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Sanità
CEINGE, ricerca su una rara e grave anemia
Venerdì 10 Luglio alle ore 12:30, presso la Sala Convegni del CEINGE Biotecnologie Avanzate di Napoli, via Comunale Margherita 482 (ingresso anche dal Policlinico della Federico II in Via Pansini), saranno presentati alla stampa i risultati di un rilevante studio condotto da un’equipe di ricercatori del CEINGE, che apre nuove prospettive per la diagnosi precoce dell’anemia diseritropoietica congenita di tipo II (CDA II), una malattia appartenente ad un gruppo eterogeneo di disordini ereditari che comportano un’alterazione nella produzione di globuli rossi ed una conseguente insufficienza del numero di queste cellule nel sangue.

La ricerca, condotta dal gruppo guidato dal Prof. Achille Iolascon, Ordinario di Genetica Umana alla “Federico II” di Napoli e da anni impegnato nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base di patologie a carico del globulo rosso, ha portato alla identificazione del gene responsabile della malattia CDA II, ed è stata pubblicata recentemente (embargo scaduto il 28 giugno ore 19:00 italiane) sulla prestigiosa rivista americana Nature Genetics, ad elevato fattore di impatto, pressoché identico al fattore di impatto delle altre note riviste di settore come Science, Nature e Cell.

Lo studio si è svolto presso i laboratori del Centro di Ingegneria Genetica di Napoli (CEINGE), punta d’eccellenza a Napoli che svolge attività di ricerca nel settore delle Biotecnologie applicate alla Salute dell’Uomo, diretto dallo scienziato Prof. Franco Salvatore; inoltre la ricerca è anche frutto di una collaborazione internazionale con il gruppo del Prof. Klaus Schwarz dell’Università di Ulm (Germania).

Le anemie diseretropoietiche congenite sono malattie causate da un’inefficiente produzione di globuli rossi nel midollo osseo (eritropoiesi inefficace) e da particolari alterazioni della struttura dei loro precursori (eritroblasti). Questi difetti comportano una diminuzione in circolo di globuli rossi maturi funzionanti e spesso anche una loro distruzione (emolisi) superiore alla norma.

A seconda delle cause e di alcune caratteristiche cellulari ed istologiche, sono stati descritti tre tipi di anemie diseretropoietiche congenite (CDA di tipo I, II e III):  la CDA I è spesso associata ad anomalie scheletriche, la CDA III è estremamente rara.

La CDA di tipo II, oggetto dello studio, è la più frequente ed è caratterizzata da anemia di grado variabile, ittero intermittente, calcoli biliari, ingrossamento del fegato (epatomegalia) e della milza (splenomegalia) e accumulo di ferro nei tessuti. Alcuni soggetti affetti sono “schiavi” delle trasfusioni di sangue.

Inoltre spesso ci possono essere complicazioni derivanti dall’accumulo di ferro (emocromatosi) in vari tessuti,  quali cirrosi epatica, diabete, ipogonadismo. La CDA II viene trasmessa con una modalità autosomica recessiva: ciò significa che i genitori sono portatori sani dell’alterazione genetica ed hanno il 25% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli.

Ad oggi non esiste una cura risolutiva per la CDA II, ma solo alcune terapie volte a prevenire le complicazioni e che, ad esempio, si concentrano nell’evitare l’emocromatosi.

Sebbene la frequenza della patologia sia molto bassa (1:100.000 nati), facendola rientrare nel panel delle malattie cosiddette “rare”, si pensa che il numero di casi sia sottostimato data la difficoltà della diagnosi e la necessità di utilizzare tecniche molto specialistiche.

La diagnosi viene effettuata solo in pochi centri altamente specializzati e qualificati, come il CEINGE: parte dall’osservazione clinica e viene confermata dall’esame del midollo osseo al microscopio ottico ed elettronico, e da indagini biochimiche (elettroforesi delle proteine di membrana del globulo rosso).

Prima della scoperta del gene responsabile della malattia da parte del gruppo di Achille Iolascon, la causa dell’insorgenza della CDA II non era chiara: l’identificazione del gene candidato nella manifestazione della malattia non solo ne permette una migliore classificazione ma soprattutto apre importanti scenari per una diagnosi precoce della patologia e per fornire ai pazienti l’assistenza clinica necessaria.

Lo studio è consistito nella diagnosi e successiva analisi di 140 soggetti affetti da tale patologia provenienti da famiglie differenti ed ha mostrato che a livello del gene SEC23B, localizzato sul cromosoma 20, ognuno di essi presentava alcune mutazioni specifiche.

La caratterizzazione di queste varianti del gene SEC23B associate alla malattia pone le basi per una applicazione clinica tesa a migliorare la qualità di vita soprattutto dei pazienti che presentano quadri gravi e necessitano di continue trasfusioni.

“Il nostro gruppo – afferma Achille Iolascon - da circa 20 anni si occupa di questa malattia che, dato il particolare decorso clinico, ha stimolato il nostro interesse verso la comprensione delle basi genetiche di questa rara anemia. Ne abbiamo definito l’andamento clinico, la distribuzione geografica – più presente nelle aree mediterranee e nel Sud-Italia - la localizzazione del gene responsabile a livello della specifica area cromosomica e ed aver ora definito le alterazioni a suo carico ci soddisfa ma, allo stesso tempo, ci “obbliga”ad andare avanti ed a proseguire con la nostra ricerca. Infatti, attraverso il reclutamento di nuove diagnosi sarà possibile raccogliere preziose informazioni sugli aspetti clinici del paziente al fine di realizzare la ricostruzione della storia naturale della patologia e rendere possibile la diagnosi prenatale e la diagnosi dei portatori, fino ad oggi non possibili”.

“Per molte malattie ematologiche – afferma il profgessore Franco Salvatore, presidente e coordinatore scientifico del CEINGE -   non esiste una cura definitiva, ma per alcune sono disponibili trattamenti efficaci, soprattutto se iniziati precocemente. Pertanto una corretta diagnosi di malattia, basata su esami di laboratorio, è essenziale sia per possibili approcci terapeutici che per una corretta consulenza genetica alle famiglie a rischio. Prima si scopre una malattia, più aumentano le probabilità di trattamento: questa è la regola alla base della diagnosi precoce. Tale obiettivo può essere raggiunto aumentando il numero di diagnosi precoci, favorire un miglioramento dell’accesso ai programmi di prevenzione: tutto ciò si rifletterebbe sicuramente in un iniziale investimento economico ma, successivamente, sortirebbe una risonanza positiva in termini di riduzione della spesa del SSN”.

Si conferma dunque ancora una volta la grande attenzione che il CEINGE ha nei confronti delle malattie rare e della ricerca volta ad indagarne le cause e le relative possibilità di cura.

8/7/2009
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