Approfondimenti
Quando c’era il Naples e la città cambiava volto
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 04.05.2020)
 |
Text Size |
 |
I primi anni del pallone a Napoli li abbiamo sentiti raccontare dai giornalisti che li avevano vissuti e avevano giocato nelle primissime squadre napoletane di calcio e altri ne furono i dirigenti. La maggior parte delle avventure antiche l’abbiamo ascoltata da Ernesto Bruschini, detto Ninò, giornalista e uno dei quattro fratelli Bruschini che giocarono nel Naples e nell’Internaples, le squadre primigenie del football napoletano. Da Carlo Di Nanni, ingegnere e giornalista, ma anche arbitro di calcio e dirigente federale, famoso per i suoi anatemi non sempre scherzosi.
Da Pio Nardacchione. Da Arturo Collana, grande e grosso, rosso di capelli, detto “lo sceriffo”, che fu il John Wayne del giornalismo sportivo napoletano per la sua possanza fisica.
Da Mario Argento, medico, calciatore e polisportivo, giornalista, che fu tra i fondatori del Naples.
Da Mimì Farina, piccolo, con gli occhiali e precisissimo narratore di calcio.
Dall’avvocato Ugo Irace, capo dei servizi sportivi del “Roma”, sempre sul punto d’essere licenziato da Lauro quando il Comandante era contemporaneamente l’editore del giornale e il presidente del Napoli e non gradiva le critiche del giornalista.
Da Franco Scandone, figlio di Felice Scandone, il padre fu uno dei primissimi giornalisti sportivi napoletani: quando lavorava al “Mezzogiorno sportivo”, negli anni Trenta, soleva affacciarsi la domenica pomeriggio dai balconi della redazione annunciando ai tifosi radunati nella strada sottostante le notizie sulla partita del Napoli man mano che l’”inviato” le dettava agli stenografi. A Napoli si pubblicava “Tutti gli Sports”, un rotocalco tra i primi in Italia.
Ed ecco la storia, la favola, la sorpresa di un gioco nuovo, cominciando da James Potts, impiegato a Napoli della Cunard Line, che gettò le basi di una squadra che non fosse più una formazione occasionale di nobili e commercianti. Si intendeva di navi e di calcio. Ah, mister Potts, che bella idea e che travaglio nelle infinite riunioni al terzo piano di via Sanseverino 43, l’abitazione dell’impiegato britannico al quartiere Pendino, per arrivare a fondare il Naples Cricket and Football Club, denominazione ormai standardizzata, di chiara matrice inglese, con cui venivano battezzate le squadre di calcio che nascevano in Italia.
Ma, vivaddio, anche se in inglese, compariva finalmente il nome della città. E anche per i colori delle maglie, a strisce blu e celeste, il blu del mare e il celeste del cielo, rientravamo nel giusto cromatismo partenopeo. Pantaloncini neri.
Fu verso la fine del 1904 che avemmo questa prima squadra napoletana nelle intenzioni, nei termini e nei colori più appropriati.
Il Naples. Mister Potts e mister Hector Bayon di origini genovesi coinvolsero nel progetto alcuni entusiasti napoletani, in testa Ninò Bruschini, con abitazione alla Pignasecca, giornalista e calciatore, e suo fratello Carlo, poi Michele e Paolo Scarfoglio, figli di Edoardo, fondatore de “Il Mattino” nel 1892, e di Matilde Serao, l’ingegnere Amedeo Salsi, cui fu data la presidenza del club, il signor Catterina e Michele Conforti che si prestò a giocare da portiere con una sciccheria tutta personale. Si portava al campo una sedia per accomodarcisi quando l’azione di gioco era lontana dalla sua porta.
I fratelli Scarfoglio, che erano stati in collegio in Svizzera dove avevano appreso tutto sul calcio, facevano un po’ i maestri del gioco. Michele aveva il vezzo di giocare con un fazzoletto annodato in testa come usavano i muratori.
