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Cultura
Alla scoperta di S. Gregorio Armeno
di Franco Polichetti
Se si chiede ad un napoletano, ma anche ad un forestiero, che cosa sia S. Gregorio Armeno la maggioranza delle risposte sarà: è la strada dei pastori, delle statuine presepiali e di tutto ciò che serve all’allestimento del presepio.

Insomma tutti sanno che S. Gregorio Armeno è un quartiere legato alle celebrazioni del Natale; ed in effetti lungo la stretta stradina, che collega la nota Spaccanapoli ovvero S. Biagio dei Librai, con la piazzetta S. Gaetano, su cui prospettano le importanti basiliche di San Lorenzo e di San Paolo Maggiore, si susseguono, tutte allineate, le bancarelle esterne delle botteghe, su cui tra fiori finti e varie ‘cianfrusaglie’, contro il malocchio, tutte attrattive turistiche, fanno sfoggio le statuine di Gesù, di San Giuseppe e la Madonna, il bue e l’asinello, gli angeli in volo, i pastori recanti doni, o suonando ciaramelle e zampogne, i re magi, in abiti sfarzosi, il misero mendicante, l’oste rubicondo, il vinaio a cavalcioni delle botti, le lavandaie piegate sulla pietra del lavatoio o sulla riva di un ruscello a strizzare panni.

Eppure, girato l’angolo con San Biagio dei Librai, appena imboccata la stradina in salita, sulla sinistra si apre l’ingresso ad una chiesa e ad un convento che, costituiscono un insieme unico e un patrimonio incommensurabile di straordinarie testimonianze di arte e di storia, dell’altissima civiltà di Napoli, dalle sue lontane origini greche e romane al tardo Settecento fino ai giorni nostri.

Non a caso la chiesa di San Gregorio Armeno di Napoli fa parte del vasto patrimonio del Fondo Edifici di Culto. Il Fondo Edifici di Culto (F.E.C.), istituito dalla legge 20 maggio 1985, n. 222 attuativa dell’Accordo del 1984 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede.

Sono pochi, persino i napoletani, che hanno varcata la soglia d’ingresso di questo complesso per visitarlo, fatta eccezione di quelli sollecitati da specifici interessi professionali o da curiosità culturali oppure da vero amore per la propria città.

Pochissimi sanno che un tempo il complesso conventuale di S. Gregorio Armeno era chiamato popolarmente anche di San Liguoro (San Gregorio, per corruzione in napoletano arcaico fu pronunciato “Ligorio”, donde Liguoro) e ancora un minor numero di cittadini sa che chiesa e convento furono fondati, probabilmente nell’VIII secolo d.C., sulle rovine di un tempio romano dedicato a Cerere o ad Augusto (secondo quanto confermato anche dalle recenti ricerche, della prof.ssa Giovanna Greco).

Ma ecco come ci presenta questo complesso monastico l’insigne archeologo Amedeo Maiuri in una sua bella pagina: “Sorge il monastero nel più denso ed ascoso bugno della Napoli greca poco discosto dalla piazza dell’agorà ed accanto ad altre famose sorte anch’esse su templi e monumenti antichi: la chiesa di S. Paolo Maggiore al posto del tempio dei Dioscuri, la chiesa di S. Lorenzo al posto della Basilica del Foro. S. Gregorio, l’apostolo redentore di Armenia, il catechizzatore della tiridate (ndr. Tiridate cioè l’Armenia così chiamata dal re Tiridate che la governò a partire dal 53 d.C.), ispirò le suore cacciate d’Oriente dalla persecuzione iconoclasta a scegliere il luogo che altre pie donne riunite in sacro collegio avevano consacrato alla Dea della maternità gloriosa e dolorosa: a Demetra madre della rapita Core.
E il monastero, chiuso fra alte mura di fortezza, stretto fra quattro strade della Napoli antica, conserva ancora oggi il carattere della sacra intangibilità del suo suolo
”.

Il complesso dunque occupa una delle aree di maggiore importanza storica e civile dell’antica Neapolis, che i vari e successivi insediamenti edili e le diverse attività commerciali, hanno nei secoli trasformato nella realtà e nelle evidenze attuali.

Percorrendo la via S. Biagio, sempre affollata, un visitatore attento e appena edotto di storia napoletana, coglie, sia nei palazzi, alterati da sconce superfetazioni e continue manomissioni, nelle stesse botteghe di un tempo, le tracce e i segni di una storia plurisecolare, fatta soprattutto di alterne, umane vicende: gioie e dolori, speranze e delusioni, e tanta voglia di vita, che hanno fatto di San Gregorio Armeno, e delle aree immediatamente circostanti, il ‘cuore’ palpitante della Napoli di ieri e di oggi.

Solo pochi, e non tutti ‘forastieri’, che affollano San Gregorio Armeno durante le festività natalizie, sanno che il monastero e la chiesa annessa, da cui la strada ha preso il nome, costituiscono un insieme nel quale, in successione ininterrotta, nei secoli, si sono sovrapposti testimonianze innumerevoli, di splendida architettura e di una produzione artistica, di alto livello, nei molteplici campi.

