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Cultura
Mostra di antichi strumenti chirurgici
Presso l'Ospedale S.Maria del Popolo degli Incurabili
di Antonio Tortora
A qualcuno potrà apparire eccentrica l’idea di organizzare una mostra dedicata agli antichi strumenti chirurgici e alle antiche arti sanitarie; a qualcun’altro potrà apparire addirittura cinica la raccolta, lo studio, l’analisi, la descrizione e l’esposizione di strumenti che, al solo vederli, provocano un impatto emozionale non trascurabile.

Ebbene di recente, forbici per estrarre oggetti estranei dal corpo del paziente, pinze anti-emorragiche per arrestare eventuali flussi di sangue tramite occlusione di vene e arterie, uncini da usare nel corso delle resezioni di parti in stato di tensione, forcelle a due denti da utilizzare come leve o divaricatori, sonde o specilli ad ago lungo per interventi a scopo esplorativo o di puntura, bisturi per incidere e cauteri per bruciare, aghi per sutura e seghe per amputazioni sono stati esposti presso l’Ospedale di S.Maria del Popolo degli Incurabili, nel cuore della Napoli antica.

L’iniziativa, denominata “Altri Tempi in vetrina. Agli Incurabili il museo delle antiche arti sanitarie”, è stata fortemente voluta dal prof. Gennaro Rispoli primario chirurgo di Chirurgia generale dell’Ospedale Ascalesi e di Chirurgia generale e d’urgenza dell’Ospedale San Giovanni Bosco, artefice di oltre 25mila interventi chirurgici, autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche e appassionato collezionista di antichi strumenti chirurgici. Per visitare di sabato mattina il piccolo, ma interessante Museo, è necessario contattare l’associazione culturale per l’arte e la storia della medicina “Il Faro di Ippocrate” (mail info@lfarodippocrate.it oppure tel.081/556.68.05, cell. 340/59.68.719) di cui l’insigne chirurgo è presidente.
 
D’intesa con Maria Grazia Falciatore Commissario straordinario Asl Napoli1 Centro, Nicoletta Ricciardelli della Soprintendenza Beni architettonici di Napoli e Liliana Marra dell’Assessorato alla Sanità della Regione Campania, in collaborazione con i funzionari dell’Ospedale degli Incurabili e una nutrita squadra di studiosi e ricercatori, il sogno nel cassetto del prof. Rispoli è stato realizzato e “un museo che conserva le memorie della scuola medica che fiorì in Napoli e che fu il faro scientifico per la sanità del Sud del nostro paese” è finalmente presente sul territorio cittadino e fruibile ad un pubblico specializzato e generico.

D’altra parte, inaugurando la mostra, Gennaro Rispoli ha spiegato, convincendo tutti i presenti, che “si tratta di un tentativo di ricostruire la storia sanitaria del Sud da un inedito punto di vista ovvero attraverso la storia delle malattie”; il che oltre a costituire un punto di vista originale è anche storicamente doveroso dal momento che per tutti i settecento anni in cui Napoli fu capitale, sia in epoca vicereale che borbonica, la sanità fu accentrata in stabilimenti ospedalieri che per grandezza e funzionalità uguagliavano le analoghe istituzioni presenti negli altri paesi europei. Erano oltre 150 gli ospedali, gli orfanotrofi e le istituzioni benefiche innervate nel tessuto cittadino e molti di questi, fra cui Vecchio Pellegrini, Incurabili, Annunziata, Ascalesi, San Gennaro, Gesù e Maria. ancora oggi funzionano e rappresentano l’ossatura principale del complesso reticolo assistenziale della Napoli contemporanea. Tuttavia, a ben guardare nella toponomastica partenopea, ci sono tracce forse non troppo evidenti ma certe di nomi e costumi popolari che si ispirano agli altri Ospedali ovvero a quelli che sono scomparsi a causa di un’edilizia senza regole e di una logica di espansione urbanistica a dir poco “creativa”; ci riferiamo agli Ospedali: della Cesarea, della Pace, Sant’Andrea, San Nicola al molo, San Giacomo, di Santa Maria della Fede.

