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Cultura
“Natale in casa Cupiello“
Il sogno impossibile di Luca Cupiello
di Antonio Magliulo
Da acuto osservatore della realtà, qual'era, Eduardo de Filippo seppe cogliere, forse più d'ogni altro artista, il sentimento che il Natale suscita nel cuore della gente mite. Nato in una città, dove tale ricorrenza è sempre stata oggetto di un culto forte, avvertito, finanche eccessivo, trovò quasi inevitabile descriverlo. Ovviamente, lo fece a modo suo, da drammaturgo, creando una delle sue commedie più apprezzate e conosciute: Natale in casa Cupiello.

La trama appunto è nota, ma gioverà ricordarla brevemente. È il mattino della vigilia di Natale e, come ogni anno, Luca Cupiello, appena desto, comincia a lavorare al suo presepe, nell'indifferenza della moglie Concetta e dello sfaccendato figlio, Tommasino, che gli ripete, con un cinismo quasi grottesco, che a lui il presepe non piace. Ciò, ovviamente, provoca un certo disappunto in Luca, che crede tanto in quel simbolo e sta impegnandosi a fondo per realizzare un "capolavoro". A distoglierlo dalla sua occupazione, interviene una lite fra il figlio ed il fratello Pasquale. I due cominciano a beccarsi a causa di alcuni furti di vestiario commessi dal ragazzo. Luca, con ammirevole pazienza, fa del suo meglio per sedare gli animi, onde trascorrere un Natale sereno. L'uomo però ignora il fatto più grave e cioè che la figlia, Ninuccia, ha da poco deciso di lasciare il marito, perché innamorata di un altro uomo.

Nell'atto successivo, tutto sembra procedere regolarmente, secondo la migliore tradizione natalizia. Appianata un'altra baruffa fra Tommasino e Pasquale, Luca procede alla sistemazione degli ultimi pastori sul piccolo scenario, ormai compiuto. La moglie è alle prese coi fornelli in cucina, mentre Pasquale va a incartare i doni, da consegnare a Concetta, al momento opportuno. Tutto viene eseguito in gran segreto, dovendo risultare una sorpresa. Più tardi, infatti, i tre uomini si travestono da re Magi, spengono la luce ed intonano Tu scendi dalle stelle... Tuttavia, per uno sfortunato contrattempo, poco prima di sedersi a tavola, per la cena, scoppia il dramma. Nicolino, il marito di Ninuccia e Vittorio, l'amante, s'incontrano proprio in casa Cupiello. Dapprima, i due rivali cercano di evitare scenate, poi, vinti dall'odio e dalla gelosia, decidono di uscire ed affrontarsi. A questo punto, la disperazione di Concetta e lo stupore dell'ignaro Luca sono facilmente immaginabili.

Nel terzo ed ultimo tempo, Luca è a letto, malato, circondato da familiari e amici. Il dispiacere provato la sera precedente ha avuto il sopravvento su di lui. Il poveretto è semiparalizzato. Arriva il medico e dichiara che il suo destino è segnato. I parenti, intanto, gli mostrano l'affetto e la sollecitudine che prima gli avevano negato. Anche se a caro prezzo, il gruppo familiare sembra di nuovo unito. Ma nel tentativo di riappacificare Ninuccia col marito, Luca combina un altro guaio. Scorgendo sulla porta Vittorio e scambiandolo per il genero, gli getta fra la le braccia la figlia. In quell'istante, sopraggiunge Nicola e accade l'irreparabile. Luca, tuttavia, non si accorge di nulla e muore nella certezza di aver riportato la pace in famiglia.

Rappresentata per la prima volta, come atto unico, al teatro Kursaal di Napoli, nel 1931, Natale in casa Cupiello subì, nel tempo, diversi rimaneggiamenti, perdendo a poco a poco la sua marcata impronta umoristica e assumendo il carattere di una storia completa, realistica e "impegnata". Il segreto del suo enorme successo sta, infatti, proprio nella sapiente miscela agrodolce, che unisce appunto il sentimento del comico col tragico, una capacità che appartiene da sempre alla gente partenopea, come fosse una risorsa sua propria, un bene inestimabile, atto a mitigare le contrarietà e a sorreggere gli uomini di fronte alle sciagure.

