Contatta napoli.com con skype

Cronaca
Piazza dei Martiri, un leone mancante
La “Piazza della Pace” dimentica “certi” caduti
di Angelo Forgione
Piazza de Martiri, in tutta la sua bellezza e eleganza, racchiude tra i suoi palazzi storici un  monumento importante che offre un grande spunto di riflessione per i Napoletani che amano approfondire la propria storia e dare corpo alla propria identità. Lo slargo nacque intorno al 1600 e fu uno dei primi oltre quelle mura che delimitavano la massima estensione del tessuto urbano fino ad allora. Prese le sembianze attuali a partire dal 1700 quando vi furono eretti due dei tre palazzi storici: Palazzo Partanna e Palazzo Calabritto, ai quali si aggiunse poi un secolo dopo il Palazzo Nunziante.

Il Palazzo Partanna, oggi sede dell’Unione Industriali di Napoli, è sicuramente il più importante dei tre perché fu abitazione di Lucia Migliaccio, contessa di Floridia, poi moglie morganatica di Ferdinando allorchè fu a lei donata la Villa Floridiana dove vi si trasferirono entrambi.
Ferdinando II di Borbone destinò la piazza a simbolo di sentimenti di purezza battezzandola “Piazza della Pace” ed ergendovi al centro una colonna di granito grigio che simboleggiava la riconciliazione nazionale delle Due Sicilie, fortemente scossa dagli scontri rivoluzionari del 1848.

Con l’unità d’Italia e l’invasione piemontese, la piazza fu ribattezzata “dei Martiri” e dedicata alle vittime Napoletane per la libertà, vista dal punto di vista della monarchia subentrante. L’alto fusto eretto dai Borbone cambiò d’improvviso di significato e divenne “monumento ai Martiri”; vi fu collocato al suo apice una statua di Emanuele Caggiano rappresentante “le Virtù dei Martiri” e fu decorato con stemmi sabaudi, fregi e scritte a rilievo inneggianti al falso plebiscito del 21 Ottobre 1860 che gli diedero l’attuale aspetto. Proprio quella data riporta ad un periodo di invasione e sottomissione coatta durante il quale ci furono più vittime che nei 4 avvenimenti rimembrati messi insieme.

Alla base furono posti quattro leoni, ciascuno dei quali con un significato simbolico: il leone morente rappresenta i caduti della repubblica napoletana del 1799; il leone trafitto dalla spada raffigura i caduti dei moti carbonari del 1820; i due leoni feroci rendono onore ai caduti liberali del 1848 e quelli garibaldini del 1860.

A ben guardare manca un quinto leone, quello simboleggiante i soldati Napoletani morti in battaglia per difendere la patria duosiciliana. Quelle migliaia di Napoletani che giurarono fedeltà al Re Francesco II e che, dopo aver imprecato contro i propri generali felloni e traditori, diedero a Gaeta una toccante dimostrazione di sacrificio e fedeltà alla “patria Napolitana”. Quelle migliaia di Napoletani che, per non volersi piegare alla nuova monarchia dei Savoia, furono deportati al forte di Fenestrelle, a nord di Torino, dove perirono per fucilazione, fame e freddo nel primo vero lager d’Europa, prima di essere disciolti nella calce viva.

Purtroppo ogni guerra miete le sue vittime, e quelle degli sconfitti, si sa, non meritano ricordo.
L’omissione, diseducativa e per niente istruttiva, è spunto di riflessione sulla cancellazione della memoria della città compiuta dai Savoia con cui si è fortemente violentata l’identità dei Napoletani.
19/5/2010
FOTO GALLERY
RICERCA ARTICOLI