Cultura
Grunewald, Picasso, Delvaux e La Crocifissione
di Elvira Brunetti
 |
Text Size |
 |
Perchè Picasso fra tante crocifissioni fu colpito proprio da quella di Grunewald? Questa domanda potrebbe interessare un pellegrino moderno, esempio emblematico di molti turisti di oggi, pronti ad affrontare lunghi e pesanti viaggi pur di avere quel contatto magico da vicino con l'opera d'arte.
Il polittico dell’altare di Issenheim a Colmar in Francia(fig.1), fu eseguito dal pittore tedesco tra il 1512 ed il 1516 per il monastero degli Antoniani, in quel momento sotto l'egida dell'arcivescovo di Magonza Alberto di Brandeburgo committente anche di Durer, Holbein e Cranach.
Il rigido centro di potere religioso si trovava lungo l'antica via romana che, passando per Basilea, antica Augusta Aurica, arrivava fino a Santiago di Compostella. I pellegrini di allora si fermavano in quel luogo famoso tra l'altro per la cura della malattia del "Fuoco di Sant'Antonio" (avvelenamento da segale cornuta).Episodi salienti infatti della vita di quest'ultimo sono rappresentati in due pannelli di accompagnamento alla pala della Crocifissione (fig. 2a e 2b).
Il polittico, formato da nove tavole, di cui solo quella centrale misura 3m x 2.70m (fig.1) trova la sua collocazione nel museo di Unterlinden (=sotto i tigli), ubicato nella piazza omonima, tipicamente alsaziana per la presenza del canale. La cappella dell'altare è inondata di luce naturale che penetra dalle vistose e colorate vetrate gotiche e da fari artificiali posti in prossimità dell'opera a integrazione luminosa della scena fortemente drammatica che si presenta agli occhi dell'osservatore. L'impressione è stupefacente. La passione finale del Cristo sembra esplodere e inondare di misticismo violento lo spazio circostante. Il corpo crocifisso ingigantito (fig.3) si afferma con prepotenza all'attenzione per il pathos tenebroso di cui è espressione. Non c'è il mascheramento della sofferenza attraverso il sorriso di accettazione del volere paterno. Non c'è il sacrificio per la remissione dei peccati. Non c'è l'abbandono del corpo nelle mani di Dio. C'è un grido di dolore che serpeggia dalle mani, le cui dita si articolano sullo sfondo nero in uno spasimo allucinante fino alle spine della testa che non formano una corona, ma s'infittiscono intorno tutto al capo quasi un groviglio di punte acuminate che penetrano nella carne straziandola. L'intero corpo di colore terreo è martoriato da spine conficcate in ogni sua parte. Uno stratagemma quest'ultimo adottato dal pittore di Magonza quale segno di distinzione da tutte le altre crocifissioni.
L'atmosfera è plumbea; i colori dominanti sono il nero ed il rosso.
Tra i personaggi rappresentati (fig.4) quello più interessante è la Maddalena. Riversa ai piedi della croce con le mani giunte ed il capo rivolto al suo bene amato sembra partecipare intensamente al dramma del momento, poichè gran parte della sua figura dai lunghi e biondi capelli fino alle pieghe della veste è intrisa di rivoli di sangue.
La sofferenza di Cristo investe e coinvolge l'umile Maddalena e si chiude sul suo dolore.
In contrapposizione al nero e al rosso il bianco pallore della morte si concentra tutto sul viso emaciato della Madonna, laddove il dolore sembra aver spento ogni segno di vita. Sorretta da San Giovanni, è ugualmente ai piedi della croce, ma non in ginocchio, poichè è senza peccato. La sua purezza è esaltata dal candore bianco della veste.
In definitiva non ci troviamo di fronte ad una tradizionale iconografia cattolica. Ciò forse è indicativo dei dubbi che lo stesso Grunewald nutriva nei riguardi dell'ortodossia ecclesiastica nel clima nascente di riforma protestante dell'epoca. Si avverte quasi la sensazione di una ribellione vissuta attraverso la sofferenza della passione. Così come la nuova religione cristiana protestava contro la vecchia.
Il capolavoro rinascimentale di Mathis Grunewald (1480-1528) costituì un esempio significativo per l'Espressionismo del secolo scorso, senza tralasciare la presenza di elementi visionari e fantastici ugualmente importanti della pittura moderna (fig.5 e fig.6).
