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Cultura
Pio Monte della Misericordia
di Antonio Tortora
In una delle sale del Pio Monte della Misericordia, grandiosa opera del barocco seicentesco partenopeo, c’è un tavolo eptagonale in legno e intarsi di madreperla, su cui sono riportate le Opere di Misericordia: visitar infermi, sepelir i morti, visitar i carcerati, redimer i captivi, soccorrer i vergognosi, albergar i peregrini e il peso del patrimonio.

A questi principi, riproducenti in buona sostanza quelli evangelici, si ispirarono i sette nobili napoletani, fondatori e allo stesso tempo Governatori del Pio Monte: Cesare Sersale, Giovanni Andrea Gambacorta, Girolamo Lagni, Astorgio Agnese, Giovan Battista de’Alessandro, Giovan Vincenzo Piscicelli, Giovan Battista Manso. Agli inizi del seicento miseria e malattie colpivano la popolazione in modo devastante e i giovani “fratelli”nobili, oltre a fornire un pasto ai poveri infermi dell’Ospedale Incurabili e a seppellire i morti abbandonati nelle cave, fecero qualcosa che mai potrà essere dimenticato e che servirà da fondamento etico all’attività di un Ente che ancora oggi funziona a pieno regime: si trasformarono in mendicanti e cominciarono a girare per la città chiedendo un aiuto per i poveri che assistevano e per la materiale realizzazione di opere  finalizzate ad alleviare le sofferenze di malati, poveri, nobili decaduti, carcerati e persone in difficoltà economiche gravi.

Ebbene la visita organizzata qualche giorno fa dalla sezione campana dell’Istituto Italiano dei Castelli presieduta dall’architetto Luigi Maglio è servita a far capire meglio lo spirito e l’opera di quei sette che scelsero come emblema il septimontium sormontato dalla Croce e il motto “Fluent ad Eum omnes gentem”. Tutti gli ambienti di questo storico palazzo e le opere in esso custodite, non ultima la Chiesa ancora consacrata e che contiene il più famoso e simbolico capolavoro seicentesco  di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ovvero le“Sette Opere della Misericordia”, sono stati illustrati dalla responsabile dell’ufficio quadreria e dell’archivio storico Raffaela Auriemma con singolare passione e competenza mentre il Nobile Fabio Pignatelli della Leonessa, nella duplice veste di direttore della quadreria e Governatore del Pio Monte per il patrimonio mobiliare storico artistico, uno dei sette”gentiluomini ragguardevoli” attualmente in carica, faceva gli onori di casa e aggiungeva dettagli preziosi per meglio comprendere il lavoro dei Governatori e l’importanza concreta di una Fondazione che oggi conta 231 associati tutti eredi di quello spirito caritatevole che animò i nobili fondatori.

Già entrando nella Chiesa, ben si comprende il contenuto simbolico dei dipinti che sovrastano i sette altari dedicati alle opere di misericordia tutti firmati da maestri della scuola pittorica napoletana del ‘600: Battistello Caracciolo, Fabrizio Santafede, Gian Vincenzo Forlì, Carlo Sellitto e Luca Giordano. Tuttavia si tratta di altari e dipinti che hanno il compito di esaltare e contestualizzare la preziosa ed enigmatica tela del Merisi che, di passaggio per la capitale del Viceregno in fuga dopo aver commesso l’omicidio di Ranuccio Tomassoni, fu compensato con 400 ducati per la realizzazione dell’opera oggi ritenuta inestimabile. I Governatori furono lungimiranti e si comportarono da veri mecenati creando le solide basi di una collezione d’arte imponente e unica nel suo genere con un nucleo centrale costituito da una tela capace di rappresentare tutte le opere di misericordia in uno spazio concentrato e tutta la potenza espressiva di un agire drammaticamente concreto cui i Governatori del Pio Monte mai hanno rinunciato, nonostante le difficoltà incontrate in anni difficili. Per di più il Caravaggio, vivendo nel cuore della Napoli vicereale, da artista e da uomo è riuscito a trasferire nei colori e nelle immagini la vita della città, del quartiere, del vicolo; la vera vita che solo uno spirito schietto e pieno di audacia può rintracciare, metabolizzare e riprodurre con maestria.

