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Addio a Fiore, fece sognare Napoli
con la magica coppia Sivori-Altafini
di Mimmo Carratelli (da: il Mattino del 28.02.2017)
È morto Roberto Fiore, a 93 anni, una vita vissuta appassionatamente, la metà dedicata al calcio e al Napoli nella sua stagione più bella. È morto il presidente azzurro dei “centomila cuori”, l’inno dei tifosi per la squadra di Sivori e Altafini.

Un altro mondo, un altro calcio, un’altra passione in quei primi anni Sessanta, così tanto tempo fa. Furono tre anni in paradiso gli anni di Roberto Fiore presidente del Napoli.

Gli anni dal 1964 al 1967. Un terzo posto storico, trentadue anni dopo il Napoli di Garbutt, e una Coppa delle Alpi, primo trofeo internazionale nelle bacheche azzurre conquistato in quegli indimenticabili giorni di giugno del 1966 tra Losanna, Basilea e Ginevra, una competizione tra squadre svizzere e italiane, e la Coppa sfilata alla Juventus da una genialata di Bruno Pesaola che scatenò Sivori contro la formazione di Heriberto Herrera.

Roberto Fiore costruì il più divertente Napoli della storia dopo averlo riportato in serie A. Con la geniale trovata degli abbonamenti a rate, convogliò 52.308 abbonati allo stadio San Paolo e, l’anno successivo, 69.344.

Un record che neanche il Napoli di Maradona avrebbe battuto. Solo il Napoli di Ferlaino, nell’anno in cui arrivò Savoldi, avrebbe fatto meglio (70.402 abbonati).

Passionale, capelli corvini, viso mediterraneo, occhi vivacissimi, il naso che era un bel rostro arabeggiante, un torrente di parole che per la foga diceva a metà, il quarantunenne Roberto Fiore creò un Napoli milionario.

Nel ’65-’66, fu la prima squadra italiana a superare il miliardo di lire di incassi. Al San Paolo c’era una presenza-media di 70mila spettatori.

Fiore creò la prima società per azioni nel mondo del calcio, capitale 120 milioni, di cui 80 versati. Il suo Napoli fu terzo nel ’65-’66 a cinque punti dall’Inter campione, quarto nel ’66-’67 ancora a cinque lunghezze, stavolta dalla Juve.

Era nato a Bellavista, sesto di dieci figli di Francesco Fiore, don Ciccillo, venditore di frutta all’ingrosso e poeta per diletto che al sesto figlio dedicò questi versi: “Uocchie nire e lucenti / capelli culor d’oro / chiunque ‘o tene a mente / suspira: ih, che tesoro! / Roberto è ‘o cchiù bellillo / tre anni… e che guaglione / me pare n’angiulillo / me pare nu pappone”.

Diplomatosi ragioniere, avrebbe voluto fare il pilota d’aerei. Costretto, nel ’43, a darsi da fare, comprò un bar al Vasto. Aveva 19 anni.

A 22 si sposò ed ebbe due figlie. Giocava al calcio nella squadra del Vasto, ala sinistra. Ne divenne il presidente.

Col Napoli che andava male, scrisse una lettera a Lauro lasciandogliela nella portineria della villa del Comandante in via Crispi. “Sono un semplice tifoso e sono preoccupato per le sorti del Napoli” così scrisse.

E aggiunse: “Vorrei essere da voi ricevuto per illustrarvi il mio pensiero”. Lauro gli telefonò il giorno dopo dandogli appuntamento alla Flotta.

Fiore, avviata una fabbrica di collanti chimici, aveva aderito a un gruppo di industriali napoletani che, mettendo insieme 90 milioni, era pronto ad entrare nel Napoli. Lauro si era stufato di rimetterci soldi.