Ma ne sapevano molto anche i fratelli Bruschini eruditi sul gioco del calcio da Carlo Garozzo, di origini italo-egiziane, giunto dal Cairo per frequentare l’Istituto di belle arti di Napoli, soprannominato “capitone”. Al Cairo aveva appreso dagli inglesi regole e tattiche del football.
Ninò Bruschini, poi, era velocissimo sul campo. Nell’impresa fu coinvolto l’ingegnere Emilio Anatra, sportivo notissimo, yacht-man e pianista, proprietario di uno yacht favoloso, il “Caprice”, di venti tonnellate che non aveva rivali in tutte le regate nel Mediterraneo.
I due fratelli Scarfoglio si dannavano per far pubblicare notizie di calcio sul giornale fondato dal padre che, proprietario di uno yacht, dava spazio solo alla vela e agli sport olimpici.
Fu perciò che Amedeo Salsi fondò un giornale, “La Rassegna Sportiva”, dedicato in gran parte al calcio e, naturalmente, al Naples.
Mister Potts volle un campo tutto suo, rifiutando il Campo di Marte, e scelse un terreno di via Campegna, a Fuorigrotta, dove fece realizzare un campo munito di porte e reti e, novità assoluta, un casotto di legno che fungesse da spogliatoio.
Allo “stadio” di via Campegna i giocatori arrivavano in bicicletta. Quelli che si accompagnavano ad amici e fidanzate vi giungevano in carrozza.
Dopo gli allenamenti, la squadra si rifocillava nella trattoria di un contadino della zona che inalberava una insegna modesta: “Ntunino”.
Tra il pubblico degli allenamenti, notevole era la presenza femminile, sorelle e fidanzate dei calciatori: le signorine Bruschini, le sorelle Zinzaro e Reichlin, le sette sorelle Squillace figlie di un fabbricante di guanti. Un loro fratello fu il primo invasore storico del calcio a Napoli: entrò in campo a minacciò l’arbitro brandendogli sotto il naso il bastone da passeggio col pomo d’avorio.
Il Naples sfoderò una “rosa” europea di cui fecero parte tre tedeschi, uno svizzero, due belgi, quattro inglesi, due robusti danesi, Thortenson e Hansen, quest’ultimo soprannominato “’o diavolo”, tutti residenti a Napoli, città cosmopolita, più i napoletani Conforti, Bruschini, Scarfoglio, Del Pezzo, Giannini, Valle.
Giocò anche mister Potts. Colonna della difesa fu l’inglese Jackson, alto due metri. In attacco il centravanti Eastwood era irresistibile nel dribbling, ma dopo una trasferta della squadra a Roma, innamoratosi delle bellezze della capitale, rimase là abbandonando il Naples.
Avversari del Naples erano le formazioni dei marinai inglesi delle navi della Cunard Line e della White Star Line dai quali c’era molto da apprendere. Debutto accertato in un campionato campano nel 1910. Risultati introvabili.
Ma il 1910 fu un anno di avvenimenti decisamente superiori.
Il 9 maggio fu possibile vedere, anche nel cielo di Napoli, il passaggio della cometa Halley, la più famosa e brillante delle comete. L’ultimo passaggio era stato registrato nel 1835. Il successivo era previsto il 28 luglio 2061. Appena un anno prima, nel cielo di Napoli, s’era potuto vedere il primo dirigibile.
Completato a Bagnoli l’impianto siderurgico dell’Ilva (19 giugno), le ciminiere avrebbero cominciato a fumare l’anno dopo.
In gennaio, un uragano investì il golfo e le onde portarono via un tratto di via Caracciolo (25 gennaio). Avemmo il nuovo Politeama (7 novembre) in cemento armato, edificato sul teatro precedente raso al suolo per farne uno più bello con due file di palchi, un lampadario di tremila candele, duecento lampadine attorno al soffitto.