A questo proposito, nel corso della giornata inaugurale del Museo e di una full immersion “nell’arte di guarire e ….guarire con l’arte” il vulcanico chirurgo ha organizzato un tour, con quattro fermate previste e durato un paio di ore, in cui ha voluto illustrare l’arte contenuta nei siti sanitari più antichi svelando un percorso che fa riflettere su come illustri architetti e artigiani seppero coniugare bellezza e funzionalità assistenziale. Infatti non va dimenticato che molte corsie attrezzate per i malati, di una Napoli che era considerata fra le capitali più popolose al mondo, sorgevano nelle immediate vicinanze di Chiese monumentali e ricche di preziosi tesori artistici. In buona sostanza l’iniziativa ha consentito la lettura di una storia meno conosciuta della città ma non per questo meno vera; qui le agitazioni provocate dalla malattia e dal dolore trovano conforto nei riti devozionali celebrati nelle Chiese, nella fede e nel silenzio quasi palpabili delle cappelle, dei chiostri ombreggiati, dei giardini e degli orti  capillarmente diffusi.

Tornando al concreto dell’esposizione museale, e ancora inebriati dalla vista di portoni e colonnati, scalinate e saloni, cortili ampi e pozzi scolpiti in pietra, ascoltiamo Gennaro Rispoli affermare il primato, uno fra gli innumerevoli primati ormai riscoperti e appartenenti di diritto alla nostra città, “della Scuola Medica Napoletana fiorita proprio fra le antiche mura degli Incurabili e di tutti gli altri antichi ospedali partendo dalla lezione ippocratica e dallo sperimentalismo razionale coniugando umiltà, moderazione, rigore ed intuito”. Poi ci immergiamo, con lo sguardo e con la mente nelle sale dell’importante complesso, Ospedale, Chiesa e Farmacia degli “Incurabili”, fondato all’inizio del ‘500 dalla nobildonna catalana Maria Lorenza Lonc (Longo), dopo essere stata guarita miracolosamente da una grave forma di artrite reumatoide.

L’Ospedale era altamente specializzato e garantiva ricovero e assistenza a pazienti affetti da patologie ritenute appunto incurabili quali apoplessie, epilessie, paralisi, pleuriti, asma, sputi di sangue, itterizia, dolor nefritico, ernie, spezzature di ossa e rogna e curava tre specie di matti: maniaci, malinconici e taciti; per cui l’attività consistente nel  salvare vite umane era febbrile e i medici che si sono avvicendati in queste corsie sono stati numerosi. Era sede di una scuola medica altamente qualificata e riconosciuta in tutta Europa.
Dalla visione della Mostra si evince che i chirurghi appartenevano alla stessa corporazione dei barbieri e che gli antichi utensili medicali somigliano decisamente a rudimentali strumenti di tortura richiamando alla mente i famigerati tribunali dell’Inquisizione.

Tuttavia l’empirismo che ha caratterizzato la storia della medicina fino a circa 150 anni fa ha favorito l’utilizzo massivo di pochi rimedi ampiamente riconosciuti dalla scienza dell’epoca: purganti, clisteri e salassi, “tutti finalizzati a cacciare i cattivi umori dal corpo dell’ammalato con l’impiego di siringhe di stagno e lancette da scarnificazione” - dice il prof. Rispoli. Il vero e proprio medico ovvero il doctor phisicus, era dunque distinto dal chirurgo-cerusico, dal chirurgo-norcino e dal barbiere e si riservava il compito di formulare diagnosi in latino, citando Ippocrate e Galeno, dopo aver esaminato le urine e aver ascoltato il polso del paziente; in altre parole pur supervisionando gli interventi chirurgici non si sporcava le mani né col sangue né con attrezzi, bisturi e lancette.

