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Cronaca
Il “Regio Foro Ferdinandeo”, storia di Piazza Plebiscito
Dall’età pre-cristiana all’aspetto attuale firmato Ferdinando di Borbone
di Angelo Forgione
La storia della Piazza del Plebiscito va di pari passo con la storia stessa della città. L’aspetto attuale dello slargo risale al secondo decennio del 1800 quando il suo aspetto irregolare divenne ben ordinato, ma già in epoca precristiana in quel sito si erigevano le imponenti mura greche dell’antica Palepolis e quelle romane del Castro Luculliano (1).

Tra il dodicesimo e il quindicesimo secolo le mura furono abbattute per edificare dei conventi: sul versante mare il monastero francescano di Santa Croce di età angioina, di fronte il monastero di Santo Spirito da cui la vecchia piazza prese il nome di “Largo di Santo Spirito”. Ma vi furono costruiti anche i conventi di San Giovanni ad Lampades.e di San Luigi.

Il primo intervento significativo nel percorso formativo della contemporanea piazza si ebbe nel 1600, quando nella vasta area tra Santa Lucia e Castel Nuovo, fu costruito in luogo del vecchio palazzo vicereale il maestoso Palazzo Reale per volere del viceré conte di Lemos allo scopo di offrire una degna ospitalità all'allora sovrano di Spagna, Filippo III. La facciata, su progetto di Domenico Fontana, delimitò il perimetro basso di quello che venne ribattezzato “Largo di Palazzo” (2). La Piazza restava comunque molto caotica. La disposizione davanti a Palazzo Reale era poco dignitosa e molto disordinata, il tutto reso ancor più caotico dai palazzi che si affacciavano da Pizzofalcone. Nel settecento, la facciata del palazzo mutò l’aspetto originale in quello attuale su modifiche dettate da Luigi Vanvitelli allo scopo di fortificare l'edificio. Le arcate erano tutte aperte e questo rendeva la struttura poco solida. L’architetto ne chiuse metà, creando una successione alternata di arcate aperte e nicchie murate, in cui non erano però ancora inserite le statue dei sovrani della città.
Nel 1775, nell’ottica di diminuzione dei possedimenti clericali nel Regno, Ferdinando di Borbone fece abbattere il monastero di Santa Croce per far posto all’attuale “Palazzo del Principe di Salerno” (3).

Inizialmente fu sede del Battaglione Cadetti, poi residenza del ministro John Acton, e ancora dei ministri di Stato fino alla costruzione di Palazzo San Giacomo quando divenne casa di Leopoldo di Borbone, figlio del sovrano e Principe di Salerno, da cui prende il nome. Oggi è sede del Comando Logistico Sud. La realizzazione di “Palazzo Salerno” rappresenta il secondo tassello nella realizzazione dello slargo.

Nel 1809, Gioacchino Murat, durante il suo breve periodo di reggenza francese della città, dispose l’abbattimento della chiesa di Santo Spirito e dell'annesso convento di San Giovanni con l’intenzione di raddoppiare la superficie disponibile e costruire l'imponente portico colonnato ad emiciclo destinato ad essere il “Foro di Murat”. Il sovrano francese bandì un concorso per il progetto dell’esedra, la cui parte centrale non doveva essere la chiesa attuale ma un edificio per esposizioni pubbliche di manifatture, arti ed opere dell’industria. Progetto solo iniziato e poi rivisto dai Borbone una volta rientrati in città.

Fu infatti Ferdinando I, di ritorno dal suo esilio palermitano, a dare allo slargo l’aspetto attuale (4). L’erede di Carlo III di Spagna fece provvedere alla costruzione della basilica di San Francesco di Paola (5) sulle linee del Pantheon di Roma (6), ritoccando il progetto murattiano e corredando l’emiciclo, costituito da quarantaquattro colonne doriche (più dieci della basilica), con due statue equestri raffiguranti se stesso e il padre in posizione frontale rispetto al Palazzo Reale. Ciò avvenne nel 1815 per festeggiare proprio la restaurazione borbonica, alla fine della parentesi francese di stampo napoleonico, per la quale il sovrano volle ringraziare proprio il Santo patrono della Calabria a cui intitolò la basilica sul cui pronao vi è anche una statua che lo raffigura (7).

Perché il santo calabro? In realtà, proprio nel ‘500 il convento di San Luigi fu fondato proprio da San Francesco di Paola che vi si stabilì al ritorno dal suo pellegrinaggio dal Re di Francia. Il Santo, in risposta alle obiezioni di Re Ferrante d’Aragona che gli sconsigliava la scelta di quel luogo, preconizzò che sarebbe diventato "il più regale e onorato della città". Ferdinando di Borbone ritenne avverata la profezia e ne nacque l’ex-voto in onore di un Santo comunque già molto venerato nella Capitale del Regno delle Sue Sicilie di cui peraltro la Calabria era provincia.