Il gruppo ebbe contatti col Comandante proponendo come presidente Giovanni Proto, un industriale dello zucchero. Il senatore Fiorentino, molto vicino a Lauro, mandò a monte l’operazione: “Ma chi, Proto presidente? Comandante, quello vi copia in tutto. È entrato al Comune con la vostra lista, possiede una Mercedes come l’avete voi e, adesso, vuole il Napoli che è vostro. Ma dove vuole arrivare?”
Lauro convocò Fiore e gli disse: “Te ne fotte a te ‘e ‘sto Proto?”. Fiore rispose: “Proprio niente”. Aggiunse: “Comandante, quelli non vi vogliono nella nuova società, vogliono comandare loro”. Lauro si stizzì e urlò: “Fai tu una società e ti do il Napoli”.

Il Napoli sbandava in serie B con Fioravante Baldi allenatore e Fiore suggerì a Lauro di chiamare sulla panchina Pesaola che, a Scafati, aveva cominciato ad allenare.

Il “petisso” riportò il Napoli in serie A, ma retrocesse l’anno dopo. Lauro voleva mollare tutto, ma non andò in porto la trattativa con Pasquale Gagliardi, capomastro cilentano che aveva fatto fortuna in Venezuela e voleva prendere il Napoli per 480 milioni, però a rate.

Impegnato con la Flotta, stufo del Napoli che lo deludeva, rifiutando le rate di Gagliardi, Lauro rassegnò le dimissioni e la Lega affidò la società a un reggente, Luigi Scuotto, noto dirigente sportivo napoletano.

Squadra in serie B e situazione insostenibile. Allora Fiore si fece avanti e, riconoscendo a Lauro il credito di 480 milioni che vantava sul Napoli, fondò la Società Sportiva Calcio Napoli che rilevò l’A.C. Napoli.

Fiore fu eletto presidente, a Lauro andò la presidenza onoraria. Aria nuova, entusiasmo nuovissimo.

Fiore richiamò Pesaola e riportò il Napoli in serie A nella stagione 1964-65. Prese Sivori, con l’aiuto di Lauro, e Altafini dopo un’astuta trattativa con Felice Riva, presidente del Milan.

Al San Paolo era sempre festa grande, la squadra azzurra con un attacco formidabile: Canè, Juliano, Altafini, Sivori, Montefusco (poi Orlando).

Il regno di Fiore era il Vomero dove abitava. Non si staccava mai dalla cravatta bordeaux a pallini bianchi che fu il suo amuleto dichiarato e teneva in tasca numerosi corni di corallo.

Perché non solo era il diciassettesimo presidente del Napoli, numero infausto, ma anche perché alcuni precedenti presidenti erano morti prematuramente.

L’allegria finì. Gelosie e rivalità in squadra, Sivori-Altafini, Ronzon-Stenti, e Lauro geloso di Fiore che forse pretese troppo chiedendo al Comandante carta bianca.

Stava per comprare Meroni, ma, logorato dalla “guerra” di Lauro, Fiore finì col dimettersi alla vigilia del Natale 1966.

Fiore aveva tentato un altro “colpo”, prendere Pelè dal Santos. Il giocatore era d’accordo, scrisse persino una cartolina a Fiore (6 novembre 1964), ma ci volevano 15 milioni che Fiore non trovò.

Morto Gioacchino Lauro, Fiore tornò nel Napoli. Presidente Antonio Corcione, uomo fidato del Comandante, accettò il ruolo di amministratore delegato pensando di prendersi una rivincita col tempo.

Ma sbagliò ancora i calcoli, stavolta con Ferlaino, che gli soffiò astutamente il Napoli mentre erano d’accordo che l’avrebbero preso insieme alternandosi alla presidenza.

Fiore andò a fare il presidente alla Lazio. Tornò a Napoli e, da presidente del Posillipo, vinse il primo scudetto di pallanuoto del club rossoverde.

Non pensò più al Napoli e, col calcio, si divertì guidando l’Ischia e la Juve Stabia.

Sognò un ritorno nel Napoli quando, per la prima volta, si affacciò alla ribalta Aurelio De Laurentiis nel 1999. Ma l’impresa di togliere il Napoli a Ferlaino fallì.

A Fiore rimase il ricordo dei tempi del boom col Napoli di Sivori e Altafini, con lo stadio pieno e la canzone dei centomila cuori al San Paolo.
28/2/2017
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