Torniamo al calcio. Il presidente Salsi mise in palio una Coppa fra le squadre cittadine che erano proliferate: la Sportiva Napoli, colori rossoneri, presidente Carlo Fermariello, finanziata dai Matacena, osti molto noti; la Juventus del Vasto a strisce biancorosse fondata dai marchesi Paduli, giocatori a loro volta, con l’ingegnere Guido Cavalli in porta che poi passerà al Naples; l’Elios con maglia a scacchi bianconeri fondata da un colonnello d’artiglieria; l’Audace, maglia a scacchi bianco-verdi che praticava anche il podismo; l’Open Air che ebbe vita breve; persino una squadra di studenti del Liceo Umberto.
La Coppa la vinse il Naples. L’aveva messa in palio il suo presidente ed era giusto conquistarla. Il Naples vinse e si preparò a più ardui cimenti e il più arduo fu il confronto con l’equipaggio della nave inglese “Arabik”, marinai e soprattutto provetti calciatori che, durante la sosta a Genova, le avevano suonate ai campioni liguri per 3-0.
Solo cinquanta furono gli spettatori attorno al terreno di via Campegna, ma prodigiosa impresa dei blu-celeste che batterono la formazione britannica (3-2) con i gol dell’inglese McPherson, di Michele Scarfoglio e del belga Chaudoir, alto due metri.
La notizia della vittoria fruttò al Naples una immediata fama, confermata dall’invito a partecipare alla Coppa Lipton, un trofeo d’argento alto un metro messo in palio a Palermo da sir Thomas Lipton, il famoso “re del thè”, inesauribile navigatore a bordo del suo veliero, l’Erin, e appassionato di calcio.
Per la prima volta il Naples andò in trasferta. Raggiunse Palermo in nave.
Il trofeo fu disputato in una sola partita contro il Palermo Football and Cricket Club, nato dall’Anglo Panormitan, e si giocò su un terreno di proprietà del console Withaker, il fondatore del calcio a Palermo. Dalla città siciliana arrivò a Napoli la prima “radiocronaca” del calcio, però via telefono. Un appassionato che seguì il Naples dette notizie sulla partita ogni quarto d’ora chiamando il numero telefonico 358 di casa Bruschini dove convenne una piccola folla di primissimi tifosi napoletani.
Le notizie furono esaltanti perché il Naples si aggiudicò la Coppa battendo la squadra siciliana (2-1) che era data favorita.
Questo secondo successo, per giunta “in trasferta”, dopo quello sugli inglesi della nave “Arabik”, portò alle stelle il nome del Naples.
Questo fu l’inizio ufficiale della favola del calcio a Napoli e il Naples fu a sua volta una favola per i risvolti romantici del tempo dei pionieri. Il Naples lasciò il memorabile ricordo di una partita giocata e vinta contro la Juventus a Roma (3-1) subito dopo la fine della prima guerra mondiale.
In quella formazione giocò in porta Felice Scandone che si aggiunse ai tanti giornalisti-calciatori del tempo pionieristico, i fratelli Bruschini, i due fratelli Scarfoglio, Alfredo Reichlin, Mario Argento.
Scandone fu un grande giornalista sportivo, caduto in guerra, nel 1940, mentre sorvolava Tobruk sul suo aereo militare, abbattuto dagli inglesi.
Mario Argento fu medico e polisportivo, ginnasta, schermidore, pugile, giocatore e arbitro di calcio, poi giornalista di vaglia.
A quei tempi, Napoli era un problema nazionale. Il sindaco Nicola Amore si batteva per una città moderna. Il sistema fognario, l’acquedotto e i densi quartieri popolari erano i problemi più urgenti da risolvere.
C’era stato il colera del 1884 che aveva fatto settemila vittime. Agostino Depretis, un politico pavese, presidente del Consiglio, urlò: “Bisogna fare lo sventramento”. Napoli fu sventrata.
