di Francia; il 17,56 % a Salvatore Di Francia; l'8,63 % a Domenico La Marca; il 4 %o a Pietro Gaeta; il 10 % alla stessa Elektrica s.p.a.

La Elektrika s.p.a. (ex Di.Fra.Bi. s.p.a.), società proprietaria dei suoli della discarica di Pianura, è stata messa in liquidazione dal 26 luglio 2004, rappresentata dall’amministratore unico Gennaro Bruno, ed è stata colpita da interdittiva antimafia, a seguito dell’arresto dei Di Francia e dei La Marca, il 30 marzo del 1993, insieme ad altri esponenti del clan dei casalesi, per associazione a delinquere di stampo mafioso in relazione all’affare delle “discariche d’oro”.

L’inchiesta partì dalle dichiarazioni fatte, tra il 1992 ed il 1993, dal collaboratore di giustizia Nunzio Perrella. La discarica di Pianura, all’epoca gestita dalla Di.Fra.Bi., fu requisita nel novembre 1994, affidata temporaneamente all'ENEA, e continuò ad essere sede di sversamento anche per comuni ubicati fuori dalla regione Campania, nonostante già nel dell'11 febbraio 1994 fosse stato decretato lo stato di emergenza, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Nel corso del procedimento, che ha visto condannati i Di Francia-La Marca in secondo grado, la magistratura ha accertato che nella discarica di Pianura “(…)vennero smaltiti illecitamente, tra gli altri, rifiuti provenienti dall’ACNA di Cengio, nonché rifiuti solidi urbani provenienti da regioni del Nord Italia e fraudolentemente fatti entrare in Campania.” (Stralcio del verbale della Commissione parlamentare d’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, seduta del 29 marzo 2000)

Tra coloro che hanno rivestito cariche nella Elektrica s.p.a., compare anche Giuseppe Giordano, direttore tecnico sino al 28 aprile 1988 e, in quegli stessi anni, amministratore unico della Ines Sud s.r.l. di Brindisi, gestita da Vincenzo Fiorillo e Vittorio Ugolini della SIR s.r.l.. Con la Ines Sud Giordano venne condannato, nel 1992, a 6 mesi di reclusione per lo smaltimento illegale delle ceneri della centrale ENEL di Brindisi ed altri rifiuti tossici nocivi.

Giuseppe Giordano, di Somma Vesuviana, era titolare anche di due società incorporate dalla Di.Fra.Bi. s.p.a., la C.I.T.E.T. s.r.l. e la CISE s.r.l., società nata nel 1984 che nel 1987 risultò essere coinvolta nel traffico illecito dei fanghi tossici provenienti dall’ACNA di Cengio, destinati alla discarica Schiavi di Giugliano, di Gaetano Vassallo. Nel 1987, Giuseppe Giordano è in società con Rosario Gava, fratello di Antonio Gava e Vincenzo Fiorillo con la Rona s.r.l., con sede legale a Roma.

La Elektrica s.p.a. ha controllato direttamente anche, sino al 1996, la Cetan s.r.l., oggi una delle società satellite del gruppo italo-svizzero facente capo alla Celtica Ambiente s.r.l.
Nel 1998 il capitale sociale della Cetan Srl era detenuto al 95% da Giorgio Di Francia e Francesco La Marca. Dal dicembre 1998, in corrispondenza del passaggio al gruppo Celtica, presidente del consiglio d'amministrazione è Patricia Vila Armangue, moglie dell'amministratore unico della Celtica Ambiente s.r.l., Giulio Bensaja.

Giorgio Di Francia, detto “a’ casella”, è stato anche amministratore delegato della Sistemi Ambientali s.r.l. di La Spezia, fino al 30 gennaio 1993.

La Celtica Ambiente s.r.l., società costituita a Roma nel maggio del 1990, con capitale di 20 milioni di lire e sede sociale in via Pisanelli 40/40°, nel novembre 1991 cessava l’attività nella provincia di Roma per trasferire la propria sede a Milano, il capitale sociale aumenta a cinquanta milioni, interamente versati dalla Celtica Ambiente s.a.. della quale è amministratore unico, dal febbraio 1994, Giulio Bensaja.

Tra le società controllate dalla Celtica Ambiente s.r.l. figurava Cetan s.r.l. di Napoli il cui capitale sociale, al 30 maggio 1998 era detenuto da Giorgio Di Francia, Francesco La Marca e Pietro Gaeta.

La Celtica Ambiente s.a. è invece una società svizzera, con sede a Melide (Canton Ticino) in via Cantonale 15, fondata nel novembre 1988 con la denominazione di Celtica s.a. per poi passare all’attuale denominazione nell’aprile 1990. Il capitale sociale è di 100.000 franchi svizzeri, ma la commissione non riuscì a risalire alla titolarità delle quote; l’amministratore unico dal 1994 è Gianlorenzo Binaghi che ha sostituito in questa carica Arcasio Camponovo. Secondo le informazioni in possesso della Commissione, la sede svizzera non aveva più alcuna attività già nel 1997, ed il gruppo era gestito dalla succursale di Milano, che ha sede in via Tintoretto 5, della quale è amministratore unico lo stesso Giulio Bensaja.

13/11/2010
  
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