Circa gli altri ambienti, ovvero il salone delle Assemblee, le anticamere, lo studio dei Governatori, lo studio del Soprintendente, la sala del Coretto nonché la sala del Governo custodiscono gran parte delle opere (dipinti, sculture, arti applicate e arredi) di diverse scuole dal XVI al XIX secolo ma soprattutto costituiscono “l’ormai famosissima Quadreria costituita da un nucleo di 135 tele di Francesco De Mura – dice Raffaela Auriemma – che donò, per via testamentaria, i 192 dipinti e bozzetti presenti nella sua abitazione-laboratorio; inoltre 12 dipinti fra cui tele di Stanzione donati da Giuseppe Marciano agli inizi dell’800 e 31 dipinti oggetto del lascito del 1933 da parte del barone Giuseppe Carelli”. La sala del Coretto è veramente particolare in quanto è collocata, strategicamente e simbolicamente, in posizione baricentrica tra una finestra che affaccia sulla piazzetta antistante il palazzo ovvero su un obelisco dedicato a San Gennaro e un piccolo palco ligneo, per la preghiera privata, che affaccia all’interno della Chiesa esattamente di fronte al quadro del Caravaggio. Ricordiamo che l’obelisco, realizzato da Cosimo Fanzago nel 1636, è considerato la più antica guglia di Napoli e fu commissionata dalla Deputazione del Tesoro di San Gennaro come ringraziamento per lo scampato pericolo durante l’eruzione vesuviana del 1631. Una sorta di linea mistica tracciata tra due opere importanti e vitali per la città mediate proprio dalla sala in cui venivano prese le decisioni dei nobili che dirigevano l’antica istituzione. Simbolicamente, da un lato il patrono martire San Gennaro capace di suggerire e richiamare al bene nell’interesse della città, dall’altro le sette Opere di Misericordia a perpetuo monito chiarificatore di quali erano e sono ancora gli scopi dell’agire del sacro Sodalizio. I Governatori rappresentano si la più alta autorità all’interno del Pio Monte ma sono costantemente chiamati a non abbandonare le antiche intenzioni da autorità patronali ed evangeliche superiori e da cui non si può derogare.

Di certo è finita l’epoca in cui, con fondi, elemosine, lasciti e donazioni si accumulavano oggetti d’arte da rivendere e denaro contante per pagare riscatti di persone che venivano rapite dalle marinerie piratesche turche tuttavia la missione del Pio Monte della Misericordia continua senza sosta con interventi finalizzati nell’ambito assistenziale, nel sostegno diretto a particolari forme di indigenza e nella messa a disposizione del patrimonio immobiliare locato a condizioni favorevoli oppure ad uso gratuito per scopi abitativi o attività benefiche; i 420 immobili di proprietà dell’Ente garantiscono questo notevole impegno. “Operiamo ospitando una dimora familiare a Casamicciola e un asilo infantile a Bacoli,  – ci dice il Governatore Fabio Pignatelli della Leonessa – gestiamo un Poliambulatorio odontoiatrico e odontotecnico con ben 9000 interventi e 40mila visite specialistiche all’anno, aiutiamo l’ospedale psichiatrico giudiziario di S’Eframo, ospitiamo un oratorio Salesiano a Portici ed infine abbiamo messo a disposizione di una comunità di recupero per tossicodipendenti alcuni terranei ristrutturati nei pressi della stazione centrale”.

Nel 600 c’erano molte istituzioni simili innervate nel tessuto sociale napoletano ma ben poche ne sono sopravvissute e in quasi nessuna venivano accettate donne; nell’Ente venivano iscritte in qualità di benefattrici e questo costituisce un chiaro elemento di modernità. Non solo ma i Governatori osservavano turni semestrali per i vari incarichi pertanto in tre anni  e mezzo, ricoperte a turno tutte le qualifiche, terminavano il loro impegno; ciò impediva la eccessiva concentrazione di potere e garantiva l’avvicendarsi di altri nobili “fratelli” del Pio Monte. Dunque sono molte le caratteristiche che fanno la differenza e soprattutto legittimano gli attuali Governatori a seguire le orme dei soci fondatori. Una volta alla settimana si riuniscono i Nobili: Gian Paolo Leonetti dei conti di Santo Janni, don Fabrizio Colonna dei principi di Stigliano, Marco Crisconio, Umberto Taccone dei marchesi di Sitizano, Angela de Goyzueta dei marchesi di Toverena Colucci d’Amato, don Giuseppe de Vargas Machuca e Fabio Pignatelli della Leonessa dei principi di Monteroduni; gli atti che producono  vengono registrati in un complesso archivio storico che dal XVI secolo offre uno spaccato straordinario e insolito sulla storia della città, su lasciti e donazioni, su corpi feudali e  patrimonio fondiario ed ancora su documenti ottomani, lasciapassare per gli schiavi liberati in seguito a pagamento di riscatto e quindi sulla schiavitù nel bacino del mediterraneo nel XVII° secolo. Appare doveroso recarsi in visita in un palazzo e in una Chiesa così pieni di storia e arte e negli uffici di quella che oggi è una moderna Fondazione con alle spalle una storia ultracentenaria e profonde radici nel territorio cittadino e della provincia. Sono passati 408 anni e 221 giorni dall’atto di fondazione dell’ente laicale e facendo una sosta in via Tribunali 253 tra l’ingresso barocco del palazzo e la severa guglia di San Gennaro, per un attimo, pare di essere tornati indietro nel tempo.

24/11/2009
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