A ricordo dell’inizio della bonifica dei quartieri Pendino, Porto e Mercato, che sarebbero stati violentemente sconvolti, il sindaco Nicola Amore fece apporre una lapide in marmo in Piazza della Borsa: “Addì 15 giugno 1889 Nicola Amore Sindaco di Napoli pose la Prima Pietra pel rinnovamento della Città qui nel vecchio Mercato di Porto trasformato poi nella grande Piazza della Borsa”. Intervennero il re Umberto I con la regina Margherita perché finalmente si dava il via al progetto di “squarciare la zona malsana traversandola nella parte più lurida con una grande e vasta arteria di aria e di luce, demolire quanto vi è di più incompatibile e ricostruire sulle aree demolite”.
La grande e vasta arteria d’aria e di luce fu il Rettifilo, largo 27 metri. Nel progetto si buttarono imprenditori, banche, istituti finanziari e immobiliari del Nord che diedero vita alla Società del Risanamento. Risanando, fu anche una gigantesca speculazione.
Architetto e urbanista, di padre scozzese e di madre indiana, ma napoletano di nascita (12 marzo 1851), Lamont Young fu il grande sognatore e il grande visionario che immaginò e progettò una Napoli fantastica. A Villa Ebe, la villa straordinaria che costruì in cima al Monte Echia, chino sui fogli da disegno schizzava progetti che avrebbero fatto di Napoli una città diversa da come diventò.
Young progettò il Parco Grifeo col castello Aselmeyer, molti palazzi del Parco Margherita e del Rione Amedeo e guardava alla zona occidentale con l’ispirazione di un poeta. I suoi erano progetti arditi e affascinanti. Un uomo instancabile e, alla fine, un grande utopista.
Immaginò una prima linea metropolitana, con grande anticipo sui lavori della “direttissima” Napoli-Roma, iniziati nel 1910, seguiti dall’inaugurazione delle gallerie tra Piazza Garibaldi e Mergellina e tra Mergellina e Pozzuoli (20 settembre 1925).
Immaginò un grande ascensore per collegare la città bassa al Vomero aggiungendosi alle quattro funicolari di Chiaia (la prima ad entrare in funzione, 15 ottobre 1889) e di Montesanto (30 maggio 1891), alla Funicolare Centrale (28 ottobre 1928), a quella di Mergellina (24 maggio 1931).
Il suo progetto più ambizioso prevedeva una città a forte attrazione turistica al di là delle bellezze naturali e paesaggistiche. Immaginò un grande quartiere che andava da Santa Lucia a Bagnoli con due suggestivi rioni.
Il Rione Venezia, con una singolare caratterizzazione lagunare, collegato al Rione dei Campi Flegrei da un sistema di calli e canali. Una spettacolare galleria con un corso d’acqua doveva perforare la collina di Posillipo sfociando, attraverso l’area di Fuorigrotta, a Bagnoli, polo turistico, balneare e termale con case da gioco.
Progetti mai accettati mentre nel primo decennio del ‘900 si decideva di ubicare l’acciaieria sulla rada di Bagnoli stravolgendo la zona balneare e cancellando l’opportunità del polo turistico immaginato da Lamont Young.
Lui si uccise nel 1929, a 78 anni, nella sua villa. Era deluso, si sentiva deriso. Napoli, intanto, si sviluppava diversamente. Nel quinquennio 1925-30 la città si rinnovò con le opere del regime fascista, i grandi palazzi degli uffici, la bonifica del Rione Carità, l’apertura dei tunnel cittadini.
Nel 1900 si tenne, nella Villa Comunale, l’Esposizione universale d’igiene, con grandi padiglioni poi abbattuti. Le condizioni igieniche erano tra i problemi più pressanti della città. Nel 1932 si contarono 5.800 bassi inabitabili e altri 25.154 bisognosi di interventi.
Intanto, non avevamo ancora una squadra di calcio per fargliela vedere al resto d’Italia di che cosa eravamo capaci. Col pallone.