Pablo Picasso (1881-1973) ha un modo veramente singolare di affrontare il genere storico nel senso che dopo avere assimilato la lezione dei grandi maestri del passato reinventa il soggetto piegandolo alle sue esigenze estetiche e introducendo spesso elementi biografici. Basti pensare alle numerose repliche dei suoi lavori tratti da opere di Manet, Délacroix, Velasquez, Cranach.
La contestazione e l'audacia innovativa dell'opera di Grunewald, quel corpo martirizzato, il rosso del sangue grondante sono tutti elementi che non potevano lasciare indifferente l'occhio curioso e attento di Picasso (fig.7).
Per l'artista spagnolo tuttavia la crocifissione è la manifestazione di un sacrificio umano, un rituale che ritorna nella tauromachia per diventare poi il grido di Guernica.
L'anno di esecuzione del quadro (cm 66,5xcm51.5) è il 1930 (fig.8) ed il luogo dove lo si può ammirare è il museo Picasso di Parigi. Esso appartiene al periodo surrealista della sua produzione pittorica. Pablo è innamoratissimo della bionda e semplice ventenne Maria Teresa Walter; non ha ancora incontrato l'intellettuale e bruna Dora Maar, sua compagna di vita successiva. La personalità interessante di André Breton seduce l'ormai cinquantenne pittore, dal fascino nuovo ed estroso, che conquista a sua volta gli adepti del movimento, fornendo loro un contributo espressivo vitale. Mentre molti artisti surrealisti rompono con la rappresentazione umana, Picasso è legato al figurativo, ma vuole innovare e allora scompone, a volte i seni sono da una parte e le gambe dall'altra; piega; contorce. Non abbandona mai gli attributi femminili; li reinventa. La prima distorsione espressionista è costituita dalla "Danza" del '25. Inizia la fase cosiddetta dei "Mostri di Dinard", le bagnanti legnose delle spiagge in riva al mare. Si annuncia la "Crocifissione" attraverso le teste ridotte a forma di tenaglia, quasi una voragine irta di denti (fig.9), a cui spesso si associa la figura della "Mantide", insetto dagli appetiti sessuali voraci. Sono immagini femminili sconcertanti, visioni parziali del suo universo artistico poetico ed originale, da attribuire solo in parte al difficile rapporto con la moglie Olga, dalla quale aveva avuto anche un figlio Paulo.
Numerosi sono i disegni tratti dalla Crocifissione di Grunewald. Così come proprio dai fogli di taccuino rinvenuti possiamo tentare qualche approccio di lettura di quella che è una iconografia molto complessa e che è stata oggetto di varie interpretazioni.
Innanzitutto i colori di Picasso rispetto a quelli dell'opera tedesca sono cambiati. Il nero resta, ma è limitato ad una piccola zona retrostante la croce; il bianco interessa la figura della Madonna, abbarbicata al figlio, quasi lo domina con la sua grossa testa - Picasso è mediterraneo ed il suo rapporto con la madre era molto intenso - bianca è la figura del Cristo, anche se alcune parti terminali non lo sono; il rosso è presente qua e là; il giallo è il colore dominante.
E' da notare in questo caso il primo rimando ad un dato biografico, non del suo privato; il rapporto è con una pubblicazione di quell'anno di George Bataille : "Soleil pourri".
A differenza della composizione di Grunewald classica, figurativa, in cui il pathos del momento è rappresentato prevalentemente dal corpo del Cristo, qui la figura di Gesù è ridimensionata, mentre è tutta la scena che esprime il pathos attraverso le brutali dissonanze dei toni ed il contorcersi dei personaggi.
Gialle sono le braccia della Maddalena che si levano in alto, il cui dettaglio delle mani è sovrapponibile quasi a quello del Cristo. Di fortissimo impatto è la trasformazione che il genio di Picasso fa delle parti corporali della Maddalena. Partendo dalla curva iniziata da Grunewald che la rappresenta piegata all'indietro, egli contorce ulteriormente le sue membra, piegando la testa fin sulle natiche (fig.10) e produce come effetto visivo quella forma finale semplicissima, ma che si origina da un percorso logico-strategico. La testa con i seni ed il naso, entrambi simboli fallici, si abbassa confondendosi con quella del soldato che gioca a dadi. Così il dolore straziante trasforma il suo corpo in un disco solare, che appare alla destra del crocifisso (v. foglio di taccuino). La parte esterna gialla rappresenta le natiche, mentre al centro le due masse rosse corrispondono alla testa e ai seni. Sembra un gioco, un puzzle di forme smembrate e variopinte dai colori vivi e accesi. le due piccole croci dei ladroni, una gialla sul fondo rosso a destra, l'altra rossa sul fondo azzurro in basso a sinistra sono lontane dai corpi che si possono notare con le piccole teste gialle recline verso il margine inferiore sinistro del quadro.
