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15/3/2010

Chi ha ucciso Via Roma… pardon, Via Toledo?
Era la strada più bella del mondo, poi…
di Angelo Forgione

«Parto. Non dimenticherò né la via Toledo, la via più popolosa e gaia del mondo, né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell'universo». Così si espresse Stendhal nel 1817 lasciando una Napoli da cui era stato folgorato.

La strada dello “struscio” napoletano sapeva incantare all’epoca e lo faceva già da secoli, precisamente dal 1536 quando fu voluta dal Viceré Don Pedro de Toledo per bonificare la fogna ad alveo aperto che da Montesanto, convogliando le acque reflue della collina del Vomero, proseguiva verso il mare. Fu così cancellato alla vista il famigerato “Chiavicone” che, dopo i lavori stradali di ricopertura, divenne un tunnel di acque di scarico. La strada che ne nacque fu un vero successo, inaspettato persino per colui che ne aveva voluta la realizzazione, e fu ben accolta dalla cittadinanza.

Il prestigio dell’arteria fu subito inarrestabile e toccò l’apice grazie ai viaggi del Grand Tour, il turismo del ‘700 che non era fatto da gente comune ma da ricchi dell’epoca e anche da scrittori, letterati e artisti che partivano da Inghilterra e Francia e avevano come tappa più ambita il meridione d’Italia.

Una strada elegante, sempre piena di gente e di commercio. Lo si capisce da un resoconto di J. G. Francis che nell’ottocento, a Londra, scrive: «Passate per via Toledo, la più bella via di tutto il continente, e vi farete un’idea dell’importanza del commercio nei paesi del sole». All’epoca si vendevano in quantità straordinaria i guanti che erano considerati i migliori d’Europa e questa lavorazione darà poi in seguito il nome a uno dei più popolari quartieri di Napoli. Ma all’epoca c’erano anche negozi di belle arti in grande quantità. Ad ogni angolo dei vicoli di Toledo si disegnava e si dipingeva, chi bene e chi male, ma l’importante era esserci perché l’aria che si respirava, tra giocolieri e artisti di ogni genere, faceva bene allo spirito. Tanto che anche lo scrittore americano Herman Melville, l’autore di “Moby Dick”, dopo aver visitato l’ambita Napoli, scrisse la bizzarra poesia “Napoli al tempo di Bomba” nella quale descrisse Via Toledo così: «Quasi non riesco a distinguerla da Broadway. Credevo di essere là. Napoli è la città più allegra del mondo, la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia e i suoi derivati».

La via era davvero pittoresca con le sue tende che riparavano i passanti dal sole ed era arricchita dai numerosi caffè che si distinguevano tanto per le loro specialità quanto per i clienti che li frequentavano. Oltre ai letterati e agli artisti c’erano anche i residenti della strada, dame e gentiluomini ben vestiti, e persino gli ufficiali della guardia svizzera del Re nelle loro bizzarre uniformi che degustavano caffè, sorbetti, il “latte alla vaniglia”, la “bomba alla masseduana”, la “impastata di frutta”, le “ricottelle alla cioccolata”, le rinomatissime “pagnotte di latte alla vaniglia” e le cassatine alla siciliana. Dal 1819 c’era già Pintauro che sfornava in continuazione sfogliatelle ricce e frolle, come oggi.

Nei pressi della chiesa di San Ferdinando era un’attrazione la bottega di un orologiaio davanti la quale ogni giorno, a mezzodì, si assiepava un folto gruppo di spettatori; l’artigiano aveva posto sotto l’insegna un piccolo cannone caricato a salve, regolandolo in modo che, attraverso una lente, i raggi del sole di mezzogiorno confluissero sulla miccia facendo tuonare il cannoncino stesso.
All’altezza di Piazza Carità si segnalava la bottega del famoso sorbettiere siciliano Vito Pinto, delle cui specialità era golosissimo Giacomo Leopardi, assiduo frequentatore del locale durante i suoi anni napoletani.

Nel 1840, Via Toledo fu una delle prime strade d’Europa illuminate a gas, come solo a Londra e Parigi se ne potevano vedere.
Più che un luogo, Toledo era per i napoletani un’attitudine mentale. Si andava a Toledo per rilassarsi, far parte di un caleidoscopio umano fatto di volti, botteghe alla moda e saltimbanchi improvvisati.
Era quella la Napoli capitale di una nazione guida in Europa, il Regno delle Due Sicilie, che insieme a Parigi era universalmente riconosciuta come il faro culturale del vecchio continente. Poi arrivò il tempo dell’Unità d’Italia e li iniziò il declino della città, e con esso quello della strada.

