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Cultura
Abellinum
di Franco Polichetti
Riprendo, dopo un forzato intervallo, il mio viaggio storico-archeologico attraverso la Campania, abbandono momentaneamente la fascia costiera che è quella più nota e visitata e mi trasferisco nell’entroterra irpino per un’investigazione di quella parte della regione, poco nota e scarsamente frequentata, ma non meno importante per il valore e la quantità delle testimonianze storiche, archeologiche e museologiche che essa custodisce.

Mi trasferisco quindi in Irpinia, iniziando dal suo capoluogo Avellino.

L’antica Abellinum o grecamente Abellinon, sorgeva sulla riva sinistra del fiume Sabato, esattamente sulla collinetta denominata Civita, che era, probabilmente concepita, come “area sacra”, protetta da una cinta muraria di età sannitica (V-IV sec. a.C.).

Questa collinetta è situata nel centro dell’attuale cittadina di Atripalda, a quattro chilometri circa ad Ovest dell’ Avellino odierna. Sul suo pianoro, all’esterno del recinto sacro, si stabilì, inizialmente un insediamento sannita, e più propriamente l'antica tribù italica degli Hirpini. Gli Hirpini sono una delle quattro tribù in cui si divisero tra il VII-VI sec. a.C. i Sanniti.

Con le guerre sannitiche, che coinvolsero le popolazioni del luogo in lotte intestine Abellinum venne definitivamente assoggettata a Roma; successivamente con la guerra civile tra Mario e Silla (in cui gli Irpini si schierarono dalla parte di Mario), Abellinum entrò a far parte dell’Impero Romano.

Molti dei resti oggi conservati nel museo Irpino, rinvenuti sulla collina della Civita sono riconducibili alla presenza sannita, ma la fondazione organica della città di Abellinum risale all’età romana. In età augustea, la città già organicamente strutturata, fu sottoposta ad un ulteriore sviluppo, infatti furono costruiti la cinta muraria e gli edifici pubblici più importanti, come le terme, l’anfiteatro e il grande acquedotto alimentato dalle sorgenti del Serino.

La Civita ci ha conservato e restituito i resti dell’ Abellinum romana. portati alla luce dai recenti scavi grazie alla dedizione e all’amore per la ricerca di Werner Johannowsky, il Soprintendente ai beni archeologici delle province di Salerno, Avellino, Caserta degli anni 1976-1986.


La sua ubicazione, confermata, dagli itinerari, riportati sia sulla Tabula Peutingeriana sia sull’Anonimo Ravennate si trova sul raccordo stradale tra l’Appia e la via Popilia, (la Capua-Reghium) cioè su quel raccordo che partendo da Benevento giungeva a Salerno, dove si congiungeva con la via Appia.

Per chi non lo sapesse: - La Tabula Peutingeriana è una copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostra le vie militari dell’impero - L’anonimo Ravennate è una mappa del VII sec. d. C. redatta a Ravenna da un anonimo, con una metodica elencazione di località, tratte dalla stessa mappa. Lo storico Mommsen dice che “Abellinum” dista dodici miglia da una “mansio” che egli individua in Nuceria.

Miller Konrad. - storico della cartografia peutengeriana, nel suo Itineraria Romana (1916); sostiene che le dodici miglia di cui parla Mommsen, indicano la distanza tra Abellinum e una mansio di nome Sarnum che egli identifica con l’attuale Mercato Sanseverino.

È invece mia convinzione che questa mansio (Sarnum) si trovasse proprio in territorio sarnese cosa che secondo il mio convincimento è avvalorata dall’esistenza proprio all’ingresso di Sarno di quella stazione di posta (mansio) che fu poi denominata Tabellare.

Dell’originario centro sannitico scarse sono le testimonianze pervenute sino a noi; tale origine è attestata oggi più dal nome stesso della città, osco, che dai rinvenimenti archeologici di età preromana.

Torniamo indietro di circa tremila anni, siamo nell’ottavo secolo avanti Cristo quando i Sanniti si sono insediati in varie tribù lungo la dorsale appenninica. Tra il VI ed il IV secolo poi si espansero, dal basso Lazio al Molise, fino alla Campania e alla Basilicata, come ci attesta una mappa in marmo posta sul lato ovest del campanile della Chiesa di Santa Sofia a Benevento.

All’epoca quando per carenza di cibo o per pestilenze o per malattie, le popolazioni si spostavano, usavano stabilirsi in sede fissa nei nuovi territori scoperti.

Prima della partenza, però, si sacrificavano i primogeniti nati nel periodo invernale, (il sacrificio dei bimbi era solo simbolico mentre reale era quello dell’animale). Dato che queste migrazioni partivano sempre di primavera, tale rito religioso si chiamava Ver Sacrum, ovvero la Primavera Sacra ed era dedicato a Mamerte, il dio Marte, signore della guerra, conosciuto come Ares dai greci.

Il gruppo si spostava sempre seguendo il percorso che compiva un animale sacro, che ne diventava la guida e che poteva essere un toro, un bue, un lupo o un cervo. In realtà si pensa che tale usanza sia più dovuta ad esigenze di caccia che riferita ad interpretazioni totemiche. Dove l’animale si fermava (o veniva cacciato) si riteneva che quel luogo fosse stato scelto dal volere divino come adatto al nuovo insediamento.

Nell’VIII secolo avanti Cristo, proprio sulle orme di un lupo (Hirpus) un gruppo di migratori sanniti si stabilì nei territori che oggi corrispondono al circondario di Avellino.