L’elemento autobiografico sorprendente è quell’ovale (fig.11) che racchiude una testa di fronte al disco solare della Maddalena: è Maria Teresa. Il dualismo luna-sole (fig.12) è presente anche in un foglio di taccuino. In basso vicino ai simboli delle due donne ne appare un terzo bianco e azzurro: è la mantide.
Il forte interesse di Picasso per il Primitivo ed il suo anticlericalismo quasi blasfema lo inducono ad una trattazione del tema sotto una veste di violenza animalesca, allineandosi all'automatismo artistico, vera e propria bandiera del movimento surrealista.
Non è un caso che proprio negli anni ’30, ma dopo la “Crocifissione” di Picasso, un altro pittore, vicino ai Surrealisti, sia mosso dallo stesso desiderio, cioè quello di affrontare il tema storico per eccellenza: la passione di Cristo. Nessun tema più di questo permette agli artisti di esprimere una loro ossessione frequente: il mistero della vita e della morte. Ed è interessante il modo in cui tale approccio avviene.
Paul Delvaux (1897-1994), l’autore della terza crocifissione qui in esame, appartiene alla cultura artistica belga. Venuto in contatto in quegli anni con la pittura di De Chirico e Magritte, suoi grandi ispiratori, in questo quadro attinge soprattutto alla fonte di James Ensor (1860-1949), suo connazionale. Il famoso pittore di Ostenda aveva popolato il suo universo pittorico, già pieno di maschere anche di scheletri per completare quel senso del grottesco di antica fama fiamminga.
Già nel 1939 con “Nocturnes”(fig.13), la crocifissione precedente, Delvaux crea una scena in cui tutti gli attori sono scheletri inondati da una luce lunare, mentre un bagliore solare illumina le figure di Gesù e di Maria. Il biancore dei due scheletri protagonisti contrasta con il nero tenebroso degli altri, elemento in perfetta sintonia con la rappresentazione picassiana.
Negli anni ’50 Delvaux ritorna sul tema con la deposizione di Cristo, anche nel quadro del 1952 Gesù è ancora uno scheletro.
A chiusura di un percorso che lo vede quindi molto impegnato nella elaborazione del tema, il pittore belga esegue l’opera, sua summa espressiva.
L”Ecce Homo” (1957), questo è il titolo, che l’autore ha scelto, si trova nel museo di Anversa e misura 3m x 2m. Ci troviamo quindi di fronte ad un grande quadro (fig.14), rispetto ai lavori di Picasso e Grunewald e senza l’ombra del dubbio di fronte ad un Ecce Homo nuovo, moderno; anzi il titolo indica qualcosa che noi stentiamo a riconoscere. In quanto il Cristo crocifisso non manifesta gravi segni della passione. E’ un corpo inchiodato, ma senza ferite sanguinose. L’operazione di semplificazione moderna, leggibile nel Cristo stilizzato di Picasso qui va oltre la realtà. Ricompare l’iconografia classica di Grunewald, ma senza attributi di sofferenza fisica, vicevera, come traspare dal quadro del museo parigino, è la realizzazione della scena che trasmette l’allucinante apocalisse del momento.
Paul Delvaux, considerato dalla critica un artista surrealista tardivo, bene esprime il concetto di Magritte: “Dal momento che un nuovo giorno è nato, quello che cambia l’ordine delle cose…”Se osserviamo con attenzione la rappresentazione, vediamo che il corpo di Gesù e gli scheletri sono reali, ebbene solo la combinazione degli stessi ed il contesto d’inserimento sono strani, quasi onirici. La tecnica è precisa e tradizionale, ma l’atmosfera è surreale al di fuori del tempo. Il paesaggio anche qui come in “Nocturnes” è lunare. De Chirico è presente nella sensazione del deserto che si avverte nonostante la folla di scheletri vivi, perché urlano e si dimenano. La palizzata di legno tutta intorno, visibile già negli schizzi degli anni ’30, sembra appartenere ad un campo di concentramento. C’è forse un’allusione a Gesù ebreo? In tale ottica si comprendono anche la suddivisione in scomparti ed il tipo particolare di luci accese. E’ notte. La condanna a morte decretata colpisce tutti, ma sulla croce c’è un uomo vivo, gli altri sono morti e senza speranza, perché Gesù risorge e la sua vita appartiene ad una dimensione senza limiti, atemporale, come indica lo spirito di tutta la scena. E’ l’eterno.