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Cronaca
Una Bagnoli già pronta? Parco Fundidora
A Monterrey, Nuevo Leòn, Mexico
di Alessandra Giordano
Mentre viene firmata in Regione l’ennesima intesa per un parco tecnologico con un cantiere che verrà finalmente (ci crediamo?) aperto entro il 2008 con uno stanziamento di 160 milioni, ecco che dall’altra parte del mondo e con le stesse condizioni hanno già realizzato il progetto.

Immersa nel deserto, circondata da montagne, le costruzioni basse e nascoste in brevi tratti di verde: così Monterrey si presenta al turista per caso. Già, per caso, perché è difficile scegliere questa destinazione per un viaggio di piacere. Solo qualcosa di nuovo potrebbe portarci laggiù, poiché Monterrey non è una città d’arte, non è una città attraente, soprattutto non è conosciuta nel panorama dei viaggi più classici. E' una città che offre ben poco, ex area industrializzata, e poi dismessa. In collina, lontana dal mare. Non è latina, non è americana. Così com'è, è un miscuglio inscindibile di costruzioni diverse (a volte assomiglia a L’Avana più disastrata, a volte, alzando gli occhi, si scopre un palazzo luccicante di vetro che potrebbe stare benissimo nella Fifth Ave.di Manhattan) così come diversa è l’indole stessa dei messicani. Il sombrero è rimasto solo per accontentare i turisti, mentre i driver del luogo sempre più smaliziati, guidano veloci, all’americana.

Non ci sono grattacieli, non ci sono bei negozi, non ci sono monumenti e non c’è storia se non quella strettamente legata alle fabbriche, alla rivoluzione, all’emigrazione per la ricerca di un nuovo lavoro e una diversa qualità di vita.
Dal piattismo del panorama – che di notte sembra un cielo capovolto costellata com’è di miriadi di piccole luci sparse nel nero del territorio ondulato - emergono solo ancora pezzi desueti di altoforni, capannoni e svettanti torri che bucano il cielo grigio. L’aria umida, impregnata degli odori tipici dei paesi tropicali, arriva a folate profumate di carrube, eucalipto e tabacco, che coprono lo smog del traffico intenso delle highway supertecnologiche, strade sopraelevate e ponti arditi in struttura metallica a veloce scorrimento. Al dinamismo tipico americano si contrappone spesso la classica sonnacchiosa noncuranza messicana. La popolazione non è bella, è tarchiata, di colorito giallastro spesso sovrappeso e malvestita…

Questo è quello che Monterrey non è. Per contro, c’è la seconda piazza più grande del mondo, la Gran Plaza che ha un’estensione di 40 ettari e la Plaza Saragoza dominata al centro dal Faro del Commercio, alto 70 metri. E ora, grazie alla lungimiranza del Governatore del Nuevo Leòn, tal Josè Natividad Gonzales Parras, Monterrey è diventata la città del Parco Fundidora.

Velocemente, nel giro di pochi anni, dal 2004, i messicani hanno creato, su una superficie di circa 600.000 metriquadri, un tempo sede di uno stabilimento siderurgico e praticamente dal nulla - dal ferro arrugginito, dalle lamiere accartocciate, dai tornelli inservibili, dai binari osceni, dagli altoforni ansiogeni, dalla polvere e dai detriti industriali – una vera e propria cittadella-modello con tanto di viali alberati, un’arena della capacità di 16.000 posti, piste di atletica e attrezzature sportive, parco giochi per bambini, un museo di arte moderna e contemporanea, spazi per concerti, centro congressi, ristoranti e bar finanche all’interno delle strutture industriali; portando l’acqua dove non c’era, deviando il corso del fiume, il loro rio Santa Caterina, creando canali navigabili, fontane, giochi di vapori, laghetti, pasei tra i prati e panchine e sistemando i pezzi delle fabbriche a decoro di strade e slarghi, un tubo qua, un tornio là. Una vera e propria operazione di riciclaggio. Un vero e proprio museo en plei air di archeologia industriale.
Quello che era una fucina di denaro e posti di lavoro, parliamo degli anni 50-60, ora è diventato percorso culturale di storia recente di un boom economico troppo presto crollato.

In particolare, all’ingresso dell’altoforno n.3 dell’antica fabbrica, trasformato in centro interattivo di conoscenza, grazie ad un equipe multidisciplinaria che vanta grande esperienza in questo tipo di spazi e che fa capo ad un’associazione di Vancouver in Canada, si legge: “la nostra missione è quella di educare e formare nei giovani la scienza e la tecnologia del futuro, celebrare il nostro passato industriale e offrire nuove esperienze di intrattenimento a tutti. L’”italsider” messicana emoziona, ma soprattutto sorprende.
La nostra Italsider, Bagnoli, ha avuto una sorte identica e, nonostante le firme, le parole, le intese e i progetti (è di ieri la notizia di un’ennesima intesa firmata in Regione tra questa, il Comune, la Provincia, la Camera di Commercio, Bagnolifutura per lavori che dovrebbero partire il prossimo anno con uno stanziamento previsto di 160 milioni di euro) è ancora là: l’erbaccia la fa da padrona, il paesaggio è deprimente.
9/11/2007
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