Fra le attrezzature in mostra: una sedia operatoria della metà dell’800, un risuscitatore del ‘700, cassette di farmaci portatili, seghe per amputazione, l’apparecchio del chirurgo scozzese Lister, l’apparecchio dell’ungherese Ignaz Philipp Semmelweis; ed ancora  bollitori e una pentola di Papin, un Becco di Corvo risalente alla peste del ‘500, una cassetta militare del 1835, un prezioso coltello polifunzionale con manico in corno di bufalo d’acqua del XVII° sec. ed infine siringhe e antiche stampe riproducenti apparati circolatori e cellule nervose. Tutto visibile nell’arco di un percorso che porta in una sala ornata da una scalinata e un colonnato straordinari risalenti al 1522 dove sono esposti una antichissima macchina anatomica che subito richiama alla mente quelle conservate nella Cappella Sansevero e un’opera significativa di Lello Esposito raffigurante Pulcinella e l’uovo simbolico della leggenda virgiliana. Ma ancora altre originali curiosità si celano lungo il percorso e testimoniano la passione e la competenza di un Gennaro Rispoli che mai si è arreso di fronte alle difficoltà incontrate nella realizzazione di un progetto che appariva impossibile.

Ma tornando a epoche più recenti, non va dimenticato che proprio in questi ambienti dell’Ospedale degli Incurabili praticarono un’ampia sperimentazione medico-scientifica il celebre anatomista e primo maestro di chirurgia Domenico Cotugno,  l’allora primario e medico dei poveri Giuseppe Moscati, il neurologo Leonardo Bianchi, il patologo e primario Antonio Cardarelli, il fondatore del giornale “Riforma Medica” Gaetano Rummo e il clinico Domenico Capozzi e la mostra vuole essere anche un omaggio a tutti questi scienziati, solo alcuni fra i più importanti, che hanno dato lustro alla medicina e alla città di Napoli.
Non è agevole completare il percorso artistico all’interno degli Incurabili poichè la Chiesa di Santa Maria del Popolo con il suo splendido e unico campanile, la Cappella Montalto e la Farmacia Storica non sono aperte al pubblico in quanto gravemente danneggiate dal terremoto dell’80; tuttavia per quest’ultimo ambiente si comincia parlare di un restauro imminente.

In effetti la Farmacia Storica, definita dagli storici e dai critici d’arte ”la più bella Farmacia del mondo”,  rappresenta un prezioso scrigno di arte  risalente agli anni ’30 e ’50 del settecento e sostituisce l’antica spezieria cinquecentesca con un lascito del reggente dell’Ospedale Antonio Maggiocca. Dalla scala a doppia rampa di Domenico Antonio Vaccaro si accede alla sala laboratorio e alla sala di rappresentanza caratterizzate da armadietti e scansie in radica di noce a sei piani e da un lunghissimo banco da farmacista realizzati da Agostino Fucito e contenenti circa 480 vasi policromi realizzati da Donato Massa, raffiguranti scene bibliche e destinati a contenere i medicinali. Giuseppe e Gennaro Massa realizzarono il pavimento in cotto e maiolica negli stessi colori dei vasi e dell’opera di Pietro Bardellino raffigurante una scena dell’Iliade: Macaone cura Menelao ferito. Nell’Antica Farmacia è tutto un trionfo di colori, stucchi, dipinti e ceramiche, pinnacoli e fronde d’acacia che lascia esterrefatti soprattutto per la complessità estrema degli ornamenti e per la pioggia di simboli provenienti da un’epoca mai del tutto dimenticata e in attesa di essere riscoperta.

Per la mostra dedicata alle antiche arti sanitarie non poteva essere scelto un ambiente più congeniale degli Incurabili, prezioso spunto per meditare sulla nostra storia, su quanto è stato negligentemente perso e su quanto ancora può essere recuperato; tutto ciò nel cuore palpitante della città adagiato in un silenzio irreale.

12/4/2010
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