La chiesa fu terminata nel 1831 e, per completare il capolavoro urbanistico, Ferdinando fece edificare, sempre in luogo dei monasteri, un palazzo gemello a quello del Principe di Salerno ovvero il “Palazzo della Foresteria” (8) che ospita oggi la Prefettura di Stato.
Con la configurazione così acquisita, frutto di scelte di ordine politico e culturale, l'irregolare “Largo di Palazzo" si trasformò in in elegantissimo e inquadrato snodo urbano, cuore per eccellenza della città.

La firma sull’edificazione della basilica e sul nuovo centro della vita della Capitale è tutt’oggi ravvisabile sui medaglioni in ghisa raffiguranti il profilo del secondo sovrano borbonico (9), presenti al vertice degli archi laterali del colonnato, tra i gigli borbonici (10) superstiti alla cancellazione attuata dalla dinastia sabauda. I gigli, cancellati un po’ dovunque con lo stravolgimento politico del 1860, sono presenti visibili anche sui capitelli di ciascuna colonna (11) ed erano presenti anche sulle ringhiere di recinzione (12) delle statue equestri dei sovrani, laddove oggi troviamo gli stemmi del Comune di Napoli (13).

Non è un caso che la piccola piazza che si ricavò adiacente al “Regio Foro Ferdinandeo” fu detta Piazzetta Carolina, toponimo dedicato proprio alla consorte austriaca di Ferdinando, e ciò riporta idealmente ai giorni nostri il legame della coppia reale.
E’ possibile dunque affermare che la Piazza del Plebiscito, già Piazza Grande, Largo di Palazzo o Regio Foro Ferdinandeo al tempo del Regno delle Due Sicilie, non è solo il salotto della città ma soprattutto il luogo dove più di ogni altro sono condensate le tracce della Napoli fulgida Capitale.

Nel 1885 fu inaugurata dall’allora sindaco Nicola Amore una fontana circolare di grossa ampiezza (14) dalla quale zampillava con forte getto l’acqua del Serino che veniva convogliata in città dal nuovo acquedotto col quale si chiuse l’epoca del colera in città. La fontana scomparve dopo qualche decennio per poi riapparire giusto cento anni dopo nel 1985, nel medesimo punto. La realizzazione però non fu completata e, divenuta ricettacolo di rifiuti, nell’ottobre del 1987 fu definitivamente rimossa.

Nel 1888, dopo l’Unità d’Italia, i Savoia fecero collocare nelle arcate chiuse le statue dei re di Napoli, compresa l’ottava dedicata a Vittorio Emanuele. Inoltre fu inserito lo stemma sabaudo marmoreo che sovrasta il portone d’ingresso.

La piazza prende il nome attuale dal plebiscito del 21 Ottobre 1860 col quale le popolazioni del Regno delle Due Sicilie ratificarono l’annessione al nuovo stato unitario d’Italia. Nome in verità imposto dalla dinastia savoiarda e di flebile legittimità se è vero che tale plebiscito fu limitato ad una minima parte della popolazione centro-meridionale tra cui, per scarsa affluenza, garibaldini e piemontesi, in un contesto più esteso di duosiculi contrari, imbavagliati e fucilati senza sepoltura.

Lo storico e politico Cesare Cantù raccontò come si svolsero le operazioni di voto a Napoli: “Il plebiscito giunge a fino al ridicolo, poichè oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza accertare l’identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i Sì e i No, che lo rendeva manifesto il voto; e fischi, e colpi e coltellate a lo desse contrario. Un villano gridò: Viva Francesco II! E fu ucciso all’istante”.

Proprio sul Palazzo della Foresteria è visibile oggi una targa commemorativa del 7 Settembre 1860, data in cui Garibaldi entrò a Napoli, e nella quale si legge beffardamente di abbattimento di tirannia borbonica (15).

Nel 1963 un’ordinanza comunale rese offesa alla storia trasformando la piazza in un parcheggio pubblico (16) per far fronte alle crescenti e smisurate immatricolazioni di autovetture in città. Ai piedi di Palazzo Reale vi era una strada veicolare a più corsie. Questa vergogna perdurò per circa trent’anni, terminando in occasione del summit dei G7 del 1994, a seguito del quale la piazza tornò ad essere il teatro delle celebrazioni e delle manifestazioni cittadine.

Tra i famosi aneddotti che si legano alla piazza, il più celebre è quello del "gioco" che i napoletani propongono ai turisti che devono attraversare la piazza ad occhi bendati partendo dal palazzo reale fino ad attraversare lo spazio tra le due statue, camminando in pratica lungo una linea retta. Quasi automaticamente, la persona bendata finisce col non “centrare” le due statue e, aperti gli occhi, rimane stupito dalla traiettoria calcata, avendo una sensazione di smarrimento. In realtà tutto ciò si verifica per la leggera pendenza della superficie della piazza che inganna i “giocatori”.

Piazza del Plebiscito oggi non si sottrae al degrado senza freni della città e numerosi sono i segni visibili della devastazione che non risparmia neanche i luoghi in cui è più facile farsi pervadere dalla grandezza di una delle più nobili e antiche Capitali d’Europa, benché decaduta.
21/7/2009
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