Il primo grande danno all’identità della strada lo fece il 18 Ottobre del 1870 Paolo Emilio Imbriani che, da poco eletto sindaco di Napoli, travolto da un irrefrenabile impeto risorgimentale, deliberò la modifica del toponimo da Via Toledo a Via Roma, in memoria dell’evento storico del precedente 20 Settembre durante il quale la città capitolina fu annessa all’Italia. Per più di 330 anni la strada aveva portato il nome di chi l’aveva voluta ma Imbriani cancellò la storia e non trovò per questo il favore dei napoletani che ignorarono la delibera della Giunta e continuarono a chiamarla Via Toledo. Persino nelle canzoni della nascente e fiorente industria discografica napoletana la via fu immortalata più volte come Toledo, vista più come una zona che come una strada, perché si andava a Toledo, non a Via Roma. Il cambiamento suscitò subito varie reazioni a cominciare da quella dello storico Bartolommeo Capasso che, nonostante fosse dichiaratamente a favore dell’unità d’Italia, definì così la scelta: «una denominazione che non ha guari, disconoscendosi la storia si è voluta in altro mutare».

Lo storico tedesco Ferdinand Gregorovius si ribellò al cambio scrivendo che «di cosa in cosa si è andati al punto di mutare in Napoli insino il nome storico e tre volte secolare della strada Toledo in quello di strada Roma, e di voler costringere il popolo, che vi si oppone e resiste, a riconoscere la scipita violenza».

L’opinione pubblica fu contrarissima alla modifica e Imbriani, fermo sulle sue posizioni, arrivò a far sorvegliare le leggende durante la notte da drappelli di guardie municipali temendo che i napoletani le avrebbero infrante a colpi di sassi. Non bastò a rassicurare lui ne a calmare i cittadini l’aggiunta della dicitura “già Via Toledo”.
Si formò quindi un comitato cittadino pro "via Toledo" e non furono risparmiate feroci raffiche di satira contro il sindaco; in città si diffuse velocemente una strofetta che recitava: «Un detto antico, e proverbio si noma,
dice: tutte le vie menano a Roma; 
Imbriani, la tua molto diversa,
non mena a Roma ma mena ad Aversa». Perché Aversa? Tra i tanti primati del Regno delle Due Sicilie figura anche la prima struttura manicomiale in Italia, la Real Casa dei matti aperta nel 1813 per l’appunto ad Aversa.

Paolo Emilio Imbriani restò primo cittadino di Napoli per pochi mesi ma la sua esperienza di sindaco si è legata essenzialmente a questa sua scelta che ancora oggi segna la vita della città. A lui è intitolata una strada che proprio da Via Toledo costeggia Palazzo San Giacomo ed è dedicata una statua al centro dei giardini di Piazza Mazzini; chissà che su di essa non vi sia una sorta di maledizione tutta partenopea visto che è da decenni la più imbrattata della città, completamente abbandonata dalle istituzioni.

Del resto, la confusione generata da Imbriani è tuttora forte. Nel 1980 la denominazione patriottica è stata cancellata definitivamente e la strada si è riappropriata del suo legittimo nome. Ma intanto i napoletani si erano abituati a chiamare la strada col nome della capitale e ancora oggi, a distanza di trent’anni, la confusione è ancora grossa. Gran parte dei cittadini è convinta che la strada si chiami Via Roma, ignorando la vera denominazione; altri addirittura ipotizzano che la Via Toledo sia solo il tratto superiore tra Piazza Dante e Piazza Salvo D’Acquisto e che da li sino a Piazza Trieste e Trento si percorra Via Roma. In realtà, di Via Roma nella città di Napoli non esiste traccia neppure sullo stradario.

È chiaro che il declino della strada, che intanto ha ospitato a fine ‘800 un ingresso della Galleria Umberto I e qualche decennio più tardi la nuova sede del Banco di Napoli in tipico stile del “ventennio” fascista, non è solo una questione di identità sottratta ma anche e soprattutto di dignità, di manutenzione, cura e riqualificazioni sbagliate che si sono susseguite nel tempo. Nell’ultimo secolo, quella di Achille Lauro e quella disastrosa di Bassolino che, pur avendo il merito di aver pedonalizzato un tratto della strada, ha firmato un restyling di scarsa qualità e tenuta. Da subito hanno cominciato a saltare i basoli in pietra lavica etnea, ricca di fibra vetrosa e quindi non adatta alle forti pressioni. Se a questo si unisce un massetto posto male, appare normale che già da anni la strada sia un pericolo per i pedoni che devono zigzagare tra lastre divelte e buche sparse. La mancanza di fondi e l’inerzia della macchina comunale hanno portato ad una soluzione tampone che ha peggiorato ancor di più il decoro della strada con delle colate d’asfalto che fanno male agli occhi. Tutto questo solo per evitare esosi risarcimenti dopo che la cassazione ha stabilito che i danni fisici causati da buche stradali sono a carico delle amministrazioni comunali e non delle ditte appaltatrici.

