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Cronaca
Napoli, terra del “nulla si tocchi”
di Luciano Scateni
Vesuvio e scienza. Lo spartiacque tra catastrofismo e rassicurazione è netto e costante. C’è chi prevede estese devastazioni e vittime a centinaia di migliaia e chi invita alla calma, convinto di prevenire l’evento eruzione e smentire i profeti di sventure. In questi giorni nuove contrapposizioni socio scientifiche hanno confermato il bello, si fa per dire, delle opinioni sul tema in conflitto tra loro. Più in generale: un caso, uno solo, che metta d’accordo teorie e prassi contrastanti, non c’è. A osservare l’acrimonia di molte contese, si rinnova la certezza della loro infertilità quasi su ogni tema dello scibile.

Così sono le battaglie tra animalisti e giapponesi fiocinatori senza freno di balene, assassini a colpi di mazza di giovani foche, fra tutori dell’aria pura e inquinatori, disboscatori dell’Amazzonia e ambientalisti, difensori della vita dalla pena di morte e forcaioli, liberisti sfrenati e nostalgici di Marx, fan della legge elettorale com’è e promotori fantasiosi di formule alternative, ispirate da sistemi vicini e lontani. Oltre ogni ragionevole dubbio, come chiedono i giudici alle giurie nei telefilm di Perry Mason, non c’ è materia al mondo esente da dibattiti accesi e dispute forsennate che generano paralisi da stallo.

Volando più basso e dalle nostre parti, abbiamo consumato senza costrutto l’intero dopoguerra e questa prima tranche del terzo millennio in litigi sul che fare della trama urbana di quella Napoli che langue nel disagio di case brutte e fatiscenti, vicoli neppure più folcloristici, desolante assenza di attività produttive e insulti inaccettabili alle cose di interesse architettonico, storico o artistico protette, così male da portarle a rovina. Le eccezioni sono poche e poco durature. Napoli vincente con il terziario o polo meridionale dell’industria leggera, intelligente, innovativa, o luogo di autosufficienza economica in quanto città d’arte, sito attrattore di turismo per suggestioni della natura e clima temperato? Né l’una, né l’altra e neppure l’altra ancora.

Con l’azzeramento dell’Ilva e delle industrie dell’aria orientale, in pratica con la scomparsa del tessuto produttivo del territorio Napoli ha incontrato il peggio di una sua travagliata storia e ogni promessa di alternative si è arenata nell’immobilismo, segnando presente e futuro di vecchie e nuove generazioni con l’esclusione dal sistema Paese, vincente invece da Firenze in su, dalla pianura padana al Veneto. Il caso dei nostri quartieri spagnoli è uno dei test più indicativi della confusione ideologica tra opposti. Da oltre trent’anni c’è chi indirizza anatemi socio-economici a chiunque proponga di lasciare in piedi, dei Quartieri Spagnoli, le cinque o sei cose degne di conservazione e di utilizzare gli spazi tra il centro e la collina del Vomero per opere di utilità collettiva oltre che moderna. I teorici del “nulla si tocchi” hanno finora prevalso perché alleati delle inerzie di chi se non fa non sbaglia.

Converrebbe mandare in giro nell’Europa decisionista architetti, geografi della città, sociologi e politici napoletani: scoprirebbero il bello dell’accostamento elegante e attento, rispettoso, tra antico, vecchio, nuovo e moderno che contribuisce al successo internazionale di Parigi e Barcellona, Berlino, eccetera. Buon viaggio.
17/11/2007
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