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Approfondimenti
Il castagno e la casta Nea, ninfa di Diana
di Paola La Nave
Nel secolo XVI i frutti di questo albero maestoso dalle foglie allungate, seghettate e dentate costituivano l’alimento principale in molte province francesi.

Volendo credere ad un non meglio identificato poeta italiano del XVI secolo, il nome botanico del castagno (Castanea) trarrebbe origine dalla “casta Nea”, una delle ninfe di Diana, continuamente importunata dall’irrequieto Giove e vittima della passione di quest’ultimo, un giorno in cui si era incautamente allontanata dalle compagne.

La giovane Nea, per la vergogna e la disperazione, si uccise e Giove la trasformò in Castagno.

Nell’America del Nord ancora oggi si usa l’infusione di foglie di castagno come sedativo della tosse, nella bronchite, ma specialmente nella pertosse.

Le castagne, cotte in poca acqua a fuoco lento o anche ridotte in purea, sono, oltre che un ottimo alimento molto nutriente, anche ben tollerate dagli stomaci più delicati e rappresentano un rimedio per la diarrea benigna.

Il castagno è un albero estremamente ricco di tannino e dalla corteccia, dalle foglie e dal legno si ricavano sostanze molto utilizzate per tingere e conciare le pelli.

L’abbondanza di tannino fa del castagno un ottimo astringente, adoperato in passato contro la dissenteria; infatti il medico e botanico francese Charles Grenier decantava soprattutto il decotto di corteccia.

A quei tempi nelle campagne la corteccia veniva anche usata per curare la febbre. Riportiamo qui di seguito una leggenda, tratta dal libro “Nel Montamiata: saggio di letteratura popolare” di Gino Galletti, scrittore livornese degli inizi del Novecento.

"Raccontano i vecchi che un povero pastorello, trovandosi solo con le pecore per quelle alture, udì l'urlo di un lupo affamato. Impallidire, sentirsi diacciare il sangue nelle vene, pensare che via di salvezza non c'era, vedersi già azzannato e sbranato dalla bestia inferocita e raccomandar l'anima a Dio, fu cosa di un istante per il pastorello.
Chiamò a raccolta, con lo zufolo, il gregge e, così tremante e pregante, si raccolse con le miti bestiole al tronco di un grosso castagno, che aveva già copia di fronde.
L'urlo si avvicinava, e il lupo non tardò a comparire, con un balzo, da un greppo: aveva sentito chi sa di dove l'odore della carne e, con l'istinto del fiuto, era in pochi salti venuto al luogo ove poteva sfamare la fame vorace.
Quando fu in vista del pastore e del gregge, sostò un momento, anelante, con le fauci spalancate, la lingua fuori, gli occhi gialligni e lucenti, come per sincerarsi della bella preda che gli si offriva senza contrasto; e, con un nuovo urlo famelico fece l'atto di spiccare un altro salto: era la morte sicura per il pastorello e le pecore.
In quel mentre, però, che succede? Tutti i rami frondosi del castagno improvvisamente si curvano fino a toccare la terra e formano una cupola folta, nascondono e proteggono il piccolo pastore e le pecore.
Il lupo urla più che mai famelico e inferocito, e si aggira spaventosamente intorno alla cupola misteriosa che gli impedisce di sbramar la fame.
Dà l'assalto, ma le sue zampe non possono aprire il varco nell'intrico denso di rami e foglie: morde, strappa, ma la sua rapina si annienta contro il prodigio del cielo.
Infine, stremato di forze, estenuato dalla vana rabbia e più dalla real fame, si allontana.
Allora i rami del castagno si rialzano, tornano come prima; e il pastorello e il gregge, sani e salvi, possono riprendere il sentiero della discesa per ritornare alla capanna e all'ovile".
18/10/2016
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