Cronaca
La Campania del mare negato
Il depuratore di Cuma è solo la punta di un iceberg immerso in un mare inquinato
di Angelo Forgione
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Ormai è vera psicosi. Da Napoli a Nord non va in acqua più nessuno. Questa è la per i romani “Campania Felix” che il mar non bagna più.
Sul sito dell’ARPAC (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania) sono stati pubblicati i report sulla balneabilità delle coste flegreo-giuglianesi. Un disastro ambientale lungo la costa flegrea di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli e Licola-Giugliano.
Si evincono una serie di valori che indicano uno sforamento anche del 100 per cento del valore massimo previsto per legge. Coliformi e residui organici derivanti dai liquami hanno trasformato una costa già poco attraente in una vera e propria cloaca. In molti sostengono che questo disastro ambientale sarebbe causato dai putridi liquami sversati direttamente in mare dai dipendenti del depuratore di Cuma durante le proteste sindacali delle ultime settimane contro la Hydrogest, società che gestisce l’impianto. La Società aveva dichiarato che avrebbe versato in ritardo gli stipendi. Sta di fatto che a Licola e Varcaturo l’acqua è marrone e i dati Arpac indicano che nel prelievo effettuato il 2 luglio scorso i coliformi erano 200mila totali per 100 millilitri di acqua, quando il limite di tolleranza è di 2mila.
Il depuratore di Cuma, dunque, nell’occhio del ciclone. Un impianto che mai ha funzionato a regime. Ora toccherà alla Magistratura stabilire le cause dello scempio e i responsabili di un così grave reato ambientale. Ma è chiaro che bisogna interrogarsi sul futuro dell’impianto. Rimetterlo in piedi con una seria manutenzione qualora sia possibile. Chiuderlo e pensare ad impianti più moderni nel caso l’impianto non risponda più alle esigenze del territorio. In ogni caso è necessario un intervento di bonifica dei corsi d’acqua.
Youtube da la possibilità di
vedere le acque che vengono convogliate dall’impianto di cui si è occupata anche la redazione di
Striscia la Notizia nei mesi scorsi evidenziando le carenze di una struttura al collasso.
Il disastro attuale parte dieci anni fa quando il depuratore di Cuma cominciò ad essere al centro di polemiche sul rischio ambientale che faceva correre già allora. Nel 1998, la gestione era affidata alla ditta Pianese che, guardacaso, ultimamente è stata oggetto di una sentenza relativa all’inquinamento provocato in quel periodo causa dolo gestionale.
Nel 2001 s’era già applicato un sequestro preventivo per molteplici anomalie del ciclo di trattamento dei fanghi che non erano da ritenersi episodici ma che anzi si ripetevano costantemente. Un modus operandi alla base del quale si ponevano omissioni dei responsabili quali la mancata manutenzione delle griglie che risultavano in avanzato stato di corrosione o, ancora, all’assenza di interventi necessari in fase di sollevamento e dissabbiaggio. Tutto questo avveniva in un impianto in cui funzionavano cinque vasche su quattordici.
Il Giudice ha condannato i gestori per comportamenti omissivi che hanno causato il deterioramento delle strutture e dei macchinari oltre all’inquinamento del litorale di Cuma. Strutture talmente deteriorate che, oggi, di quelle quattordici vasche ne funzionano solo due!
E si arriva quindi alla situazione attuale, con una stagione estiva compromessa e un disastro ambientale che ha delle precise responsabilità da accertare senza esitazione. Il sindaco di Pozzuoli si è già detto pronto a costituirsi parte civile contro chi ha provocato l’inquinamento del mare, ed è il caso che si accodino anche la Regione e la Provincia.
Intanto su Facebook è possibile unirsi ad un’azione legale (Disastro Flegreo), una sorta di class-action, per la richiesta di risarcimento danni per le imprese e per i privati colpiti dallo scempio.
L’ennesima vergogna campana indegna di un paese civile. E altrove non va meglio. Un litorale reso inaccessibile per mano umana, spietata e incosciente. Ennesimo scempio sulla pelle dei cittadini, ai quali è sottratta ogni anno di più la risorsa mare. All’emergenza rifiuti si somma anche quella delle acque pubbliche. Forse non tutti sanno che, in una Regione in perenne emergenza, c’è un commissario straordinario anche per questa crisi. Fino al Febbraio del 2008 lo è stato proprio lui, Antonio Bassolino. Il Commissariato per la emergenza acque e acquedotti, dovrebbe affrontare l'approvigionamento idrico e la depurazione delle acque. E invece circa l’ottanta per cento dei liquami della Campania finisce in mare senza depurazione; solo il venti per cento, quindi, passa per impianti di depurazione. Per questo Commissariato, sono stati investiti sin qui circa 50 milioni di euro, un quarto circa, sono stati già spesi.
E’ proprio il Commissariato che viene chiamato in causa dalla Hydrogest, la quale avrebbe causato la protesta dei dipendenti di Cuma perché lo stesso Commissariato di Governo non avrebbe versato i soldi che i contribuenti pagano in bolletta per la depurazione.
Gli impianti di depurazione ci sono, forse anche più di ogni altro posto in Italia, ma non funzionano. Cuma, Foce dei Regi Lagni, Marcianise, Caivano e Acerra, se va bene sono a mezzo servizio. E sulle rive vengono rilasciate acque mal depurate che fanno del litorale nord il più inquinato d’Italia. Attualmente finiscono in un tratto costiero di circa 30 km abilitato alla balneazione 500.000 mc di acque sporche e 300.000 kg di carichi inquinanti. I dati epidemiologici non lasciano spazio a equivoci e si registra un incremento dei casi di epatite e salmonella in maniera esponenziale.
Le bombe ecologiche sono tre: il litorale domitio, la costa orientale di Napoli e la foce del Sarno.
La costa del capoluogo soffoca anch’essa di veleni. 26 chilometri contaminati, da Napoli Est a Castellammare di Stabia. Un milione di cittadini e un solo depuratore, quello di San Giovanni a Teduccio, che non è a norma. Quello di Napoli Est funziona ma è una difesa troppo debole per una massa di liquami che arriva da una area urbana priva di decente sistema fognario risalente all’epoca borbonica, bontà loro. La riconversione di Napoli Est e la rinascita di Bagnoli non saranno mai un´opera possibile, finché non si salva la costa. E' impossibile pensare a porti turistici e insediamenti alberghieri dinanzi ad un mare inaccessibile.
Risulterebbe balneabile il lungomare che va da Castel dell´Ovo a Posillipo ma i flussi inquinati di questi giorni starebbero minacciando anche le acque napoletane. Fruibili anche le coste di Procida, Capri e Ischia, nonostante qualche carenza nella rete fognaria.
E laghi e fiumi non stanno meglio. Lucrino e Miseno peggiorano. Così come il Volturno, contaminato dai Regi Lagni, altra cloaca a cielo aperto.
Le oasi marine sono sempre più rare: Massa Lubrense, le coste del Cilento, quelle si da bandiera blu. Oppure si deve oltrepassando il Garigliano; metti piede nel Lazio e ti accorgi che a Formia, Gaeta e Sperlonga tutto cambia. Altra regione, altra amministrazione, altro mare. Sarà un caso?
Signori, è ufficiale: il mare non bagna Napoli e la Campania. Guardare ma non toccare, e si bagni chi può.