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Sanità
Una favola per alleviare il dolore
di Alessandra Giordano
Nel suo salotto scientifico di Parco Margherita, lo psicologo Michele Rossena, ama organizzare incontri con persone speciali che abbiano storie di vita da raccontare, al di là della propria professionalità.

Venerdì pomeriggio è stata la volta di Paolo Siani, direttore del Dipartimento materno-infantile dell’unità operativa complessa di pediatria al Cardarelli, presentato dal giornalista Mario Caruso.
Immenso ospedale di “frontiera”, il Cardarelli, nel quale, però, la passione e l’amore per i bambini del primario, sono riusciti a trasformare le asettiche stanze di degenza e le dolorose attese, in posti più umani e adatti all’età dei pazienti e all’ansia delle mamme.

“Per un buon rapporto tra mente e corpo c’è bisogno di un medico di base bravo, che sappia conciliare la tecnica con l’umanità”, ha esordito Caruso, “Paolo Siani c’è riuscito”.
Aiutato da una serie di diapositive esplicative ha mostrato al folto pubblico la trasformazione del suo reparto, avvenuta da tre anni a questa parte.

Si comincia dall’ingresso dove tutto è colorato e “a portata” di bambino: solo una bilancia denuncia la visita clinica, però, tutt’intorno, non c’è traccia di strumento “tecnico”. Al nuovo paziente viene subito fatto un regalo, un libro intitolato Cioccolato in fiale. Un grande albero disegnato sulla parete dà il benvenuto al paziente e lo invita ad entrare nel bosco e a costruirsi da solo una favola. Nel corridoio altri libri e un arcobaleno, animali fantastici, elefanti col raffreddore, simpatiche scimmie sorridenti appese ai rami, introducono mamme e bambini al cospetto di Re Dottore, un leone con tanto di fonendoscopio al collo e camice immacolato, pronto a prendere per mano il bambino e “auscultarlo”.

“Questa di ascoltare e toccare il paziente è un’operazione che non si fa più – avverte Siani – ora abbiamo solo attrezzature fredde; invece il calore di una mano è fondamentale per un buon rapporto medico-paziente. Il bambino è già provato e sconvolto per la novità di trovarsi in un posto non suo, almeno deve avere la sensazione di essere circondato da affetto”. Ma chi insegna ai medici questo tipo di approccio sensibile, l’accoglienza affettuosa? Chi ricorda al malato i suoi innegabili diritti?

Sarebbe indispensabile una formazione specifica per gli operatori sanitari rivolta esclusivamente a trovare il giusto equilibrio tra un distacco professionale e affettuosa partecipazione al problema.
“Per ogni piccolo paziente c’è il conforto di una giovane psicologa e una maestra, sempre vicino a lui”. Ma forse sarebbe opportuno avere un tale sostegno anche per la mamma… “Le mamme dovrebbero poter cucinare – suggerisce Siani – non solo per socializzare tra loro, ma perché così il bambino ritrovi almeno nel cibo il sapore di casa”. Altro punto nodale per rendere l’ospedale “a misura di bambino” sono gli orari: perché le terapie devono cominciare alle sei di mattina? Ci sono i turni degli infermieri? Forse anche questi andrebbero cambiati.

Il reparto è stato, comunque, attrezzato di tutto: dalle televisioni in camera ai dvd, dai computer con rete wireless ai telefonini, grazie alla generosità di associazioni di volontariato, come il Rotary e l’Inner Wheel. Un parco giochi di grandi dimensioni è stato allestito nella pineta che circonda l’edificio, previa pulizia e derattizzazione.

Una stretta collaborazione esistente tra le scuole dei dintorni permette al bambino ospedalizzato di continuare a studiare anche nel periodo della malattia, sia essa lunga o breve. E sono le maestre, per la verità, che raccolgono le lamentele o le piccole confessioni poiché sono quelle che spendono più tempo con i piccoli pazienti. In un ospedale più “umano”, il bambino, poi, dovrebbe avere anche i suoi amici… E, d’accordo con le parole del relatore s’è detta anche la dottoressa Maria Luisa Cimaglia, pediatra e neurochirurgo di un altro ospedale cittadino, il Santobono.

Da solo sei mesi, sempre con la finalità di cercare di recuperare una maggiore fiducia e comunicazione tra i piccoli pazienti (ma l’età definita pediatrica arriva fino a 18 anni), il personale medico e paramedico e gli stessi luoghi di degenza, è stata istituita la Pet therapy. Grazie ad un’idea della dottoressa Amelia Stinchi, biologa e presidente dall’associazione Aitaca (terapie e attività con animali) alcuni cani ben addestrati e vaccinati fanno compagnia soprattutto a coloro che sono costretti, perché affetti da talassemia mediterranea, a lunghe attese tra un prelievo e una trasfusione.

28/3/2009
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