Vi si trovano tracce di insediamenti greco-romani; alcune presenze di età paleocristiana e medioevale; strutture architettoniche, aggiunte e trasformazioni, in particolare tra il Cinquecento e il Settecento, per nuove esigenze conventuali e liturgiche che hanno profondamente mutato le apparenze dell’antico complesso monastico, della sua prima chiesa e del chiostro adiacente.

Sono tanti gli affreschi, le tavole, le tele, le sculture in legno o di marmo, che, si sono addensate in questo complesso che mi è impossibile nel breve spazio di questo scritto descriverle con dovizia di particolari. Tutte opere di grande valore artistico che sono state realizzate contestualmente al sorgere di nuove esigenze estetiche e che documentano i molteplici approdi dell’arte Napoletana tra il Rinascimento e il Barocco-Rococò.

Qui è raccolto il meglio della produzione artistica napoletana: organi e cantorie dalla straordinaria fantasia creativa dell’artigianato; oggetti in oro e in argento – calici, ostensori e reliquari – di raffinata fattura; paliotti, abiti liturgici e arazzi, per lo più in seta, e tutti preziosamente ricamati.

Insomma San Gregorio Armeno, col suo monastero e la sua chiesa costituiscono un’oasi non solo di spiritualità, ma anche un condensato di arte e di civiltà di inestimabile valore.

Quando il monastero da Basiliano divenne Benedettino la chiesa, tra il 1574 ed il 1580 fu completamente ricostruita su progetto di Giovanni Battista Cavagna, ad un’unica navata con cinque cappelle per ciascun lato, ha l’abside rettangolare coperta da una cupola, presenta un soffitto, come i soffitti cinquecenteschi di altre chiese napoletane, tutto dorato in cassettoni intagliati e finemente decorati, in cui sono inserite le tavole dipinte tra 1580-1582 dal fiammingo Dirk Hendricksz noto come Teodoro D’Errico.

Le pareti, affrescate da Luca Giordano descrivono l’arrivo al Lido di Napoli delle monache Armene, la Traslazione del corpo di S. Gregorio, l’Accoglienza dei Napoletani, mentre sulle parti comprese tra le finestre sono rappresentate, sempre di Luca Giordano, le Storie di S. Gregorio.

Due organi, zeppi di ornamenti di arte barocca, racchiudono lateralmente il presbiterio. Le cappelle laterali conservano dipinti, quasi tutti del XVII sec., di Pacecco de Rosa, Antonio Sarnelli, Francesco de Maria e Niccolò Malinconico. Il bellissimo altare maggiore, in tarsie marmoree, è opera di Dionisio Lazzari.

Dall’ultima arcata a sinistra della navata si entra in sagrestia nella cui volta possiamo ammirare l’Adorazione del Sacramento opera di Paolo De Matteis. La cupola presenta, anche se guasti, gli affreschi di Luca Giordano, e dello stesso autore sono anche Le Virtù dipinte nei peducci.

L’annesso monastero, che conserva un importante archivio di antiche pergamene, racchiude lo splendido chiostro, progettato da Vincenzo della Monica nel 1580 al cui centro c’è una fontana con le imponenti statue di Cristo e La Samaritana opere di Matteo Bottiglieri.

Dal chiostro si accede alla Cappella della Madonna dell’Idria, la sola parte superstite della primitiva chiesa, decorata da Paolo De Matteis.

E non è tutto: occorre inoltre sapere che San Gregorio Armeno, come innanzi descritto, plurisecolare luogo di fede, di culto e di devozione popolare, anche per i miracolosi eventi che a questo santo ciclicamente e puntualmente si attribuiscono, oltre ad essere un insieme incredibile di queste varie e straordinarie testimonianze di storia e d’arte, per l’impegno costante e continuo della sua comunità monastica, fatta di donne di nobile rango o di più umili condizioni, instancabili e premurose, svolge un ruolo non meno rilevante nel ‘sociale’, attraverso le varie attività di queste ‘suorine’ così chiamate dal popolo, in campo scolastico ed educativo.

Dunque S. Gregorio Armeno oltre ad essere il monastero di antichissima tradizione che ha attraversato la storia di Napoli per più di 1200 anni (dall’VIII secolo ad oggi), come abbiamo fin qui descritto, è stato anche, e forse soprattutto, un prestigioso centro di potere, di cultura, di arte e di spiritualità, vissuto e governato da donne, che hanno avuto il merito storico, cinque secoli fa, di essere in larga misura anticipatrici e rivendicatrici delle istanze di libertà, di indipendenza e di rivendicazione del ruolo della donna nella società di allora e anche di oggi.

Ma qui, per il momento, il mio discorso si arresta rimandando ad una prossima puntata la trattazione di questo notevole, inimmaginabile aspetto dell’attività monastica, avanguardia di una progredita concezione del ruolo e della funzione della donna nel più ampio contesto sociale. Tutto questo lo testimonia, con il suo patrimonio archivistico, e con la zelante attività della comunità monastica, lo straordinario complesso di S. Gregorio Armeno.

10/9/2018
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