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Necrologie
Nicola Pugliese il marinaio mancato
nella grande famiglia del "Roma"
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 06.04.2022)
Bompiani ripropone in questi giorni "Malacqua" di Nicola Pugliese, il suo romanzo fantastico, "quattro giorni di pioggia nella città di Napoli in attesa che si verifichi un Accadimento straordinario".

Lo ricordo bene Nicola in quel "Roma" diretto da Alberto Giovannini al terzo piano della Flotta Lauro in via Marina, un edificio di acciaio, vetro e cartone compresso, quando erano redattori-capo Ludovico Greco, Lulù, e poi Carmine De Luise.

La redazione del "Roma" era una serie di stanze con un lungo corridoio. Nicola si affacciava sull'uscio delle stanze e ci canzonava: "Lavorate, schiavi".

Al giornale lo aveva inchiodato il padre, Antonio Pugliese, giornalista di razza, polemista vibrante, uomo affascinante. Nicola era alto, dinoccolato, con gli occhiali e i capelli neri fluenti, un baffo pesante, lavorava senza esibire la passione per il mestiere di giornalista, ma mostrando una accertata pigrizia, accentuata dal modo di camminare lento e ondeggiante.

Noi eravamo una banda di giovani giornalisti rampanti, Giovanni Romei era il patriarca della cronaca, Bruno Stocchetti un capo-cronista scattante, Antonio Scotti il capo dello sport, nella redazione degli "interni" Vittorio Salabelle si portava in un pentolino la cena da casa, Nanno Canessa arrivava in smoking le sere in cui andava al San Carlo per le sue cronache liriche, Sandro Castronuovo era un giornalista dalla scrittura raffinata, e c'erano Aldo Gianfreda, che tutti definivamo il pupo della Rinascente per la sua figura alta e dritta, e Gino Grassi piccolo ed elettrico.

Il giornale allora era passione, le nostre vite trascorrevano al giornale, un mondo fantastico, tutto un ticchettìo, quello nervoso, pesante e insistito delle macchine per scrivere e il ticchettìo più leggero, quasi un fruscio, delle linotypes che dal piombo fuso traevano le righe di stampa. I vecchi tipografi ce ne lasciavano sempre una rovente in mano perché, buggerati, gli pagassimo il caffè.

Nicola era estraneo a quell'incanto. Trattenuto dal padre al giornale, aveva dovuto rinunciare alle sue passioni più autentiche, il teatro che lo aveva fulminato, giovanissimo, dopo avere assistito al Mercadante a una commedia di Ionesco interpretata da Carmelo Bene, e una vita sul mare, avrebbe voluto che il padre lo avesse fatto imbarcare su una delle navi della Flotta Lauro.

Nicola si portava dentro un broncio romantico per non avere potuto scegliere la sua vita su un palcoscenico o su una nave. Al calcio aveva giocato da mezz'ala nella "Salvator Rosa", la squadra di Materdei nella quale giocò fianco a fianco con Franco Cordova, "Ciccio", il fantasista del pallone che ha giocato in serie A con l'Inter, la Roma e la Lazio. Quand´erano ragazzi, abitavano nello stesso quartiere.

Con Nicola nacquero un'amicizia e un affetto spontanei. Nicola lavorava nello stanzino della redazione Spettacoli tra Geppino Di Bianco, l'inventore delle cronache televisive, autore di un indimenticabile "servizio" sulla morte di Tenco, e Sergio Lori, elettrico critico cinematografico su gambe lunghe e con un naso a becco, si diceva che avesse suggerito a Sofia Scicolone il nome d'arte di Sophia Loren che echeggiava il suo cognome.

Concluso il lavoro al giornale andavamo a casa di Nicola Pugliese in via Petrarca per interminabili partite a poker e non capii mai quali fossero l'abilità, la bravura e il trucco di Nicola che "chiudeva" puntualmente sfoderando invidiabili "scale reali".

Allora il "Roma" era una vera e propria famiglia, amicizie e affetti duraturi anche con i tipografi, straordinari compagni di lavoro. Sbocciavano i talenti di Ciccio Marolda, Adriano Cisternino, Carlo Franco, Marisa Figurato, Gianni Nicolini, Enzo Perez scriveva con la mano mancina ed era il sovrano incontrastato dei reporter, aveva un archivio di cronaca nera al quale si rifacevano persino i carabinieri. Dal "Roma" molti di noi spiccavamo il volo verso i quotidiani italiani più importanti perché il "Roma" era una grande scuola di giornalismo.

Eravamo una "squadra" rapiti da un mestiere affascinante e Nicola ci canzonava, "lavorate, schiavi". Una sera entrò nella redazione sportiva dove lavoravo e mi portò un dattiloscritto. "Leggi - mi disse - e fammi sapere". Lessi un capolavoro a parte l'inizio che mi sembrò un po' lento. Glielo dissi, ma aggiunsi: "Nicola, è un capolavoro, come hai fatto?". Einaudi pubblicò "Malacqua" che sul momento non ebbe il successo che meritava. Nicola pagò il ruolo periferico di Napoli, in tutti i sensi, e l´estraneità a ogni "giro" opportuno che, col carattere che aveva, non avrebbe mai frequentato inserendovisi al solo scopo di lanciare il libro.

Fu una nuova ferita dopo il palcoscenico e la nave perduti? No, non fu una ferita. Nicola se ne fregava del successo. Se ne fregò sinceramente, non per il suo carattere indolente. Un giorno mi disse: "Così dovevano andare le cose, l´affermazione dei libri è quasi sempre inversamente proporzionale al loro valore, non si spiegherebbe altrimenti il successo di autentici polpettoni». Dopo molti anni, "Malacqua" è stato rivalutato e, oggi, è considerato uno dei romanzi più belli e veri di Napoli, da mettere accanto a "Ferito a morte" di Raffaele La Capria.

Il libro fu pubblicato da Einaudi l'anno dopo che Nicola ebbe una figlia, Alessandra che per tutti noi fu "Perzechella", come lui la chiamava adorandola.

Due donne lo resero felici, la moglie, Marie Barthelemy Conçalves Pinto do Sacramento Gotti, "un po´ francese, un po´ italiana, un po´ brasiliana", e "Perzechella". Marie era una donna magnifica, forte di un ottimismo sincero, ironica da essere una compagna sempre vivace e con un viso che esprimeva la calda bellezza delle donne dei tropici. Chiamava Nicola "il cucciolone".
6/4/2022
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