Il problema è quindi a monte, nel non aver previsto aree di sosta per mezzi commerciali che continuamente accedono al tratto pedonale disseminato di attività commerciali. E i furgoni pesanti salgono con tutta la loro mole sui marciapiedi causando il dissesto quando va bene, la frantumazione dei basoli quando va peggio. Lavori fatti male e pensati peggio, insomma.
A questo quadro vanno aggiunte le desolanti fioriere che tutto sono fuorché elementi di arredo urbano. Sempre incolte, spesso vandalizzate dai residenti a ridosso della strada, quei vasi scuri che spesso stazionano dislocati dai loro supporti in marmo sono diventati immensi portarifiuti e posacenere.

La strada ha perso la sua nobiltà. I tanti palazzi storici che la delimitano, firmati dai più grandi architetti, si mimetizzano tra edifici fatiscenti, corredati da antiestetiche antenne satellitari, e negozi dozzinali che niente hanno a che fare con le attività di un tempo descritto. La volgare invasione di paline pubblicitarie che pregiudicano la prospettiva della strada e di orologi rossi da fast-food fa il resto, mentre uno degli elegantissimi “orologi dell’ora unica” comparsi a inizio ‘900 è stato rimosso per i lavori della metropolitana e non si sa che fine abbia fatto. Per fortuna un secondo esemplare all’altezza della funicolare centrale è tornato al suo posto.
Dopo una prima rivalutazione seguita alla riqualificazione, la strada ha visto precipitare il suo valore anche immobiliare e la sua appetibilità commerciale; ne è conseguita una speculazione che è sfociata nella sparizione di negozi d’epoca. È chiusa “la Rinascente” che ha lasciato vuoto il palazzo che ospitava la sede storica. Ma prima erano già spariti nomi ben più storici per la città, come la rinomata pasticceria-rosticceria Caflish che dal 1827 era ospitata nell’architettura vanvitelliana di Palazzo Berio, proprio di fronte alla Galleria Umberto I, laddove oggi invece troneggia un noto marchio di maglieria di Treviso. Stessa sorte per Gutteridge di cui resta solo l’insegna storica su uno moderno store d’abbigliamento.

La gente cammina parlottando senza domandarsi quale bellezza nascondano Palazzo Doria D’Angri, Berio, Lieto, Zevallos di Stigliano, Cirella e tanti altri che distrattamente si individuano leggendo le targhe agli ingressi nemmeno troppo in vista. E lo stesso vale per le decine di chiese presenti a ridosso del corso che recano testimonianze artistiche di prim’ordine.

Gli artisti di una volta non ci sono più, neanche i giocolieri; e le botteghe di oggi perdono valore non solo per le condizioni della strada ma anche per la presenza della concorrenza abusiva, tra panni bianchi di extracomunitari che offrono merce contraffatta di ogni tipo e ambulanti che smerciano le più disparate cianfrusaglie. E a sera il quadro è ancor più triste. A chiusura dei negozi la strada è un tappeto di cartoni e cartacce, frutto dell’indisciplina e dell’inciviltà di molti commercianti e dei napoletani, ai quali si sommano l’inefficacia del servizio di rimozione rifiuti che non ha mai concordato la predisposizione di turni serrati per una strada di interesse e frequentazione particolare e l’indulgenza di Polizia Municipale e Guardia di Finanza, incapaci purtroppo di far rispettare quelle regole che ci sono.

La strada che solo centocinquanta anni fa era considerata la più bella e allegra del mondo oggi è poco più che un suk d’occidente. Sai che delusione per Stendhal e gli altri se potessero tornare?!
Niente più allegria e colori ma tanta tristezza e degrado, ciò che la modernità non riesce ad arginare e anzi alimenta. Ma ai sognatori e agli idealisti che non si rassegnano, e che napoletani dentro si sentono nel voler recuperare la memoria storica, qualcosa è concesso e può servire a salvare in qualche modo Via Toledo: non la si chiami più Via Roma!


Fonte: http://www.napoli.com/stamparticolo.php?articolo=33270

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