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Cronaca
“Cavalli di bronzo”. E Napoli conobbe il baccalà
Napoli – San Pietroburgo, un ponte d’amicizia testimoniato dai cavalli
di Angelo Forgione
I Napoletani li chiamano “cavalli di bronzo” quelle monumentali sculture equestri che sovrastano la cancellata dei giardini di Palazzo Reale nella zona prospiciente Castel Nuovo (1). In realtà la loro vera denominazione è “Cavalli russi” perché furono donati alla città dallo Zar Nicola I (2) nel 1846. Qualche mese prima, l’imperatore russo condusse la consorte Aleksandra Fёdorovna in Sicilia per dare giovamento climatico al suo stato di salute. Il buon esito del viaggio spinse la famiglia imperiale russa a visitare la Capitale del Regno delle Due Sicilie di cui ne elogiava in maniera manifesta e convinta le capacità. I sovrani russi furono accolti da Ferdinando II (3) e dalla consorte Maria Teresa d’Austria, e ospitati a Palazzo Reale. L’amicizia e gli ottimi rapporti tra due degli Stati più importanti dell’Europa dell’epoca divennero ancor più solidi e al ritorno a San Pietroburgo, allora Capitale di Russia, lo Zar fece inviare in dono a Ferdinando II di Borbone le due monumentali sculture.

I “Cavalli russi”, raffiguranti due palafrenieri nell’atto di domare i cavalli, furono posti inizialmente sul cancello d’ingresso dei giardini reali in Via San Carlo (4) e solo alla fine dell’Ottocento furono spostati nell’attuale posizione. Furono scolpiti dal russo Pjotr Klodt Von Jurgensburg insieme ad altri quattro gruppi equestri in bronzo visibili ancora oggi a San Pietroburgo, al Ponte Anickov (5) sul fiume Neva; due di essi sono del tutto identici a quelli donati a Napoli (6 e 7). Il luogo non era casuale perchè Nicola I intese partire proprio da un ponte vero e proprio per instaurarne uno allegorico tra Napoli e San Pietroburgo che persiste ancora oggi. Era il periodo in cui Ferdinando II avviò una serie di riforme urbanistiche d’ampliamento della sua amata Napoli, in funzione del suo ruolo di Capitale del Regno delle Due Sicilie, per accrescerne decoro e prestigio. In queste rientrò anche il Palazzo Reale attorno ai cui giardini fu alzata una cancellata in ferro a lance con punte dorate, ornata proprio dal dono dello Zar.

Ma il ponte divenne anche commerciale perché l’incontro tra i due amici sovrani intensificò i rapporti politico–commerciali tra lo lo stato russo e quello duociliano. Fu così che a Kronstadt, una località isolana di fronte la Capitale russa, si realizzò una fabbrica uguale a quella di Pietrarsa tanto ammirata dallo Zar; furono poi replicati a San Pietroburgo i successi del Teatro San Carlo, mentre a Napoli si cominciò a gustare la bontà del baccalà del baltico e l’importanza del grano duro che aprì la strada a lavorazioni pregiate come quella della pasta e della pastiera napoletana. Proprio a proposito della pastiera, si racconta che Maria Teresa D'Austria, consorte del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata dai soldati "la Regina che non sorride mai", dopo aver assaggiato una fetta di pastiera esternò un sorriso e che a questo punto il Re avrebbe esclamato: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".

Gli intensi scambi artistico-culturali continuarono per molto tempo e non è un caso che uno dei maggiori architetti che in quegli anni modellarono l’ex Capitale sovietica sia stato il napoletano Carlo Domenico Rossi, poi naturalizzato russo. La pittrice russa Irina Federava ebbe a dire all’epoca che i russi erano particolarmente grati al Meridione d’Italia perché ”a partire dal XVIII secolo l’Italia, e specialmente il Regno delle Due Sicilie, sono diventate la culla dei migliori talenti russi: pittori, scrittori, compositori, critici letterari”.

Persino la canzone più famosa del mondo, ‘O sole mio, fu scritta nel 1898 per un concerto da tenersi a San Pietroburgo e nacque ad Odessa laddove Giovanni Capurro fu ispirato da un’alba sul Mar nero e, in un impeto nostalgico, diede inconsapevolmente vita ad uno dei più grandi capolavori della storia della musica.
Sulle basi marmoree dei “cavalli di bronzo” ancora oggi è scolpita in latino la testimonianza dell’amicizia e della stima tra i due sovrani (8 e 9) che produsse quegli scambi commerciali e culturali dagli innegabili vantaggi reciproci.

Nel corso degli anni, i “Cavalli russi” sono stati di sovente oggetto di diatribe sulla loro fattura. Qualcuno a più riprese ha messo in dubbio che fossero effettivamente in bronzo, asserendo che fossero invece in meno pregiato ferro. La querelle è stata sedata da accurate valutazioni che ne hanno certificato la più preziosa fattura. Del resto anche i cavalli gemelli di San Pietroburgo risultano ufficialmente in bronzo ed è difficile pensare che un dono di così grande valore morale si sarebbe realizzato con fattura minore trattandosi non di copie ma di originali identici.

I Cavalli di bronzo sono stati restaurati nel 2002 ma già da qualche tempo sono visibili sulla base marmorea di sinistra delle spruzzate di vernice (8) che non vengono cancellate dall’amministrazione cittadina, unitamente alla fatiscenza dei lampioni che ornano la cancellata da troppo tempo lesionati (10) dalle pallonate dei giovani che trasformano indisturbati quel luogo monumentale in una porta da calcio (11).
Ciò evidenzia le differenze tra la Napoli Capitale di ieri, centro europeo in ogni campo, e quella di oggi ai margini della normalità.
9/11/2009
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