Avellino doveva far parte della Lega Sannitica e, alla metà del III sec. a.C., la sua condizione doveva essere quella di civitas federata e in tale condizione rimase fino alla guerra sociale.

Le confische territoriali romane post-annibaliche testimoniate da un limes di ager publicus (confine di terreni dello stato) nel suo territorio, rendono quasi sicura la deduzione di una colonia di età graccana (fine II sec. a.C.) come attestato anche dal Beloch, sulla base della tradizione letteraria.

Il circuito delle mura, seguendo il profilo della collina dà alla pianta della città una forma quadrangolare piuttosto irregolare. I recenti scavi 1963, come già detto condotti dal sovrintendente Johannowsky, hanno portato alla luce una serie di abitazioni che potrebbero far supporre un impianto regolare della città coevo all’insediamento della colonia romana.

Di quest’ultime sono conservati notevoli resti in opus reticulatum (caratteristica muratura romana realizzata con blocchetti di pietra lavica o di tufo disposti in diagonale) databili alla prima metà del I sec. a.C., costituite da una cortina pilastrata internamente, chiuse tra torri circolari esterne.

La necropoli, individuata verso la fine del XIX sec., con la scoperta di una tomba a camera, si estendeva nella zona extraurbana meridionale.

Dalla necropoli provengono degli interessanti rilievi funerari del I sec. d.C. e due coppe aretine delle officine M.Perennius Crescens.

(Le officine Perennius che per tutta la loro lunga attività conservarono sempre ed indicarono in marca il nome di M. Perennius sono le più importanti e meglio note delle industrie ceramiche non solo di Arezzo, ma di tutto il gruppo della terra sigillata cioè di quella ceramica romana con lucidatura rossa sulla quale venivano applicati degli stampi con il nome del vasaio).

La storia dell’Irpinia la possiamo oggi leggere attraverso i reperti archeologici donati dall’avv. G. Zigarelli (1828) al Comune di Avellino e da quelli successivamente venuti alla luce a seguito dei più recenti scavi.

L’importanza della sezione archeologica è soprattutto connessa alla possibilità che essa ci offre di attestare una chiara e precisa documentazione dell’Irpinia preistorica, sannitica e romana. La sede storica del Museo Irpino è situata in un edificio moderno di architettura neo-razionalista, conosciuto come Palazzo della Cultura situato in corso Europa. La struttura fu progettata dall’architetto Francesco Fariello e inaugurata il 19 dicembre del 1966.

La sezione archeologica occupa l’intero piano terra di questo edificio, per una superficie complessiva di circa 2000 mq. Al piano superiore è ospitata la collezione presepiale e sempre in questa stessa struttura si trovano la prestigiosa Biblioteca Provinciale Scipione e Giulio Capone, l’Emeroteca, il Centro Rete e la Mediateca.

Il Museo irpino insieme al Complesso Monumentale Carcere Borbonico costituisce un polo museale della città nonché uno dei più rilevanti della provincia irpina, si trova in via Dalmazia, è un luogo suggestivo che da solo merita una visita.

Si tratta di uno dei primi esempi di struttura carceraria di ispirazione illuminista. La costruzione iniziò nel 1827, nel 1837 fu ultimato l'edificio centrale, nel 1839 venne montato il ponte levatoio che permetteva l'attraversamento del fossato, negli anni '40, infine, fu iniziata la costruzione dei restanti padiglioni.

Il complesso, su pianta esagonale, è costituito da cinque bracci distribuiti a raggiera, destinati alla detenzione carceraria; dalla palazzina principale, sede degli uffici del direttore; dalla tholos, corpo centrale di forma circolare utilizzata come cappella e come punto di collegamento tra tutti i padiglioni; dal cortile.

La struttura rimase funzionante, come casa di detenzione, fino al 1987, malgrado i danni strutturali causati dal sisma; scampata all’irresponsabile proposta dell'abbattimento è stata oggetto di un recupero filologico globale, nel pieno rispetto dei criteri sanciti dalle carte del restauro.

Oggi l’edificio ospita la Pinacoteca, il Lapidario, e un Deposito visitabile, la sezione Risorgimentale, quella degli Strumenti Scientifici, oltre a sale per congressi, spazi per mostre, per attività didattiche ed uffici.

Negli stessi padiglioni si trovano anche il Catalogo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Salerno e Avellino e il Centro Regionale per i Beni Culturali della Campania, CRBC.

L’ex palazzina di comando, la tholos, il giardino e il padiglione ad ovest, con ingresso da via Dalmazia, ospitano gli uffici e il laboratorio di restauro della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Salerno e Avellino.

Il padiglione a est, quello prima destinato alla detenzione femminile, con ingresso su via Verdi, invece, è la sede dell’Archivio di Stato di Avellino.

Avrei voluto dettagliatamente soffermarmi sull’interessante documentazione che il Polo Museale Irpino offre al visitatore, ma preoccupato di apparire noioso, preferisco fermarmi qui e se sarà da qualche amico richiesto potrò in una futura occasione soffermami su di esso con una più particolareggiata descrizione di tutti i reperti esposti, della loro età, del loro uso e della loro funzione.

Un invito in chiusura mi sembra opportuno dare: Cari amici visitate anche questo importante patrimonio, storico-culturale, utile alla conoscenza della nostra negletta Regione e a dispetto dei tanti detrattori “endogeni ed estrogeni”. Grazie!

6/8/2019
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