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Cronaca
Gli edifici napoletani a Roma
Le proprietà del Regno di Napoli ancora oggi nella città capitolina
di Angelo Forgione
Sembra strano ma c’è un po’ di grande Napoli ancora oggi incastonata tra gli edifici di Roma e che testimonia di un antico rapporto tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio; un “vicinato” fatto di qualche attrito ma anche di grande appoggio reciproco. Come non ricordare il rifugio che nel 1848 Papa Pio IX trovò a Gaeta, in territorio “Napolitano”, ospite dal cattolicissimo Ferdinando II in seguito alla proclamazione delle Repubblica Romana ad opera di Giuseppe Mazzini durante i primi moti preunitari. La cittadina pontina assunse la denominazione di “Secondo Stato della Chiesa” prima che il Pontefice s’imbarcasse per Napoli, laddove prese residenza nella Reggia di Portici messa a sua completa disposizione. Vi si trovò così bene che vi rimase per nove mesi.

Durante il suo “esilio” napoletano, Pio IX celebrò solennemente la festività dell’Immacolata Concezione, Patrona delle Due Sicilie, durante la quale ammirò lo sfarzo di Palazzo Reale in avanzata fase di una ristrutturazione che gli avrebbe dato l’aspetto attuale. Dal balcone di parata, attorniato dalla famiglia reale napoletana, impartì la sua benedizione alla folla napoletana osannante. Di fronte gli si apriva il Largo di Palazzo, l’attuale Piazza del Plebiscito, con la chiesa di San Francesco di Paola inaugurata solo tredici anni prima dal predecessore Papa Gregorio XVI.

Pio IX si recò anche al Duomo per assistere al miracolo di San Gennaro, a Pietrarsa per visitare le pregevoli officine per la costruzione delle macchine a vapore e, instancabilmente, in tanti  luoghi e istituti pubblici, chiese e santuari. Passò il Natale alla Reggia di Caserta e la Pasqua a quella di Portici, poi nel Marzo del 1850 decise di ritornare a Roma.

L’ospitalità fu ricambiata nel 1861, dopo l’invasione piemontese del Regno duo siciliano; Francesco II, figlio del grande Ferdinando II, dopo una strenua resistenza a Gaeta, si arrese ai bombardamenti feroci del Generale Cialdini e mosse in esilio insieme alla Regina Maria Sofia alla volta di Roma dove fu ospitato prima al Quirinale e poi a Palazzo Farnese.

Proprio il Palazzo Farnese, l’edificio rinascimentale del cinquecento che domina l’omonima piazza romana, era palazzo napoletano di proprietà dei Borbone perché ereditato dall’antenata Elisabetta Farnese, madre di  Carlo VII di Napoli poi III di Spagna. A quell’epoca era detto il “Palazzo Regio Farnese”.
Nel 1874 il Palazzo Farnese divenne sede dell’ambasciata francese e nel 1911 fu acquisito dallo Stato transalpino per poi essere riacquistato da quello italiano nel 1936 che lo ha riaffittato per 99 anni ai francesi per una cifra simbolica.

Ai tempi di Carlo di Borbone, che dell’edificio portò a Napoli 898 quadri e 181 arazzi, era già una delle “quattro meraviglie di Roma” e ancora oggi è considerato il palazzo più bello di Roma. All’interno si può ammirare il complesso di stucchi e pitture a tema mitologico realizzato a cavallo del ‘600 da Annibale Carracci e la “sala di Ercole” dove era conservata la statua dell’Ercole Farnese, copia dell’originale bronzeo di Lisippo, poi trasferita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli per completare, insieme a numerose altre sculture, la famosissima e preziosissima “collezione Farnese”, uno dei grandi tesori della nostra città.

Un calco in gesso dell’Ercole Farnese è anche esposta nella stazione “Museo” della Linea 1 della Metropolitana di Napoli.
Al Palazzo Farnese sono legati gli avvenimenti tumultuosi dovuti agli attriti iniziali tra Carlo di Borbone e il Papa Clemente XII. Appena conquistato da Carlo, il Regno era un feudo dello Stato della Chiesa e il Papa si considerò l’unico legittimato ad investire i Re di Napoli. Tra varie scaramucce, accade poi che a Roma si sospettò che i borbonici rinchiudessero cittadini romani nei sotterranei di Palazzo Farnese per reclutarli con la forza nel neonato esercito napoletano e migliaia di trasteverini assaltarono il palazzo per liberarli. Pian piano i rapporti con il Papa migliorarono, e non poteva essere altrimenti sia perché la dinastia dei Borbone era fortemente cattolica, e con essa tutto il Regno, sia per la sempre più grande importanza che le Due Sicilie acquisirono col passare del tempo divenendo unica vera Nazione della penisola che al Papa conveniva avere in amicizia.

Un altro edificio napoletano in territorio romano è la Chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani. Si tratta di una chiesa nazionale, ovvero di un edificio di culto dedicato ad una nazione straniera, quella delle Due Sicilie appunto, e non è molto distante dal Palazzo Farnese.
Apparentemente anonima, è un edificio barocco di notevole importanza, ricca com’è di memorie storiche. Per cinquant’anni, dal 1934 al 1984, la chiesa ha ospitato i resti di Francesco II di Borbone e di Maria Sofia prima che queste fossero traslate con una solenne cerimonia nella basilica napoletana di Santa Chiara laddove è il sepolcreto ufficiale dei Borbone e dove riposano i sovrani delle Due Sicilie.

Nella facciata sono ancora oggi visibili gli stemmi del Regno delle Due Sicilie sulla destra e dello Stato Pontificio sulla sinistra, mentre il rosone centrale è ornato con dei gigli borbonici.
All’interno si trovano molte opere significative e simboliche per il regno duosiciliano come “il Martirio di San Gennaro” del pittore napoletano Luca Giordano, la “vergine con il Bambino” e “il Miracolo di San Francesco di Paola”.
24/2/2010
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