Eduardo, oltre a scrivere la commedia, la portò pure in scena, con inimitabile maestria. Tutti ricorderanno (nelle versioni teatrali o televisive) la sua superba interpretazione di Cupiello. Le scene più gustose ed ironiche si rinvengono nel primo e secondo atto, ma le più incisive sono quelle finali, dove l'artista da prova delle sue formidabili capacità attoriali. Nel terzo atto, infatti, il sipario si leva e Luca Cupiello, da sano ed alacre cinquantenne, è diventato infermo, vecchio, stravolto nei lineamenti. È seduto nel letto matrimoniale, sorretto da due cuscini e avvolto in uno scialle. I suoi capelli sono spettinati, arruffati sul capo e sembrano persino più bianchi. La bocca è evidentemente distorta e gli disegna in faccia un strano sorriso, come il ghigno sardonico di un pupo siciliano. Gli occhi sono asimmetrici e ripropongono la medesima disarmonia labiale. Anche uno dei sopraccigli è sollevato rispetto all'altro. Il braccio sinistro è fermo, bloccato dalla paresi. La sua parlata è lenta, affannosa, farfugliata e somiglia un po' a quella di un bambino. Attorniato da un nugolo di gente, Luca racconta confusamente aneddoti del proprio passato.

Nelle didascalie che corredano il copione, Eduardo spiega cosa è successo esattamente al protagonista della storia: "La realtà dei fatti ha piegato come un giunco il provato fisico dell'uomo che per anni aveva vissuto nell'ingenuo candore della sua ignoranza". E, grazie al prodigio mimico-espressivo, compiuto a perfezione da Eduardo, tal'è esattamente il personaggio che si vede in scena. A un tratto, mentre la vicenda si avvia a conclusione, si diffonde nell'aria il tipico suono delle ciaramelle. È evidente che il povero Cupiello è moribondo. Con l'ultimo briciolo di energia rimastagli, scambia un'ultima battuta col figlio, domandandogli, accoratamente: "Te piace 'o presepio?" e questi, con gli occhi lucidi, risponde finalmente: "Sì". Soddisfatto, Luca cade in una sorta di trance. I suoi occhi si volgono altrove, sembrano persi nelle "luminarie", fra le stradine di trucioli, le grotte di sughero e le casette di carta, immerse nel morbido muschio. Si comprende benissimo che lì è andato, Luca Cupiello, a cercare fra le immote e rassicuranti figure dei pastori quella pace che aveva tanto agognato.
Nel 1977, Eduardo cambiò alcune, significative, battute dell'opera e in un'intervista esplicitò il perché della sorte toccata al personaggio: "Luca Cupiello muore e deve morire anche se suscita pietà...". E aggiunse: "Egli è vittima perché si è prestato a un giuoco di illusioni infantili. Il presepe che costruisce è una specie di droga, che paralizza la fantasia e distoglie dalla realtà del vivere quotidiano", come a dire, insomma, che in un mondo dove alberga il male non possono esserci innocenti, ma si è tutti, in qualche misura, corresponsabili, colpevoli.

Ma, francamente, questa spiegazione disorienta un po'. Sembra dettata da un ripensamento, da una sorta di autorevisione ideologica, intervenuta successivamente. Seppure sacrosanta e legittima, perché mossa dallo stesso autore, questa "accusa" d'ignavia o di sprovvedutezza grava eccessivamente su Cupiello. Egli, in fondo, non rimane impassibile di fronte ai problemi familiari e, per quanto maldestramente, si adopera per aggiustare le cose. Il fatto è che in principio, Eduardo volle rappresentare un sognatore sopraffatto, schiacciato dalla cruda realtà intorno a lui. E tale esso è rimasto nell'immaginario collettivo, suscitando, proprio per questa sua ingenuità, tanta comprensione e simpatia. È noto che, una volta creati, i personaggi vivono di vita propria, indipendentemente dalla volontà del loro autore. D'altra parte, il contenuto della vicenda è chiaro e non ha bisogno di commenti. La casa dei Cupiello riflette le sfaccettature, spesso dolorosissime, della realtà. Il presepe, di contro, è quel luogo di pace nel quale si confida ingenuamente, magari dimenticando che è solo un artificio.

C'è, tuttavia, una dignità nei sogni, che non andrebbe mai disconosciuta. In un mondo difficile, funestato da miseria, morbi e sanguinosi conflitti, sul quale vegliano inattendibili angeli di metallo e dove le comete, nel cielo, somigliano, terribilmente, ai bagliori dei razzi e delle bombe, la scena di cartapesta può divenire, per un momento, il rifugio degli uomini miti. Molti ne subiscono il fascino. In tanti guardano al presepe, aspettando un improbabile prodigio. La sera della Vigilia, uniti da un comune sentire, secondo un rito antico, struggente e irrazionale, ma bello come soltanto i sogni sanno essere, uomini e donne, grandi e piccini, credenti ed atei si ritrovano lì, dinanzi alla Capanna. A mezzanotte.

3/12/2009
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