Calcio
Torna alla ricerca
Il Napoli: bello, brutto o cattivo?
di Luciano Scateni
In forma di leggenda, a prescindere da variabili imprevedibili, ecco alcune storie e qualche riflessione critica sul Napoli, società sportiva che da sempre solletica con dovizia di notizie e commenti l’attenzione degli strumenti d’informazione specialistica e generalista. L’interesse diffuso per quanto i giovanotti in maglia azzurra combinano in campo ha mille motivazioni. Intanto, perché la città ai piedi del vulcano sembra sia titolare del più alto rapporto proporzionale tra abitanti e tifosi da stadio. Fino all’altro ieri cacciato nell’inferno della serie C, il Napoli ha stupito l’universo calcistico con medie di spettatori invidiate da quasi tutte le società di serie A. C’è inoltre, che uno dei popoli italiani più vicini alla povertà estrema di massa versa euro e sangue ai network della pay tv per garantirsi lo spettacolo domenicale che avviene in trasferta e se non fosse per misure di sicurezza che hanno interdetto alcuni stadi ai tifosi del ciuccio, sarebbe un esercito, come da decenni, la truppa che insegue la squadra del cuore in tutta l’Italia del calcio. Ne traggono vantaggio compagnie aeree e Trenitalia, ristoranti e autogrill (esclusi i danni da scorrerie vandalistiche), distributori di benzina e venditori di bandiere, sciarpe, magliette, trombe da stadio, bagarini, eccetera. In due parole, il tifo dei napoletani è un affare per molti soggetti che navigano nel mare magnum del pallone.

C’è poi che, se si isola il maradonismo, evento estemporaneo e forse irripetibile, perché frutto di un eccezionale mixage, la storia, come dice la Rai, siamo noi: siamo noi che mettiamo lena e ingegno nella costruzione di palchi sontuosi per la gloria di monarchi atipici che arringano folle di sudditi inebriati dall’arrivo a Napoli di Guldfot, il“piede d’oro” svedese Hasse Jeppson, del moro La Paz, del geniale Vinicio, del classico Krol e di molti altri giocatori simbolo cancellati o quasi nella memoria collettiva con l’avvento di Diego Armando Maradona, per il volgo il San Gennaro della pelota e il dio del rettangolo verde per gente che si supporrebbe intenta a compiti impegnativi ed esaustivi. Gli intellettuali, in pole position nella gara di celebrazioni del mito. Ubriachi di colpi di tacco, piroette, gol acrobatici e punizioni imparabili dell’argentino, hanno sofferto e patiscono ancora in molti, in troppi, la stolta patologia dell’obnubilazione. Dimenticano, per esempio, la facile ascesa e la rovinosa caduta dei re che si sono succeduti al vertice della società o ne hanno tentato la scalata, dileguandosi non prima di aver tratto profitti di ogni genere dal pozzo di San Patrizio, o meglio del San Paolo. Ricordate Lauro, Fiore, Ferlaino, i Gallo, Moxedano, Naldi, Corbelli?

Ora siamo affidati al cinematografaro De Laurentiis e lasciano interdetti piccoli ma significativi episodi del passato recente. Intanto, l’irosa contestazione al giornalismo sportivo che avrebbe osato analizzare criticamente la campagna acquisti della società conclusa con l’aggressione a Sky e poi la spocchia anacronistica in cui è incorso allorché, interrogato su presunte interferenze con le scelte del tecnico, ha perentoriamente affermato che è lui il padrone della squadra e dunque può fare quel che gli pare. Ma i successi sportivi non si costruiscono anche con lo stile dei comportamenti? Di storia e leggende del Napoli Calcio, per pudore, tralasciamo di elencare i giocatori “bidone” presentati nel tempo come se ciascuno di loro fosse l’erede di Pelé, Di Stefano, Puskas, pagati cifre francamente poco credibili, ma funzionali a profitti oscuri: meteore frantumate dall’impatto con il campo di gioco, sparite rapidamente nel nulla. Il ragionamento meriterebbe ben altro approfondimento.

Una temporanea conclusione è nell’invocazione alla linearità dei giudizi, giornalistici e della tifoseria, sulla dimensione vera di questo Napoli. E’ lecito pensare che se batte con un sonante 5 a 0 l’Udinese “lo scudetto non è una chimera” e se le busca dal Genoa tra le mura amiche “è tutto sbagliato, tutto da rifare” come diceva il Bartali Gino? Mettiamoci d’accordo almeno sul fatto che una squadra da Champions League e da scudetto si costruisce con pazienza, negli anni e con tutti gli uomini giusti al posto giusto. Altrimenti rimane la mesta consolazione di riflessioni assolutorie del tipo “A Palermo il Napoli avrebbe meritato di più” (l’unica cosa certa è che ha perso con una squadra dimezzata dalle assenze), “La vittoria con la Juve è strameritata (ma senza i due rigori fantasma?). Insomma, non guasterebbe un po’ di saggezza spicciola, per non volare troppo alto e non soffrire delusioni acute.
14/11/2007
RICERCA ARTICOLI